Data Center

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Data Center, in Italia 14 progetti già approvati: quali sono​

15 NOVEMBRE 2025 - 18:02
L’Italia si prepara a un salto epocale nell’infrastruttura digitale. Quattordici data center, per un valore complessivo stimato di oltre 2,5 miliardi di euro, hanno ottenuto il via libera dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che ne ha al vaglio altri dieci. A muovere il mercato sono i colossi del cloud – Microsoft, Amazon, Data4, Equinix, Stack, CyrusOne, Noovle del gruppo Tim (ora di fatto Poste Italiane) e Aruba – che puntano a fare dell’Italia un nodo strategico della rete europea. Una corsa silenziosa ma imponente, che ridisegna la geografia industriale del Paese e concentra nel Nord, in Lombardia, il nuovo cuore pulsante della rete.

La mappa dei data center italiani si concentra tra Milano e la sua cintura industriale e tra Pavia e Bergamo. I comuni interessati sono: Settimo Milanese, Noviglio, Rho Pero, San Pietro, Melegnano, Segrate, Peschiera Borromeo, Caleppio, Siziano e Bornasco. Microsoft è il protagonista principale con cinque poli distinti: il mega impianto di Bornasco, in provincia di Pavia, dove è stata autorizzata l’installazione di gruppi elettrogeni di emergenza per una potenza complessiva superiore a 150 MWt, il centro in progetto a Settimo Milanese (identificato come MIL03) attualmente in iter autorizzativo e il complesso di Peschiera Borromeo-San Bovio Settala, destinato a completare la “cloud region” italiana del gruppo di Redmond. Gli investimenti complessivi stimati superano il miliardo di euro e rappresentano una delle più grandi infrastrutture digitali mai avviate nel Paese. Accanto a Microsoft si muove Data4, società francese che amplia il campus di Vittuone con il progetto MIL02, un’area di decine di migliaia di metri quadrati dedicata a server e apparati di rete ad alta efficienza, che prevede l’investimento di maggior valore, pari a 1,3 miliardi, in Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La stessa società ha in corso una valutazione per un altro data center del valore di 600 milioni. Amazon Web Services consolida la propria presenza con due edifici gemelli tra Rho e Pero, per un valore di 890 milioni, che diventeranno il baricentro operativo della regione cloud italiana del gruppo americano. Equinix, leader mondiale delle interconnessioni, ha in corso tre nuovi progetti confermati – ML5, ML6 e ML9 – e un quarto (ML10) attualmente in iter di valutazione ambientale presso il MASE, sempre a Settimo Milanese, dove sorgerà un vero distretto digitale iperconnesso. Stack/Supernap espande invece il campus di Siziano, nel Pavese, già operativo, ma destinato a raddoppiare la capacità con nuovi moduli e impianti elettrici di supporto. CyrusOne investe a Segrate, nell’area ex CISE, con due strutture: MIL1, da 132 megawatt termici, e MIL2, da oltre 50 megawatt, progettate secondo standard Tier IV di efficienza energetica. L’unico sito fuori Lombardia è quello di Aruba al Tecnopolo Tiburtino di Roma, che amplia il proprio campus con nuovi moduli a basse emissioni destinati a ospitare servizi per la pubblica amministrazione.

Le cifre rivelano un’inedita alleanza fra colossi globali e operatori locali, spinta dall’espansione del cloud, dell’intelligenza artificiale e dai servizi ad altissimo consumo energetico. I nuovi data center, con potenze superiori ai 50 megawatt e consumi paragonabili a quelli di intere città di medie dimensioni, rappresentano un passaggio decisivo ma anche problematico. Le procedure accelerate e il sostegno del PNRR favoriscono investimenti e occupazione; tuttavia, il loro impatto ambientale resta elevato: consumo di suolo, carico sulle reti elettriche, uso intensivo di acqua per il raffreddamento e ricorso a generatori fossili. La concentrazione degli impianti nel Nord accentua gli squilibri territoriali rispetto al Sud – che rimane fuori dalla mappa – e trasforma la Lombardia nel principale distretto energetico della nuova economia dei dati. Sullo sfondo emerge anche una questione di sovranità tecnologica: l’infrastruttura digitale italiana si affida sempre più a capitali e piattaforme estere, lasciando al territorio i costi energetici e ambientali della trasformazione. La corsa ai data center ridisegna così il paesaggio industriale nazionale e apre una fase in cui la modernizzazione corre più veloce della capacità del Paese di orientarne gli effetti e conservarne il controllo.

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Enrica Perucchietti​

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.
 

FINANZA

OpenAI: la “macchina” dell’IA perde 10 miliardi e progetta spese per 1.400.​

OpenAI brucia 10 miliardi ma planea investimenti per 1.400: mentre le Big Tech si indebitano per i data center

Gli investimenti multimiliardari in infrastrutture (data center, chip, potenza di calcolo) superano ormai di gran lunga qualsiasi aspettativa di fatturato.

Il “buco nero” di Sam Altman​

Il principale indiziato di questa potenziale crisi di fiducia è OpenAI, l’azienda creatrice di ChatGPT. I numeri che arrivano dalla società guidata da Sam Altman, che sembra tenere in mano i fili dell’intero settore tech, sono a dir poco sbalorditivi.

L’azienda prevede di investire la modica cifra di 1,4 trilioni di dollari (sì, 1.400 miliardi) nei prossimi otto anni. A fronte di questo, le previsioni di fatturato medio annuo si attestano sui 20 miliardi di dollari.
I conti, semplicemente, non tornano.

 

FINANZA

La Bolla dell’IA? Non è il 2000, è il 2008: debito ombra e ingegneria finanziaria sono la vera minaccia​


L’euforia per l’IA nasconde un pericolo: non è la bolla delle dot-com, ma un sistema di debito ombra, scatole cinesi (SPV) e ingegneria finanziaria che ricorda la crisi del 2008.
“la situazione attuale indica piuttosto una bolla nei mercati del debito”.

Il punto non sono le aziende che si quotano in borsa, ma quelle che si indebitano. E si indebitano pesantemente.

L’espansione dell’IA richiede un’infrastruttura fisica colossale, principalmente data center e chip costosissimi. Questo si traduce in spese in conto capitale (Capex) fuori controllo:

  • Microsoft: Le spese in conto capitale sono schizzate da 24 a 35 miliardi di dollari in un solo anno.
  • Meta: Il balzo è stato da 37 a 70 miliardi di dollari.
  • Oracle: Ha registrato flussi di cassa negativi a causa degli investimenti. L’aria inizia a mancare.
 

Le 4 AZIENDE che RISOLVERANNO il PIÙ GRANDE PROBLEMA DELL'AI​


caterpillar grafico mensile
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Cummins
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baker hughes company
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Bloom Energy Corporation
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Morgan Stanley e la “Scommessa” sull’IA: ora la Banca cerca di scaricare il rischio Data Center​


L’IA richiede investimenti monstre (3 trilioni al 2028) e le banche sono piene di crediti verso il settore.
Morgan Stanley studia come vendere il rischio al mercato tramite SRT per non restare col cerino in mano.
 
L’entusiasmo per l’intelligenza artificiale (AI) sta raggiungendo vette stratosferiche, ma come si finanzia questa rivoluzione? Se pensavate con utili e flussi di cassa, vi sbagliavate. La nuova frontiera tecnologica si sta costruendo su una montagna di debito, e la bolla speculativa sta assumendo proporzioni notevoli, come dimostrano due operazioni record nelle ultime 24 ore.

La finanza, ancora una volta, sembra anticipare (o forse gonfiare) la realtà.

Il colosso Oracle e l’ironia di JPMorgan​

La notizia principale è il lancio imminente di un’offerta di debito da 38 miliardi di dollari per finanziare vari data center legati a Oracle. Come riporta Bloomberg, si tratta del “più grande accordo di questo tipo per infrastrutture di intelligenza artificiale mai arrivato sul mercato”.

A guidare l’operazione c’è un consorzio di banche che include JPMorgan e Mitsubishi (distribuendo così il rischio futuro tra vedove e orfani americani e giapponesi, per così dire). Questi fondi finanzieranno due enormi data center, uno in Texas e uno nel Wisconsin, gestiti da Vantage Data Centers e destinati a essere utilizzati da Oracle per potenziare OpenAI.
L’operazione fa parte del mastodontico piano “Stargate” di Oracle, un investimento da 500 miliardi di dollari in infrastrutture AI. Un nome che, col senno di poi, “Debtgate” (Cancello del Debito) suonerebbe forse più appropriato.

Ma l’ironia più gustosa, in puro stile finanziario, è che a vendere questo debito colossale sia JPMorgan. Proprio la banca il cui capo stratega di mercato, Michael Cembalest, solo il mese scorso scriveva una nota sferzante sulla situazione di Oracle. Cembalest sottolineava come il titolo Oracle fosse schizzato grazie alla promessa di 60 miliardi di dollari all’anno da OpenAI, evidenziando che:
  1. OpenAI non guadagna ancora quella cifra.
  2. Oracle non ha ancora costruito i data center necessari.
  3. L’operazione richiederà 4,5 GW di potenza (l’equivalente di quattro centrali nucleari) che nessuno produce e che dovranno essere tolte ma famiglie e imprese, a suon di prezzi più alti. .
  4. Il rapporto debito/equity di Oracle è già al 500%, contro il 50% di Amazon o il 30% di Microsoft.
Cembalest concludeva, citando un altro analista, che “non c’è modo per Oracle di pagare tutto questo con il flusso di cassa. Deve raccogliere capitale o debito”.
E indovinate quale banca sta aiutando Oracle a fare proprio questo? Esatto, il suo stesso datore di lavoro, JPMorgan. L’oligopolio stabile dei “hyperscaler” (come Google o Microsoft) che si autofinanziavano sta decisamente scricchiolando.

Per certe aziende che stanno costruendo data-center l’effetto leva sul debito , qui mostrato dal grafico del debito/mezzi propri, sta assumento posizioni stellari, elevatissime, e i mezzi propri sono assolutamente insufficienti. I creditori Oracle prenderanno ottimi interessi probabilmente, ma non dormiranno sonni tranquilli.


Non solo Oracle: Meta e i nuovi “Barbari alla porta”​


Questo non è un caso isolato. Poche settimane fa, Meta (Facebook) ha chiuso un accordo da 29 miliardi di dollari in debito e azioni con PIMCO e il colosso del credito privato Blue Owl per l’espansione dei suoi data center.

La parte interessante? PIMCO, che ha acquistato circa 18 miliardi del deal, ha visto le obbligazioni salire rapidamente sul mercato secondario, guadagnando circa 2 miliardi di dollari “sulla carta”. Cosa sta facendo? Sta già vendendo silenziosamente circa 1 miliardo di dollari, cercando di liberarsi della patata bollente prima che scotti troppo, senza spaventare il mercato. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani, soprattutto visto che la gallina è insicura.

Ma il vero capolavoro speculativo riguarda TeraWulf, un ex-minatore di Bitcoin (sì, avete letto bene) che si è reinventato nel business dei data center AI. TeraWulf è riuscita a raccogliere 3,2 miliardi di dollari tramite un’emissione di obbligazioni unsecured (non garantite) di tipo “junk” (spazzatura).
Si tratta della più grande vendita di “junk bond” guidata da una banca di Wall Street (Morgan Stanley) dalla famosa acquisizione di RJR Nabisco nel 1989, quella immortalata nel libro Barbarians at the Gate. La domanda è stata stellare (oltre 11 miliardi di ordini) grazie a una struttura innovativa: un “backstop” (una rete di sicurezza) fornito nientemeno che da Google.


Debiti garantiti emessi verso i fornitori di data center. In azzurro ABS, in nero arantiti dal complesso dei beni aziendali.

La “Garanzia” di Google: un rischio sottovalutato?​

Il mercato si è tuffato su TeraWulf perché “tanto paga Google”. Ma è davvero così? Analizzando i dettagli, la garanzia di Google sembra un capolavoro di ingegneria finanziaria a rischio limitato (per Google, ovviamente):

  • Condizione 1: La garanzia di Google scatta solo se l’affittuario del data center (una startup britannica chiamata Fluidstack) va in default o fallisce.
  • Condizione 2: La garanzia si attiva solo dopo che il data center è completato e pienamente operativo.
  • La Scadenza: La costruzione ha una timeline definita “aggressiva”. Se la costruzione ritarda di oltre 180 giorni, Fluidstack può annullare il contratto di leasing, e la garanzia di Google… svanisce.
In sintesi: c’è un’altissima probabilità che TeraWulf possa fallire durante la costosa fase di costruzione, prima che la garanzia di Google diventi mai operativa.

E non è finita: anche Cipher Mining, un altro ex-minatore di cripto, si prepara a raccogliere miliardi in junk bond, sempre con il presunto “ombrello” di Google.

Stargate prevede investimenti privati e pubblici per 500 miliardi di usd negli USA per la AI. Futuro centro Stargate

La Bank of England inizia a preoccuparsi​

In mezzo a questa euforia da debito, una voce istituzionale si è finalmente levata. La Bank of England (BOE) ha comunicato che sta monitorando attivamente i prestiti concessi ai data center, definendoli una “scommessa a senso unico” sul futuro dell’AI.

Se prima la BOE si preoccupava delle valutazioni azionarie (rischio di bolla sui titoli), ora la sua attenzione si è spostata sui legami tra le società di AI e il settore finanziario.

La preoccupazione è cresciuta vedendo che la spesa del settore si è spostata dall’assunzione di personale (finanziata con capitale proprio) alla costruzione di infrastrutture da miliardi di dollari (finanziate a debito), infrastrutture che, nota la BOE, hanno “limitati usi alternativi”.

Come ha scritto lo staff della BOE in un post ufficiale: “Se la scala prevista di investimenti finanziati a debito nell’AI… si materializzerà, i rischi per la stabilità finanziaria sono destinati a crescere“. Le banche sono esposte sia direttamente (prestiti alle aziende AI) sia indirettamente (prestiti a fondi di private credit che a loro volta finanziano questi progetti).

Un settore a rischio è quello delle cartolarizzazioni (ABS e CMBS) legate ai data center, un mercato che vale già circa 49 miliardi di dollari. La festa del debito AI è in pieno svolgimento, ma qualcuno alle banche centrali ha iniziato a guardare l’orologio.

Domande & Risposte​

1. Perché questi debiti sono considerati così rischiosi se l’AI è chiaramente il futuro?

Il rischio non risiede nel potenziale dell’AI, ma nella struttura del finanziamento e nel disallineamento temporale. Queste aziende stanno contraendo debiti enormi (come Oracle con una leva al 500%) per costruire infrastrutture costosissime (data center) prima di avere i flussi di cassa garantiti per ripagarli. Se la domanda di AI dovesse rallentare, o se i tassi d’interesse rimanessero alti, queste aziende si ritroverebbero con asset iperspecializzati (con “limitati usi alternativi”) e un debito insostenibile. È una scommessa sul fatto che i ricavi futuri cresceranno più velocemente del costo del debito.

2. Cosa c’è di strano nel ruolo di JPMorgan nel finanziare Oracle?

L’ironia, tipica del mondo finanziario, è la palese contraddizione interna. Da un lato, il braccio di analisi strategica della banca (Michael Cembalest) pubblica report molto critici, avvertendo i clienti che Oracle è iper-indebitata e che il suo piano di espansione AI non è sostenibile con i flussi di cassa attuali. Dall’altro lato, il braccio di investment banking della stessa JPMorgan è in prima linea per organizzare e vendere proprio quel debito da 38 miliardi di dollari, guadagnando laute commissioni. In pratica, la banca monetizza un rischio che i suoi stessi analisti hanno identificato come problematico.

3. La garanzia di Google su TeraWulf non rende l’investimento sicuro?

No, o almeno non quanto il mercato sembra credere. La garanzia di Google è “condizionata” e non copre il rischio più grande: il fallimento durante la costruzione. Google garantisce il debito solo se l’impianto è finito e operativo e solo se l’affittuario (Fluidstack) fallisce dopo essersi insediato. Se TeraWulf, un ex-minatore di crypto, finisce i soldi durante la costruzione (descritta come “aggressiva”) o ritarda la consegna di 6 mesi, la garanzia di Google decade. Gli investitori in obbligazioni spazzatura si ritroverebbero con un data center incompleto e nessuna rete di sicurezza.


PER APPROFONDIRE:
 

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