ESTORSIONE dell'Agenzia delle Entrate -Equitalia

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Il paradosso di Equitalia, che ha pagato in ritardo i fornitori
L'ex agente della riscossione ha accumulato un ritardo nel pagamento delle fatture di 13 giorni medi rispetto alle scadenze della legge, nel corso del 2016. Tra i comuni il peggior risultato è di Scicli, in Sicilia, con quasi due anni di ritardo

30 settembre 2017
Il paradosso di Equitalia, che ha pagato in ritardo i fornitori

MILANO - La Cgia di Mestre denuncia: "Equitalia è implacabile quando si tratta di andare a caccia dei soldi che i contribuenti devono versare, ma non è altrettanto inflessibile quando si tratta di pagare i suoi fornitori". Secondo l'associazione degli artigiani, che ha analizzato la banca dati del Mef sui pagamenti delle Pa, l'anno scorso Equitalia - che da luglio è stata riaccorpata nell'Agenzia delle Entrate - Riscossione - ha saldato le fatture dei propri fornitori in ritardo rispetto ai tempi fissati dalla normativa.

I numeri dicono che l'anno scorso sia Equitalia Spa sia l'Inail hanno pagato i propri fornitori con 13 giorni di ritardo medi ponderati rispetto a quanto previsto dalle disposizioni di legge, che prevedono il pagamento fattura entro 30 giorni dalla data di ricevimento, altre Amministrazioni finanziarie sono andate oltre: "L'Inps, ad esempio, ha onorato gli impegni di pagamento con 29 giorni medi ponderati di ritardo e la Sogei Spa (società di Information technology del Ministero dell'Economia delle Finanze) con 14". Continua la Cgia: "Anche per molti ministeri il rispetto dei tempi di pagamento è un optional. Se nel 2016 agli Interni hanno saldato le fatture con 58 giorni medi ponderati di ritardo, il ministero della Giustizia lo ha fatto dopo 52, la Difesa dopo 46 e lo Sviluppo Economico dopo 38. I più virtuosi, invece, sono stati il dicastero dell'Ambiente, che ha anticipato il saldo fattura di 7 giorni, e i ministeri degli Esteri e dell'Economia e delle Finanze che, entrambi, hanno liquidato i fornitori 4 giorni prima della scadenza di pagamento".

A corollario della ricognizione Cgia bisogna ricordare che i dati resi pubblici dal Mef sono un passo importante verso la trasparenza e che sono ancora - e questo invece è da criticare - incompleti per difetti di comunicazione da parte dei soggetti interessati. Ricordano gli artigiani che a seguito dell'introduzione della fatturazione elettronica, obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni dal 31 marzo 2015, escludendo le scuole sono quasi 13.500 le pubbliche amministrazioni che hanno l'obbligo di far transitare i pagamenti sulla piattaforma dei crediti commerciali (PCC) gestita dal MEF. In realtà, ben 6.898 enti, pari al 51,3 per cento del totale, nel 2016 non l'hanno fatto. Ritardi e anticipi di pagamento medi delle Amministrazioni Finanziarie
I peggiori pagatori (anno 2016)
Rank
Amministrazione Finanziaria Giorni di ritardo nei pagamenti
1
Istituto Nazionale Previdenza Sociale - INPS 29
2 Sogei S.P.A. (SOGEI) 14
3 Istituto Naz. Contro Infortuni INAIL 13
4 Equitalia SpA 13

I migliori pagatori (anno 2016)
Rank Amministrazione Finanziaria Giorni di anticipo nei pagamenti
1
Agenzia delle Entrate (AGE) 8
2 Agenzia delle Dogane e dei Monopoli 4
3 Agenzia del Demanio 3
 
Cartella non valida con mancata comunicazione disguido bloccante.
E altri quattro casi invalidità multe

Ancora una volta l'Alta Corte ha rigettato un ricorso dell'Agenzia delle Entrate stabilendo un altro caso quando una cartella si deve giudicare non valida.

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Cartella invalidata se il contribuente non ha ricevuto l’avviso dell’errore bloccante



Viene definita cartella invalidata se al contribente non è stato trasmesso l'errore bloccante, non è stato reso noto il disguido o il problema di un mancato ricevimento. E questo è solo uno dei recenti casi in cui si è espressa in tal modo la Corte Suprema. Ve ne sono almeno altri quattro.


Vi sono differenti casi in cui una cartella può essere invalidata ovvero non essere convalidata e, in cao di multe e sanzioni, non essere pagata. E la maggior parte dei casi derivano da sentenze della magistratura.

Cartella non valida se non viene inviato avviso errore bloccante

Uno dei più recenti casi, è quello di un contribuente che ha trasmesso in modo telematico la propria dichiarazione, ma non è stata recepita dall'Agenzia delle Entrate per un potenziale errore invalidante e, in quetso caso, non aveva potuto così ricevere i rimborsi dovuti per la dichiarazione del 2001.
Con la sentenza del 30 Gennaio 2018 n 2253, la Suprema Corte ha dato ragione all'uomo e ha rifiutato la teoria dell'AGenzia delle Entrate di una differenza tra l'invio e la mancata acquisizione dando l'onere all'Agenzia delle Entrata di dover provare e poi comunicare all'interessato dell'errore bloccante. E' l'Agenzia delle Entrate che ne ha la responsabilità e se non lo ha fatto le colpe sonoa a carico suo.
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E, dunque, il ricorso dell'Agenzia delle Entrate è stato respinto e si è dato ragione al ricorrente


Un secondo recente caso

Da oggi in poco Equitalia o comunque qualsiasi ente di riscossione ha una ragione in più per prestare la massima attenzione nella procedura di riscossione dei crediti per cartelle non pagate. Ma vista anche da un altro punto di vista, i contribuenti hanno un motivo in più per presentare ricorso ovvero opporsi contro le pressioni per il versamento. Lo spunto arriva dal giudice di pace di Rovigo che ha messo nero su bianco un importante principio: la cartella di Equitalia è nulla se non viene verificato l'indirizzo. E la stessa agenzia di riscossione è anche chiamata a pagare le spese a suo carico. Devono perciò essere verificate sia la regolarità della procedura di notifica e sia la validità del titolo. Altrimenti si fa un bel buco nell'acqua.
C'è allora un principio che il magistrato ha voluto precisare ed è destinato a fare giurisprudenza: l'ente di riscossione (ricordiamo che i compiti di Equitalia sono adesso assolti dall'Agenzia delle entrate) non può limitare i suoi compiti alla richiesta dei crediti insoluti da parte dei Comuni e inviare le dovute cartelle esattoriali. Ha anche il compito di verificare che la procedura di notifica e la validità del titolo rispondano ai requisiti normativi. Ed è una mansione al quale può assolvere al meglio e senza difficoltà poiché è soggetto specializzato nel recupero di credito. La sentenza ha preso le mosse dal ricorso vinto da un automobilista che si è visto recapitare una salatissima cartella esattoriale, maggiorata di interessi per ritardi nel pagamento, senza però che abbia mai ricevuto la multa originaria, quella con importo di base.
Un comportamento scorretto e condannato dal giudice di pace che ha annullato la cartella e condannato Equitalia al pagamento delle spese legali. A detta del togato spettava a Equitalia verificare che tutti i passaggi fossero stati seguiti ovvero che i precedenti tentativi non siano andati a buon fine per inadempienza del contribuente e non per inefficienza di Comune e Poste che, a vario titolo, non sono riusciti a raggiungere l'automobilista protagonista della vicenda. Secondo il giudici di pace, Equitalia è una concessionaria specializzato in recupero credito e pagato per questa attività. Di conseguenza, prima di procedere con un titolo inefficace, avrebbe dovuta verificare la bontà e la correttezza formale del procedimento. Cosa che evidentemente non ha fatto e che le è costata una sconfitta in tribunale e il pagamento di tutte le spese processuali. Insomma, una disfatta su tutta la linea.
E c'è anche un altro passaggio di rilievo nelle sentenza del giudici di pace di Rovigo: la verifica della correttezza della notifica degli atti presupposti è un elemento imprescindibile per procedere ad esecuzione, che deve essere verificato dal concessionario procedente, che in caso di mancanza dei presupposti non dovrebbe emettere la cartella esattoriale, ma restituire il fascicolo al Comune che lo ha incaricato. Come dire, sarebbe bastata una telefonata.


Un terzo caso

Tutte lecartelle inviate via Pec da Equitalia sono nulle e continuano ad essere annullate dai tribunali e commissione fiscali regionali e provinciali per un motivo pardassole.
I vari tribunali e commissioni fiscali regionali continuano con diverse sentenza a dare ragione a cittadini e società che ricevono via PEC le catelle esattoriali dichiarandole quasi sempre, la totalità delle volte nulle per vizio di trasmissione. Nullità che porta all'annullamento totale delle cartelle.
L'ultima decisione e sentenza in questo senso è quella della Commissione della Spezia che ha dichiarato nulle delle cartelle inviate ad una Pec di una società immobiliare nel 2015.
Ma se la legge lo consente l'invio via Pec, perchè la maggior parte dei tribunali contabili annulla la trasmissione e rende illecite le cartelle? Quello che è sbagliato è proprio come vengono inviate, la tecnologia che viene scelta.
Infatti, al momento la maggior parte degli uffici di Equitalia prima e l'Agenzia delle Entrate, poi, ha inviato delle email certificate con in allegato il Pdf scansionato della cartella.
Ma il pdf non è il documento originale per prima cosa e secondo elemento non ha la firma originale del funzionario. E' una copia e come tale non è valida.

La soluzione ci sarebbe, ovvero l'invio della cartella attraverso PEC nel formato p7m che è l'unico che consente di integrare anche la firma digitale e che quindi risulta originale, oltre che la stessa cartella è originale e non è una copia. Il problema è che per poter leggere tale formato il computer del ricevente deve avere uno specifico software di cui tutti o quasi risultano sprovvisti al contrario del lettore Pdf che è integrato in tutti i Pc praticamente.
E, dunque. il gatto che si mangia la coda, e sarebbe necessario per evitare l'annullamento di migliaia di cartelle o di ripensare alla legge o alla tecnologia con cui inviarla.


E il grande dubbio....

Secondo alcune sentenze si potrebbe profilare il clamoroso annullamento di tutte le cartelle di Equitalia, ovvero tutte quelle cartelle, multe e sanzioni precedenti all'arrivo dell'Agenzia delle Entrate. E i motivi sono spiegati da difefrenti sentenze.
L'intera impalcatura dell'Agenzia delle entrate è a rischio. Sarà decisiva la sentenza sul ricorso presentato ai giudici amministrativi dal sindacato dei dirigenti del pubblico impiego DirPublica. Motivo della contestazione è l'inglobamento di Equitalia nell'Agenzia delle entrate perché passaggio dei dipendenti dalla società privata all'agenzia pubblica richiederebbe il superamento di un concorso pubblico. La parola spetta dunque ai tribunali, ben sapendo che dal pronunciamento dipende anche una delle più importanti manovre dell'anno: la rottamazione delle cartelle e le stesse cartelle per cui i contribuenti non hanno seguito la strada della definizione agevolata.

Forse è anche per questa ragione che già si vocifera della possibile attivazione di una seconda stagione per rottamare multe, sanzioni e pagamenti non effettuati. La partita si gioca dunque su due piani: giudiziario da una parte, politico dall'altra. C'è un precedente che va tenuto di conto a dimostrazione delle difficoltà dell'Agenzia delle entrate e dell'efficacia dell'azione di DirPublica. Si tratta del recente annullamento del concorso per dirigenti di seconda fascia e sul quale gli stessi giudici amministrativi si erano espressi per il congelamento. Un ragione in più per credere come l'esito di questa nuova battaglia giudiziaria non vada data affatto per scontata.

In ogni caso l'Agenzia delle entrate continua a proseguire lungo la sua strada senza cedimenti. E, anzi, rinnovando la sua inflessibilità nei confronti di chi non paga le rate previste, ma anche per chi lo fa in modo ridotto o ritardato. Nel caso di mancato rispetto di quanto concordato, salta infatti la rottamazione e tornano a scattare sanzioni e interessi delle vecchie cartelle. Non va comunque dimenticato che la società di riscossione deve comunque comunicare al contribuente l'eventuale esistenza di debiti per i quali non è ancora stata emessa la cartella. Si ricorda che la rottamazione vale per tutte le cartelle esattoriali, non solo per quelle di Equitalia. Ed è stata estesa anche ai carichi che sono stati affidati ai concessionari nello scorso anno. In pratica possono essere pagate senza interessi e sanzioni anche le iscrizioni a ruolo fatte dagli altri concessionari. Per le multe stradali, invece, lo buona sostanza riguarda i soli interessi e le altre maggiorazioni previste.

Dopo l'adesione il concessionario della riscossione ha comunicato l'importo complessivo dovuto e le singole rate, con la data di scadenza di ciascuna, inviando anche i bollettini. Le rate sono cinque:
  1. la prima è stata già pagata
  2. la seconda scade in questo mese di settembre 2017
  3. la terza a novembre
  4. la quarta ad aprile 2018
  5. la quinta e ultima a settembre del prossimo anno

L'ammontare non ha parti importo, considerando che il 70% va versato in questo 2017.

Il mancato, insufficiente o tardivo pagamento dell'unica rata o di una delle rate richieste comporta la decadenza della definizione e la ripresa automatica di misure cautelari o esecutive sulle somme residue dovute che non saranno neppure più rateizzabili. Può aderire alla rottamazione anche chi ne ha in corso, definendo però solo la parte residua dovuta e a condizione che le rate in scadenza siano pagate, risultando quindi in regola al 31 dicembre. Le norme stabiliscono che per aderire è stato necessario dichiarare di rinunciare a eventuali contenziosi relativi alle cartelle interessate dalla definizione agevolata.

Cartella nulla non inviata per errore bloccante. E quattro altri casi multe invalide
 
Fisco, la Consulta salva i contribuenti pignorati
Corte Costituzionale, sentenza 31/05/2018 n° 114
http://www.altalex.com/documents/news/2018/06/04/opposizione-esecuzione-esattoriale


Importanti novità in tema di pignoramenti fiscali e tutela dei diritti dei contribuenti.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 114 del 31 maggio scorso, ha dichiarato incostituzionale l’art. 57 del DPR n. 602/73 intervenendo finalmente a colmare un vuoto di difesa per tutti i contribuenti che durava ormai da quasi vent’anni (con l’introduzione del D.lgs. n. 46/99, infatti, il Legislatore aveva modificato la predetta norma limitando fortemente la difesa dei contribuenti in caso di pignoramenti fiscali).

La Corte Costituzionale, infatti, dichiara l’illegittimità costituzionale della norma “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso… sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc” (dispositivo della sentenza).

Ma andiamo con ordine. Per comprendere meglio la portata della sentenza si ritiene opportuno fare un esempio.

Attualmente se una persona subisce un pignoramento da un qualsiasi soggetto e ritiene che questo sia illegittimo, in quanto le pretese sono venute meno – poichè ad esempio già pagate o compensate con altro credito oppure prescritte – può legittimamente opporsi proponendo un’azione chiamata opposizione all’esecuzione, prevista dal nostro Codice di procedura Civile all’articolo 615.

Vai alla Sentenza
Ebbene, fino al 30 maggio 2018 tale opposizione era ammessa nei confronti di tutti i pignoramenti tranne che per quelli fiscali. In realtà, al contribuente veniva consentita l’opposizione all’esecuzione esclusivamente se volta a contestare la pignorabilità dei beni ma si può ben capire che la maggior parte delle contestazioni non era ammessa.

I giudici della Corte Costituzionale sul punto chiariscono come l’impossibilità, dettata dalla norma, per i contribuenti di opporsi al concessionario della riscossione (ex Equitalia e ora Agenzia Entrate Riscossione) “confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 della Costituzione e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 della Costituzione, dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva” (punto 14 della sentenza).

Si ritiene, dunque, che la tutela dei diritti dei contribuenti abbia fatto un grosso passo avanti anche se ancora non del tutto completa.

Leggendo infatti il dettato della sentenza emerge chiaramente come i giudici dichiarino l’illegittimità costituzionale della norma solo “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso … sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc” (dispositivo della sentenza).

Ciò vuol dire che attualmente se da una parte viene consentito ai cittadini di opporsi ai pignoramenti del Fisco, dall’altra parrebbe ancora inammissibile un’azione preventiva seppur consentita dall’art. 615 c.p.c.

L’opposizione all’esecuzione, infatti, permette al debitore di opporsi al creditore sia prima che questo inizi l’azione esecutiva (ossia prima del pignoramento, si veda l’art. 615, 1° comma, c.p.c.) che a seguito della stessa (art. 615, 2° comma, c.p.c.).

Pertanto, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, ci si trova ancora nella situazione che qualora il contribuente dovesse venire a conoscenza di un suo presunto debito tributario (ad esempio attraverso la consegna dell’estratto dei ruoli da parte del concessionario della riscossione), egli non potrà agire in via preventiva – magari per rilevare l’avvenuto pagamento o la prescrizione delle pretese – ma avrà solo la possibilità aspettare il pignoramento con il rischio però di subire gravi e illegittimi danni da un’azione di quel genere (si pensi a un pignoramento presso terzi nei confronti di clienti del contribuente o a un pignoramento presso la banca, ecc…).

Nel primo caso il contribuente oggi può solo tentare di agire in via di autotutela, comunicando all’amministrazione i motivi per i quali le pretese non sono dovute (e magari diffidandola a non agire), ma un ampliamento dei diritti di difesa anche in questi casi sarebbe sicuramente opportuno.
 

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