DEVO SMETTERLA DI MANDARE LA GENTE A QUEL PAESE... STO CREANDO ASSEMBRAMENTI

Caldo ed appassionato intervento di Vittorio Sgarbi in Parlamento sulla finanziaria, ma parlando, in questo caso, di altro.

Approfittando della presenza del Ministro della Giustizia gli chiede direttamente di spiegare

la sentenza del Tribunale di Roma del 23 dicembre che ritiene i DPCM illegittimi per mancanza di motivazione

e per violazione di una serie di norme Costituzionali fra cui perfino l’articolo uno, perchè all’Italia, Repubblica fondata sul lavoro, è stato vietato di lavorare.



Sgarbi ha ragione: molti mettono in dubbio la legittimità dei DPCM.

Il professor Becchi ha deciso perfino di sfidarli apertamente per portare il governo davanti alla Corte Costituzionale e far valutare la correttezza delle sue misure


Un ascolto breve, ma interessante


 
Il 24 dicembre il filosofo e professore universitario Paolo Becchi

ha deciso di violare il lockdown e di uscire di casa normalmente, per vivere una vita normale.


Nulla di particolare, nessun assembramento, solo una vita comune,

visitando qualche negozio e camminando liberamente per Genova, la sua città.


Il tutto senza timore perchè, nel caso di verbale da 400 euro,

il filosofo intende opporsi per via giudiziaria giungendo sino alla Corte Costituzionale, se necessario,

per affermare i diritti di tutti e la libertà collettiva.


400 euro è un costo accettabile per la libertà.

 
Dopo una falsa partenza nei mesi scorsi, i policy maker stanno entrando nel dettaglio delle misure per superare quota 100.

L’obiettivo, com’è noto, è rendere flessibile l’età del pensionamento.

L’ipotesi più avvalorata al momento punta sull’opzione di uscita dal mondo del lavoro a 64 anni d’età e 38 di contributi, con tutte le eccezioni del caso per i lavori gravosi.

E qui la questione si complica: non tanto per le garanzie riguardanti muratori e operai specializzati, quanto piuttosto per la tendenza di questo governo così come i precedenti di introdurre eccezioni.

Prendete il caso delle salvaguardie, almeno nella versione introdotta nel 2012 per andare incontro alla situazione degli esodati, usciti dal lavoro e rimasti senza pensione con l’innalzamento dell’età della pensione.
La Legge di Bilancio 2021 (commi da 346 a 348) aggiunge 2400 agli oltre 153mila esodati cui viene consentito di andare in pensione con i criteri precedenti al 2011.

Complessivamente la spesa sostenuta dello Stato per normare eccezioni alla riforma Monti-Fornero è di circa 10,2 miliardi di euro.

È pensabile in futuro non ce ne saranno più?

È possibile che in futuro non arrivi un ombrello a garantire chi per pochi giorni non riuscirà ad approfittare? 

È di tutta evidenza che la credibilità di un sistema previdenziale è data non dalle eccezioni ma dalle regole.

E su questo terreno che è attesa l’opera dell’Esecutivo in materia pensionistica.
 
Serviva qualcuno nella sponda M5S che facesse il coro con Franceschini, ed eccolo qua.

Come ci si poteva sbagliare?

Patuanelli coglie l’assist del Pd e svela in via definitiva la rotta per il futuro del Movimento:

“In caso di elezioni, alleanza con Pd e Leu”.

Ecco messo nero su bianco quando migliaia di grillini non avevano ancora capito.


Dopo Conte, dunque, solo il voto.

È quello che continua a ripetere larga parte della maggioranza, compreso Patuanelli, ministro dello sviluppo economico,
che in una lunga intervista a Repubblica si è lasciato andare alle sue considerazioni:

“Dopo il Conte-bis ci sono solo le elezioni e in quel caso il M5s deve guardare a un’alleanza con Pd e Leu”
per “dimostrare, di fronte alla destra più conservatrice d’Europa, che noi siamo altro”.

“Ritengo che il Conte bis sia il secondo e ultimo governo di questa legislatura,
non vedo spazio per altro se non le elezioni, senza ovviamente volermi sostituire alle prerogative del presidente della Repubblica”
anche perché, aggiunge il ministro, “sono il primo a ritenere surreale il teatrino rimpasto sì, rimpasto no, crisi sì, crisi no.
Lavorando come maggioranza sulle cose che ci uniscono, che sono tante”, afferma ancora Patuanelli,
“e mettendo davanti a tutto l’interesse del Paese che è fatto dei 69 miliardi a fondo perduto e 127 miliardi di prestiti del Recovery,
dei 14 miliardi del React Eu, dei 43 miliardi del quadro finanziario pluriennale del bilancio europeo”.

“Tutte queste risorse ci possono far disegnare un Paese che guardi alle generazioni future e questo deve essere il motore del governo”.

Perciò “parliamo del futuro di questo Paese e questi sono i temi che dobbiamo affrontare.
Il Movimento ha sempre dimostrato grande responsabilità, ma non deve essere scambiata per attaccamento alle poltrone.
Nel corso del 2020 si sono svolte molte elezioni, in Italia e fuori: la pandemia non può diventare un alibi per non andare al voto”, sostiene Patuanelli.

“La mia idea è che servano un campo innovatore comune e un leader come Giuseppe Conte”,
e “non solo” in un’alleanza con il Pd, per ché “c’è anche Leu” e con l’obiettivo
di “dimostrare, di fronte alla destra più conservatrice d’Europa, che noi siamo altro”.

E puntualizza: “Devo ancora capire che differenza c’è tra un’alleanza organica e presentarsi agli elettori in coalizione,
io faccio un ragionamento molto semplice: con la legge elettorale attuale un terzo del Parlamento viene eletto col maggioritario.
Vanno quindi presentati candidati comuni, non si può ragionare come se ci fosse il proporzionale e ognuno va da solo”.
 
Giuseppe Liturri de La verità, e tanti altri, hanno provato in questi mesi a chiedere alla Commissione Europea dettagli sul Sure.

Una prima risposta era stata promessa per il 17 novembre, ma da allora è dovuto passare un altro mese per ricevere chiarimenti.

Chiarimenti che non soddisfano per nulla (anzi!) il diritto dei cittadini italiani di conoscere il contenuto dell’accordo di prestito
(loan agreement) che regola il prestito di € 27,4 miliardi (di cui già erogati 16) tra la Repubblica Italiana e la Commissione, stipulato lo scorso ottobre.

Oggi il giornalista, però, comunica quanto gli è stato detto dalla Commissione.

Cosa è emerso?


Liturri, nell’ambito dei diritti del pubblico all’Informazione, ha chiesto di poter ottenere dalla Commissione copie dei contratti.

Si tratta di accordi che dovrebbero essere pubblici perché legano l’Unione all’Italia e non ci dovrebbe essere nulla di segreto.

Invece…. una parte consistente di questi accordi è rimasta riservata e questo su richiesta dell’Italia.



Ecco il dettaglio che scotta:

è stato dunque il nostro Paese a chiedere che una parte dei dati rimanesse segreto anche dopo aver autorizzato la divulgazione.
Inutile dirlo, hanno mantenuto segrete le parti che contano.


Ma dalle parti non “censurate”, cosa emerge?

Emerge che l’Ue ha il coltello dalla parte del manico, e che i diritti sono tutti del creditore e pochi sono quelli del debitore, cioè l’Italia, quindi noi.

Inoltre, “non è dato sapere quale sia la formula che porta a determinare il tasso di interesse del prestito,
che viene ritenuta un’informazione sensibile, essendo ancora in corso le operazioni di raccolta del Sure sui mercati.
Inoltre è completamente oscurato il parere legale reso dai tecnici competenti del nostro ministero”.



In sostanza, da quel che emerge e che si intuisce, Liturri spiega che

il Sure “non è un prestito ma un fido erogabile in 10 rate fino a marzo 2022”.

Con che tranquillità e sulla base di quale valutazione di convenienza,
ci apprestiamo a ricevere i prestiti del Sure se non riusciamo nemmeno a sapere a quali condizioni essi saranno erogati?

Ricevere un mutuo senza conoscere preventivamente le condizioni non sembra una mossa molto avveduta.

Dunque: durata del prestito, tasso di interesse e condizioni varie non sono esplicitamente citati e viene da chiedersi il perché…
 
Nonostante i tanti annunci trionfali, il Vax Day lanciato in tutta Europa non è andato esattamente come preventivato dai governi dei Paesi Ue.

Lo scetticismo di fronte alle cure anti-Covid, lanciate sul mercato in fretta e furia
e senza che i dati sulle sperimentazioni venissero resi noti, si è infatti manifestato anche nel settore della salute,
con dipendenti di ospedali e Rsa ancora titubanti.

E così ecco tornare subito alla carica il partito dell’obbligo: come rivelato dal Corriere della Sera,

si è infatti tornati a ragionare sull’introduzione di una sorta di “patente di immunità” obbligatoria

per entrare in luoghi come cinema, teatri, stadi o per viaggiare in aereo e in treno.



Non una vera e propria imposizione, dunque, ma una strategia per rendere di fatto impossibile la vita a chi non accetterà la somministrazione.

Discutere di un vero e proprio obbligo è infatti vista dal governo come mossa controproducente che attirerebbe le ire di troppi cittadini.

Meglio girarci attorno e valutare opzioni alternative in caso la campagna di vaccinazione non dovesse dare i frutti sperati.

Tra le ipotesi al vaglio, anche quella di inserire la necessità della vaccinazione
come prerequisito nel contratto di alcune categorie di dipendenti pubblici considerati a rischio, come medici, infermieri e insegnanti.



Muovendosi per vie traverse, è la teoria che va forte tra i giallorossi, si eviterebbero scontri con i sindacati:
i dipendenti pubblici sono 3 milioni, il 5% degli italiani.

Un settore in cui muoversi è dunque delicato.

La patente di immunità, nel concreto, potrebbe essere introdotta sotto forma di vero e proprio documento
o come app necessaria per lo svolgimento di operazioni come la prenotazione di treni e aerei.

Al vaglio anche la possibilità di un obbligo per i lavoratori del settore privato, che sono 15,7 milioni.


Tutti scenari che il governo non scarta, con una componente soprattutto all’interno del Pd a caldeggiare l’introduzione di normative stringenti.

I timori sul possibile flop della campagna di vaccinazione continuano a crescere con il passare dei giorni,
con gli italiani ancora scettici per la poca trasparenza con cui vengono condotte le operazioni.


Gli stessi contratti stretti dai governi con le case farmaceutiche restano ancora un segreto.


Di certo c’è invece che i colossi di Big Pharma non saranno chiamati a rispondere di eventuali reazioni allergiche causate dal farmaco, anche gravi.
 
Una corsa al vaccino iniziata in maniera sfrenata, rapidissima.

E che però nasconde, dietro la frenesia di questi primi giorni di somministrazione, ancora tanti interrogativi.

A dirlo è la direttrice del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze
del Polo Universitario Ospedale Sacco (Milano) Maria Rita Gismondo, che intervista da Affari Italiani
si è rallegrata del freno imposto dall’Ema al farmaco AstraZeneca, sul quale ha puntato l’Italia:

“Improbabile che venga approvato entro gennaio? Un freno che mi rassicura. Segno di serietà nell’analizzare i dati”.


Gismondo ha chiarito che al momento non si sottoporrà a vaccino a causa “di mie allergie per farmaci e alimenti, aspetterò altri farmaci”.


Sui dubbi che ancora restano riguardo la somministrazione, l’esperta ha invece spiegato che sono stati fatti passi avanti,
grazie al lavoro svolto dall’Ema nell’analisi di “migliaia di casi di sperimentazione su persone che si sono già vaccinate”.

Ma “resta il fatto che dobbiamo ancora osservare bene gli effetti sia sull’efficacia sia sugli eventuali effetti collaterali.
I vaccini non sono stati registrati, ma autorizzati vista l’emergenza e, come affermano sia la Fda statunitense sia l’Ema,
ci sono ancora molti aspetti che dobbiamo conoscere e approfondire”.



Sulla possibilità di introdurre un obbligo, almeno per chi lavora in determinati settori, Gismondo ha chiarito:

“Non sono mai stata a favore degli obblighi ma della sensibilizzazione.

La variante britannica del virus? È solo una delle centinaia che il virus produce.

Non possiamo essere certi che non influisca sulla risposta vaccinale ma ci sono buone premesse per escluderlo,
visto che il vaccino riconosce molti più siti.

Per ottenere l’immunità di gregge, servirà che venga vaccinata una percentuale della popolazione tra il 70 e l’80%”.



L’Italia e il mondo chiuderanno il capitolo Covid in estate come in molti affermano grazie ai vaccini?

“Non sappiamo per quanto tempo il vaccino ci manterrà immuni.

Sul futuro sono troppe le variabili per poter avere idee certe.

Non bisogna assolutamente abbandonare le misure di contenimento,
anche dopo la vaccinazione, fino a quando il virus circolerà”.
 
Il professor Pietro Ichino, ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Milano
e già senatore del Partito Democratico, ha sostenuto, in una sua recente intervista riportata dai soliti quotidiani filogovernativi,
che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del vigente Codice civile italiano, potrebbe imporre l’obbligo vaccinale ai propri dipendenti.

La disposizione normativa richiamata prevede che il datore sia chiamato ad adottare tutte le misure suggerite da scienza ed esperienza.

Per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda.


L’obbligo vaccinale può avvenire solo per “disposizioni di legge”

Ora, sul punto, due osservazioni volte a dimostrare la totale infondatezza delle dichiarazioni di Pietro Ichino.

In primo luogo, qualora il legislatore statale
(quello regionale é escluso, ponendosi la disciplina vaccinale nel punto di intersezione di due materie di esclusiva competenza dello Stato,
la profilassi internazionale e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
E di una di potestà concorrente, la tutela della salute, ma rientrante nella normazione di principio
– si veda la sentenza n. 5/2018 Corte cost.- di spettanza statale)

intenda introdurre l’obbligo del vaccino anticovid, questo deve avvenire, ex art. 32, comma 2, della Costituzione, unicamente per “disposizioni di legge”.

Le imposizioni del datore di lavoro sono illegittime

Pertanto, imposizioni da parte del datore di lavoro o eventuali ordinanze dei presidenti delle Giunte regionali sono da considerarsi completamente illegittime.

Peraltro, il riferimento costituzionale alla legge dovrebbe escludere qualunque intervento
ad opera di atti normativi ad essa pariordinati quali il decreto-legge ed il decreto legislativo delegato.

Infatti, solo la legge formale, e non altre fonti-atto, sarebbe idonea, in virtù della dialettica tra maggioranza ed opposizione,
a verificare che il trattamento sanitario obbligatorio “non violi i limiti imposti al rispetto della persona umana“.

In secondo luogo, Ichino dovrebbe spiegare come una disposizione normativa di rango primario
possa fungere da criterio interpretativo di una norma contenuta in una fonte di grado superiore qual è la Costituzione repubblicana.

Scriveva opportunamente il filosofo contemporaneo Ludwig Wittgenstein (1889-1951):

“Su ció di cui non si sa, sarebbe meglio tacere”.


Prof. Avv. Augusto Sinagra (Universitá “La Sapienza” di Roma)


Prof. Francesca Ferrazza (Unidolomiti-Belluno)


Prof. Daniele Trabucco (Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/Centro Studi Superiore INDEF)


Dott. ssa Camilla Della Giustina (Universitá di Padova e Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/Centro Studi Superiore INDEF).
 
Il coronavirus ha colpito mortalmente le nostre Pmi.

Secondo la Cgia di Mestre le piccole e medie imprese italiane registreranno un crollo di 420 miliardi di euro.

Da sottolineare le parole del coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo, che denuncia:

“Al netto delle misure a sostegno della liquidità e agli effetti dello slittamento delle scadenze fiscali,
il Governo quest’anno ha stanziato 29 miliardi di euro di aiuti diretti alle imprese colpite dalla pandemia”.


Gli artigiani mestrini riconoscono l’impegno dell’esecutivo, ma ciò che è stato fatto non basta.

La matematica non è un’opinione:

“Il crollo del fatturato del nostro sistema economico è di circa 420 miliardi di euro, il tasso di copertura ha sfiorato il 7%”.

Purtroppo, quando si governa una nazione la buona volontà non basta:
serve la capacità di invertire la rotta o meglio bisogna saper orientare le vele.

Non tutte le aziende stanno affondando come le nostre Pmi,
c’è chi ha sfruttato questa tempesta per arricchirsi, e non parliamo solo delle case farmaceutiche.


Al di là dell’oceano le multinazionali del web stanno consolidando il loro strapotere economico.


Basta fare un paragone con le nostre aziende.

Il fatturato totale delle imprese in Italia è pari a poco più di 3.100 miliardi di euro.

Con una perdita dei ricavi relativa al 2020 che dovrebbe aggirarsi attorno ai 420 miliardi,
la contrazione rispetto al 2019 sarebbe del 13,5%.


L’area studi di Mediobanca (che non può esser certo tacciata di populismo)
stima che nel primo semestre del 2020 il fatturato dei big digitali è aumentato del 17%.

Se incrociamo questi dati con quanto abbiamo scritto finora scopriamo che ciò che hanno perso le Pmi è finito nelle tasche delle big tech.

È ovvio si tratta di una sintesi semplicistica, anche se, come vedremo più avanti, ci aiuta a comprendere meglio ciò che sta avvenendo.


Tornando al rapporto della Cgia crolla il commercio al dettaglio, in particolar modo abbigliamento, calzature, libri e articoli di cartoleria.

Inoltre, assistiamo impotenti al collasso di tutte le attività legate al turismo o alla filiera che esso genera.

Quindi non parliamo solo di alberghi, bar e ristoranti, ma anche dei fornitori di quest’ultimi.

Per non parlare di chi è stato portato sull’orlo del baratro dal lockdown.

Ne citiamo solo alcuni:

tutto il settore che ruota attorno agli eventi (convegni, fiere, matrimoni),

gli agenti di commercio,

gli ambulanti,

la filiera legata al trasporto delle persone (taxi, Ncc, bus operator),

ed infine tutti coloro che lavorano nell’intrattenimento sport, tempo libero, intrattenimento, discoteche.


Come abbiamo visto gli artigiani mestrini avevano suggerito a Palazzo Chigi di passare dalla logica dei ristori a quella dei rimborsi.

Un discorso che non fa una piega.

Chi viene chiuso per motivi legati alla salute pubblica deve essere risarcito con compensi, quasi totalmente,
sia per i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere.

A proposito di costi fissi, non possiamo trascurare l’impatto che le imposte indirette hanno sulle Pmi.


Pochi giorni fa, lo stesso Zabeo chiedeva per le Pmi “un 2021 tax free”.

Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia motivava la proposta sostenendo che:
“Il tax free year italiano costerebbe alle casse dello Stato fino a 28 miliardi di euro.
Una cifra spaventosa che, ovviamente, potrebbe essere ridotta consentendo l’azzeramento del peso fiscale
solo per le attività con ricavi al di sotto di una certa soglia o sulla base della perdita di fatturato.
Anche se il mancato gettito fosse di 28 miliardi di euro, tale importo risulterebbe comunque inferiore
agli aiuti erogati direttamente quest’anno al sistema produttivo e che fino ad ora ammontano a circa 30 miliardi”.

Sarebbe un’iniezione di liquidità importante e necessaria.


Tuttavia, viviamo un periodo incerto: non sappiamo se quel denaro verrà impiegato per rilanciare l’attività
o per chiudere i battenti azzerando debiti pregressi.

La pandemia ci ha mostrato che un’intera nazione può essere spenta per mesi come una lampadina.

Può piacerci o meno ma dobbiamo fare i conti con la realtà.


Per questo molti analisti temono l’arrivo del great reset (così è stato denominato dal World Economic Forum).


Il grande reset è già realtà

I più pessimisti pensano che si tratti di un piano diabolico e segreto
che mira a stravolgere l’economia internazionale concentrando la ricchezza nelle mani di pochi eletti e distruggendo la classe media.

Difficile dargli torto, è tuttavia sbagliato dire che sia un processo in fase di preparazione.

Chi oggi teme l’avvento di un grande reset non si rende conto che già siamo immersi in questa nuova realtà.

Non possiamo cadere dal pero.


Da almeno trenta anni si sta diffondendo ed organizzando una sorta di capitalismo comunista apolide che calpesta la proprietà privata:

anche il possesso della prima casa è osteggiato (l’Ici nasce nel 1992).


Per non parlare delle liberalizzazioni(che sono servite per consegnare alla finanza apolide le nostre aziende di stato).

E che dire delle delocalizzazoni.


Il tutto condito dalle migrazioni di massa che mirano a cancellare ogni identità.



In questo contesto le Pmi faranno la fine dei kulaki (i piccoli proprietari terrieri perseguitati da Stalin).

Per usare le parole del filosofo e scrittore Giorgio Agamben:

“Il capitalismo comunista unirà in sé l’aspetto più disumano del capitalismo

con quello più atroce del comunismo statalista, coniugando l’estrema alienazione

dei rapporti fra gli uomini con un controllo sociale senza precedenti”
.


Il coronavirus è servito ad amplificare un cambiamento che era già ben strutturato.

Ecco perché solo ora ci accorgiamo di questo fenomeno.

Chiusi dentro le nostre case abbiamo capito quanto fossero indispensabili le big tech: Amazon, Google.


Quanto detto potrebbe spingerci alla resa.


Tuttavia dobbiamo ricordarci che nessun fenomeno storico è irreversibile a patto che siamo capaci di comprenderlo.


Solo così possiamo navigare sfruttando anche i venti avversi.
 

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