Ferragosto 1971 : il crollo di Bretton Woods

Fleursdumal

फूल की बुराई
FERRAGOSTO DI 35 ANNI FA IL CROLLO DI BRETTON WOODS
(ANSA) - ROMA, 14 ago - Ferragosto 1971: il presidente
americano Richard Nixon decide di mettere fine al sistema di
cambio che ha governato il mercato mondiale dalla fine della
seconda guerra mondiale e sceglie di abbandonare definitivamente
la parità tra dollaro e oro sancita nel 1944 dagli accordi di
Bretton Woods, cittadina del New Hampshire che ospitò la
Conferenza finanziaria internazionale.
Il sistema di cambi fissi crollava esattamente 35 anni fa,
con un trauma per l'economia internazionale, fino ad allora
regolata rigidamente in base ad un "liberismo controllato",
fatto di regole e procedure concordate tra i paesi, e da allora
in poi dominata invece solo dal mercato e dalle sue esigenze. Da
quel ferragosto la faccia dell'economia mondiale è cambiata
radicalmente: la decisione di Nixon fu una vera rivoluzione che
ha rafforzato il ruolo degli Stati Uniti nell'economia globale,
ponendo le condizioni, o le premesse, per la loro supremazia
economica a livello internazionale.
Finché il dollaro rimase ancorato all'oro e alle altre
valute, gli Usa dovevano infatti operare per rispettare quella
parità e non potevano distribuire arbitrariamente la propria
moneta per il mondo, generando al contempo inflazione. Dal 1971
in poi, invece, liberi da ogni vincolo monetario, gli Stati
Uniti sono stati in grado di finanziarie operazioni all'estero,
semplicemente stampando moneta. E ampliando così la loro
influenza economica e politica sugli altri continenti.
Proprio a questa rivoluzione è dedicato uno studio del
ricercatore fiorentino Duccio Basosi, contenuto nel libro di
Ennio di Nolfo 'Il governo del dollaro'' in uscita a settembre.
Basosi dimostra in particolare come la decisione di Nixon, per
molti storici inconsapevole ed inevitabile, fu invece ragionata
e deliberata. "L'operato di Nixon non fu casuale, né
obbligato, ma frutto di una decisione politica. Naturalmente -
spiega il ricercatore - egli non aveva la coscienza esatta di
tutte le conseguenze che ne sarebbero seguite, però le
affermazioni dei protagonisti della manovra americana dimostrano
una loro piena coscienza d'azione". Basosi sottolinea quindi
l'irritazione degli europei di fronte all'abbandono di Bretton
Woods: per rispondere a quello che percepiscono come un
"sopruso", l'Europa cercherà di organizzarsi già da allora
per costruire una comune valuta, ma soprattutto un forte blocco
monetario; mentre gli Usa, dall'altra parte, mineranno
sistematicamente i tentativi europei di arrivare a una
sufficiente stabilità.
 
Ferragosto 2006 - Il volo di Wall Street

:D :D :D

domani prevedo una sospensione al rialzo delle mie Eems...che botto!!!
 
F&M di ieri

Un’altra Bretton Woods contro il caos valutario»


Trentacinque anni dopo, gli accordi di Bretton Woods sono ancora d’attualità. Il 15 agosto 1971, il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, li sciolse ufficialmente, dichiarando da Camp David la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, perché il Tesoro americano non era più in grado di fronteggiare il regime valutario a cambi fissi. Allo standard aureo, che prevedeva l’ancoraggio del biglietto verde all’oro e di tutte le divise mondiali a quella Usa, seguì un sistema di cambi flessibili. Lievemente mitigato dall’introduzione del Sistema monetario europeo, nel 1979 e poi, nel 1999, dall’euro. Proprio la liberalizzazione del regime monetario, tuttavia, ha causato squilibri finanziari e commerciali rilevanti. Fenomeni che negli ultimi anni, complici il boom economico di Cina e India e il conseguente maxi indebitamento degli Stati Uniti, hanno riportato d’attualità la necessità di un coordinamento valutario a livello globale. Necessità di cui è convinto sostenitore Franco Bruni, ordinario di Teoria e politica monetaria internazionale all’Università Bocconi di Milano.

Professor Bruni, quali sono le analogie tra il 1971 e oggi sotto il profilo macroeconomico?
Ce ne sono almeno due: la debolezza del dollaro e le pressioni inflazionistiche. Se Nixon decise di porre fine alla convertibilità del biglietto verde in oro, fu perché la moneta statunitense mostrava chiari segnali di cedimento. Il dollaro non riusciva più a reggere un regime di cambi fissi, senza alimentare una forte dinamica inflativa che stava già impattando sui salari. E che avrebbe potuto alimentare il caro-materie prime.
Quello venne qualche anno dopo, con la crisi petrolifera del 1973...
Sì, fu proprio lo choc del greggio a chiudere definitivamente l’era di Bretton Woods. Per qualche tempo si era infatti trascinato, seppure virtualmente, il regime di tassi fissi ancorati al dollaro. Per tornare alla risposta precedente, tuttavia, vorrei parlare anche delle differenze tra il 1971 e oggi.

Quali sono?
Essenzialmente due. La prima è che all’epoca la bilancia commerciale degli Stati Uniti - grazie all’introduzione della libera circolazione dei capitali - era in forte avanzo nei confronti del mondo. Gli Usa erano creditori netti. Una posizione invidiabile che derivava anche dal sistema a cambi fissi in regime fino a quel momento. Oggi è diverso: i deficit gemelli stanno crescendo a dismisura e le stampelle su cui si regge l’economia americana sono ogni giorno più instabili. La diversificazione delle riserve da parte delle banche centrali è ormai una tendenza consolidata. Ed è soltanto uno degli elementi che costringeranno gli Stati Uniti, presto o tardi, a scendere a miti consigli. Ma non sarà facile: e qui subentra la seconda differenza tra il 1971 e oggi.

Ovvero?
Il fatto che allora c’era più volontà di cooperazione nel mondo sulle grandi politiche valutarie e macroeconomiche. Stimolata proprio dalla fine del regime a cambi fissi. Poi, quella volontà, si è andata via via perdendo: è rimasta soltanto in Europa, dove tra mille difficoltà è nato l’euro. Ecco, credo che proprio questa mancanza di cooperazione renderà dura la vita agli Stati Uniti, che non possono pensare di uscire dall’attuale crisi debitoria con una manovra unilaterale. Non basta e non serve una svalutazione aggressiva del dollaro: c’è invece bisogno di un’azione coordinata su tutte le valute, a partire da quelle asiatiche. E c’è anche bisogno di una consapevolezza politica (in primis americana), che fino a oggi non c’è stata.

Il nuovo segretario al Tesoro, Henry Paulson, le sembra più avveduto sul tema valutario rispetto al predecessore, John Snow?
Certamente sì, Paulson è un uomo di mercato. Ma per fare certe cose serve la volontà politica. E quella purtroppo manca.
E il Fondo monetario internazionale non potrebbe attivarsi?
Lavora bene, sotto il profilo valutario. Ha piena consapevolezza che senza un coordinamento globale gli squilibri sono destinati ad aumentare fino a diventare insostenibili. Recentemente, il Fondo ha convocato una conferenza globale per affrontare proprio questi squilibri e cercare di risolverli. La cosa più incoraggiante è che i cinque Paesi convocati non sono i soliti noti ma Europa, Cina, Arabia Saudita, Stati Uniti e Giappone. È da questi colossi che deve partire una vera riforma del mercato monetario.

Ci sono speranze che questa iniziativa porti a risultati concreti?
Dipenderà, ripeto, dalla volontà politica. Soprattutto da quella degli Stati Uniti. Il problema è che il Fondo monetario è un feudo americano e la maggior parte delle riforme che, per una ragione o per l’altra, non aggradano agli Usa si sono sempre fermate all’ufficio studi senza neppure essere discusse.
A 35 anni da Bretton Woods sembra insomma che l’abolizione dei tassi fissi abbia portato più che altro a un’anarchia sul mercato dei cambi. Fu una decisione giusta?
Fu una decisione presa per abolire un regime monetario ormai insostenibile. Ma oggi, più del disordine valutario, preoccupa soprattutto la mancanza di coordinamento necessaria per risolverlo.
 
il sistema economico è un organismo "adattivo-autoperpetuantesi"

NON DATE CONTO A I CATASTROFISTI ...a i profeti di imminenti crak o visioni apocalittiche.....

la dimostrazione è sotto gl'occhi di tutti.....

basta prendersi un grafico del DOW dal 1900 a oggi.....

pure la storia dell'espanzione abnorme dell M3 ...anche quella il sistema sta riassorbendo senza impattare su fenomeni inflattivi.......

insomma è giusto che ci sia sempre un contraltare ...ma qui in questo caso anche nel breve ...ma comunque nel MEDIO-LUNGO non si può che SALIREEEEE

a i posteri l'ardua sentenza.....ma a i vivi......i profitttt.. :D da LONGGGGGGGG
 
giuseppe.d'orta ha scritto:
.... Se Nixon decise di porre fine alla convertibilità del biglietto verde in oro, fu perché la moneta statunitense mostrava chiari segnali di cedimento. Il dollaro non riusciva più a reggere un regime di cambi fissi, senza alimentare una forte dinamica inflativa che stava già impattando sui salari. E che avrebbe potuto alimentare il caro-materie prime.
....
questo prof Bruni sarà bravissimo, ma nel passaggio evidenziato o si è espresso male o è stato riportato male, mi pare :rolleyes:

nel '71 la guerra del Vietnam avrebbe imposto di prendere atto della svalutazione del dollaro diminuendone il valore di conversione in oro

non si scelse questa strada nel timore che ciò avrebbe fatto ulteriormente diminuire la fiducia nel verdone, pensando che, al contrario, la fine della convertibilità avrebbe potuto togliere lustro all'oro a vantaggio del dollaro e degli USA

in effetti nel '71 si ha il primo tentativo di manovrare al ribasso il prezzo dell'oro e delle materie prime (fallito anche per la mancata collaborazione delle altre banche centrali - e ricordiamo che il mondo era spaccato in due, anzi in tre contando i non allineati, molto più che negli anni '90, quando la suddetta manovra ha avuto pieno successo, proprio per la collaborazione internazionale con gli USA, ormai unica superpotenza)

si ebbe invece quasi subito l'effetto contrario, che ricevette grande e decisivo impulso con la decisione degli Arabi (non estranea l'USSR) di chiudere i rubinetti del petrolio con la scusa della guerra di Kippur
 

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