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Storie Romane
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#Adriano a molti assegnava premi, a parecchi onorificenze, perché risultassero loro più sopportabili i suoi ordini più pesanti; in effetti Adriano pose un freno al rilassamento della disciplina che si era andato verificando dopo Cesare Ottaviano per via della negligenza degli imperatori che l’avevano preceduto: regolò gli uffici e le spese, mai permise che alcuno si assentasse dall’accampamento senza un giustificato motivo, mentre d’altro canto non la popolarità goduta tra i soldati, ma solo il giusto merito era titolo di preferenza per la nomina dei tribuni; era di incitamento agli altri con l’esempio della sua condotta: era capace di marciare, con le armi indosso, anche per venti miglia; eliminò dall’accampamento, facendoli demolire, triclini, portici, passaggi coperti, aiuole; indossava spesso vesti molto dimesse, portava la cintura senza finiture d’oro, usava come fermaglio una fibbia senza gemme, aveva l’impugnatura della spada a malapena d’avorio; andava a visitare i soldati malati nei loro quartieri, sceglieva il luogo adatto per l’accampamento, concedeva il grado di centurione solo a uomini gagliardi e di buona reputazione, né creava uno tribuno se non avesse già una folta barba o un’età tale da poter essere all’altezza, per maturità e per anni, del duro impegno richiesto dal tribunato, e vietò che i tribuni accettassero alcunché dai soldati; bandì da ogni parte ogni forma di rilassatezza, e infine rinnovò l’armamento e l’equipaggiamento dei soldati." (Historia Augusta, Adriano, 10, 2-7)
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"Il terzo anno di spedizioni (di Agricola) ci aperse la via a nuovi popoli perché furono devastate le regioni fino all’estuario del fiume chiamato Tanao. Atterriti a morte, i nemici non osarono attaccare l’esercito pur messo a dura prova da tremende tempeste; ci fu dunque tempo per costruire anche dei fortini. Chi se ne intendeva, notava che nessun altro comandante aveva mai scelto luoghi più adatti alla costruzione e con maggior avvedutezza. Nessun castello fatto innalzare da Agricola fu mai espugnato da alcun nemico o abbandonato per resa o fuga; infatti veniva reso ancor più affidabile contro i lunghi assedi da scorte sufficienti ad un anno. L’inverno diventava così una stagione sicura; si potevano fare frequenti sortite e ogni presidio era autosufficiente. I nemici si sentivano impotenti e ne erano disperati perché erano soliti compensare le sconfitte estive con i successi invernali, ma ora venivano ugualmente battuti nella brutta e nella buona stagione. Né mai Agricola si dimostrò avido nell’appropriarsi di imprese altrui: centurioni o prefetti avevano in lui un fidatissimo testimone delle loro gesta. Qualcuno lo trovava troppo aspro nei rimproveri: in realtà aveva grande disponibilità verso gli onesti, ma non era certo piacevole contro i malvagi. Del resto l’ira durava in lui pochissimo: non erano da temere né il suo appartarsi né il suo silenzio. Riteneva più giusto un colpo inferto al momento che serbare rancore a lungo.
(#Tacito, #Agricola, 22)
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NEVSKIJ, L’UOMO CHE SCONFISSE I CAVALIERI TEUTONICI
Lo scontro tra l’esercito di Novgorod e i cavalieri Teutonici presso il Lago dei Ciudi nell’aprile del 1242, meglio noto come la “Battaglia del Lago Ghiacciato” è la battaglia forse più famosa della storia russa. A metà del XIII secolo quella che per noi oggi è la Russia europea era una nazione debole e divisa, sottoposta alla feroce pressione degli invasori mongoli. Ma a ovest della città-stato di Novgorod si profilava un nemico ancor più pericoloso: vent’anni prima, nell’ambito delle interminabili Crociate del Nord, i cavalieri dell’Ordine Teutonico avevano cominciato a formare un regno militare cristiano strappando territori alle tribù ancor pagane del Baltico. Dopo essere avanzati attraverso la Prussia e la Curlandia, spinsero il vessillo cattolico fino in Livonia e in Estonia e negli ultimi mesi del 1240, contando di trarre vantaggio dalle scorrerie mongole, colpirono ancora più a est, occupando la città di Pskov e arrivando a minacciare la stessa Novgorod.
Sentendo il disperato bisogno di una guida forte, la città-stato richiamò il principe Aleksandr Nevskij, in precedenza esiliato per i suoi attriti con il resto della nobiltà locale. Il suo ritorno ebbe effetti istantanei: entro la fine del 1241 il principe aveva già riconquistato tutte le terre occupate dai Teutonici a est del fiume Neva, e pochi mesi dopo riconquistò anche Pskov. Nel tentativo di ribaltare la situazione, il principe-vescovo Ermanno di Dorpat (oggi la città di Tartu in Estonia) radunò i cavalieri e li lanciò a est, alle calcagna di Nevskij: quest’ultimo si ritirò dunque al di là del lago gelato dei Ciudi e individuò un’ottima posizione difensiva nella Roccia del Corvo, sulla sponda destra, dove dispose la sua fanteria al centro e i cavalieri ai lati, preparandosi allo scontro. Vederli avanzare tuonando sul lago congelato fu con ogni probabilità uno spettacolo impressionante, tanto che persino il cronista di Novgorod scrisse che “si precipitarono contro il nemico come un cuneo”. Ma Nevskij aveva scelto bene il terreno, e quando le ali del suo esercito si chiusero sui cavalieri fu chiaro che la carica di questi ultimi aveva ormai perso slancio. “In breve i vessilli dei Fratelli sventolarono in mezzo agli arcieri”, riporta un cronista dell’Ordine Teutonico, “e si udirono le spade che spaccavano gli elmi. Molti da entrambe le parti caddero morti, ma poi l’esercito dei Fratelli si trovò circondato, essendo i russi tanto più numerosi da contare facilmente 60 uomini per ogni cavaliere. I Fratelli lottarono con valore, ma non poterono prevalere”.
La Battaglia del Lago Ghiacciato fu un episodio cardine nella storia dell’Europa orientale: segnò il punto di massima penetrazione dei cavalieri Teutonici a est, e ancora oggi il Lago dei Ciudi, sul confine tra Russia ed Estonia, indica all’incirca la frontiera geografica tra il cristianesimo occidentale e quello orientale. Fu un momento fondamentale anche per il principe Nevskij, che lo consacrò come supremo campione dell’ortodossia. Più tardi fu incoronato Gran Principe di Vladimir e nel 1547 venne canonizzato come santo della Chiesa ortodossa russa.
Persino Stalin lo considerava un eroe, e l’uscita del film di Ėjzenštejn nel 1938 toccò una corda molto profonda: all’orizzonte si profilava una nuova guerra con la Germania, e si stima che nel giro di 6 mesi almeno 23milioni di russi videro il film. Ancora oggi la Battaglia del Lago Ghiacciato rimane un elemento potentissimo nell’immaginario russo. Nel 2011 una votazione ha indicato Aleksandr Nevskij come il maggiore eroe russo di tutti i tempi, due posizioni più avanti dello stesso Stalin.
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DUELLO TRA UN LEGIONARIO ROMANO E UN GUERRIERO GERMANICO. CHI VINCEREBBE?
Molto spesso ci si chiede chi vincerebbe in un duello diretto tra un legionario dell'antica Roma e un guerriero celtico o germanico.
Ovviamente, si tratta di una discussione che lascia solitamente il tempo che trova. Eppure, nella storia romana, un duello tra un singolo soldato romano e un valente guerriero celtico o germanico si è svolto veramente... e più di una volta.
Un esempio famoso si trova nella descrizione della battaglia tra il legionario romano Manlio Torquato e il guerriero celtico in Livio, Ab Urbe Condita, libro VII, 10.4-12. In questa battaglia, Manlio sfida il guerriero celtico a combattere in un duello singolo e riesce a sconfiggerlo con l'aiuto degli dei.
Livio descrive il duello in questo modo:
"Manlio spronò il suo cavallo contro il nemico, il quale, sollevando in alto la sua spada, si preparò a colpire. Ma Manlio lo colpì con la sua lancia proprio mentre stava saltando verso di lui, facendolo cadere a terra. Con il suo nemico al suolo, Manlio scese dal cavallo e lo uccise con la spada".
Un altro esempio si trova nella descrizione del duello tra il legionario romano Pollione e un guerriero di una tribù germanica in Velleio Patercolo, Storia Romana, Libro II, 109. In questa battaglia, Pollione sfida il guerriero germanico a combattere in un duello singolo e riesce a sconfiggerlo.
Velleio Patercolo descrive il duello in questo modo:
"Il nemico, con la sua spada pronta, saltò sul nemico romano. Ma il romano, con un abile movimento, evitò il colpo e gli inflisse una ferita mortale con la sua spada. Con la morte del guerriero germanico, le truppe romane urlarono di gioia e Pollione fu acclamato come un eroe".
In entrambi i casi, si tratta di descrizioni di duelli singoli tra i soldati romani e i guerrieri di altre culture, e dimostrano la reputazione dei legionari romani come abili combattenti.
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