tontolina
Forumer storico
Manca il grano
Maurizio Blondet
21/06/2007
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2088¶metro=
Le scorte mondiali di cereali stanno calando: nel 2000 bastavano ad alimentare l’umanità per 115 giorni, nel 2008 basteranno per 53 giorni.
Otto anni di calo consecutivo, e il punto più basso nel mezzo secolo precedente.
Il dato è del ministero dell’Agricoltura americano (USDA).
Quanto a Darry Qualman, esperto canadese (il Canada è fra i massimi produttori di granaglie) accusa varie cause: scarsità crescente di acqua, aumento della popolazione, degrado della fertilità dei terreni, rincaro dei fertilizzanti e carburanti.
Il tutto è peggiorato dalla crescente produzione di bio-carburanti, che sottraggono le granaglie al consumo come alimento.Per esempio, l’America destina ormai un quinto dei suoi raccolti di granturco alla produzione di etanolo, contro il 4% del 2000.
I prezzi del granturco sono raddoppiati nell’ultimo anno.
L’India è tornata ad essere una importatrice di frumento, per la prima volta dal 1975.
E la Cina diverrà deficitaria dal 2008.
Ciò ha ricadute a catena nel settore finanziario.
Si parla con insistenza di «ag-flation» o «food inflation», rincaro inflazionistico dei prodotti agricoli.
In Cina, in maggio, tale inflazione specifica ha raggiunto l’8,3% in maggio; ma uova e carne (prodotti dipendenti da mangimi cereali) sono rincarati del 33 e del 27%.
In Gran Bretagna la food inflation ha toccato il 6%, in Europa, il burro è rincarato del 40% in un anno.
In Australia, vasto produttore, il 4,9 %.
In America il 3,9.
In Europa, il 2,5.
La Banca Centrale neozelandese ha comunicato che il rincaro locale del latte - un rincaro del 60% nell’anno - è il motivo per cui ha aumentato il tasso d’interesse primario dell’8%. (1)
Perché ecco una delle conseguenze sgradevoli: la scarsità di cibo, con conseguente inflazione, produce l’aumento del costo del denaro.
«L’agro-inflazione persistente indurrà le Banche Centrali europee a mantenere una politica monetaria restrittiva», dice Juergen Michels, analisti economico per l’Europa al Citigroup.
E Jeffrey Currie, analista a Goldman Sachs: «Il rincaro delle granaglie non è una punta transitoria, ma al contrario è l’inizio di un rialzo strutturale dei prezzi».
Come si vede, le banche d’affari speculative si interessano di agricoltura.
Il perché è intuitivo: è «La fine del credito facile» (The end of cheap credit), come suona il titolo di un articolo che l’economista Robert Samuelson ha pubblicato sul Washington Post.
«Col crescere del costo del denaro, la corsa all’indebitamento si indebolisce, e di conseguenza rallenta l’economia»: l’economia mondiale finanziata da colossali debito a basso costo.
Anzitutto, l’effetto sarà la fine della corsa trionfale alle fusioni-acquisizioni cui i colossi multinazionali si sono dedicati negli anni scorsi.
«Non è possibile prevedere il momento esatto in cui tutti finalmente capiranno che il prezzo pagato per queste aziende, e il debito contratto per le loro acquisizioni, è insostenibile», ha scritto Steve Pearlstein, altro economista, sul Washington Post: «Ma quando accadrà, sarà brutta. Il valore delle imprese, e dunque della azioni, cadrà. Le banche licenzieranno. Alcuni fondi speculativi (hedge funds) faranno bancarotta, diverse imprese falliranno».
Poi, la seconda ondata: «Il calo delle azioni obbligherà le aziende a non assumere più e a ridurre gli investimenti, mentre lo Stato aumenterà le tasse o ridurrà i servizi pubblici, in quanto diminuirà l’introito fiscale estratto dalle imprese. Il combinato disposto di decrescita dei valori e di aumento delle tasse indurrà i consumatori a ridurre i consumi, che sono [in America] finanziari col debito. Molti dovranno vendere la casa, di cui stanno pagando il mutuo, in un mercato immobiliare a prezzi crescenti. Scopriremo che il lungo periodo di indebitamento a basso costo lascia un residuo amarissimo», dice Samuelson.
Sempre più numerosi sono gli economisti che si aspettano quella che uno di loro, Michael Hudson, chiama «una rottura nella lunga catena del pagamento dei debiti: nella lunga catena (o montagna di debiti accumulati l’uno sull’altro) basta che un debitore sia insolvente per rendere insolventi tutti gli altri».
L’effetto: «Un lungo crack economico al rallentatore, con deflazione di attivi, insolvenze di massa sui mutui»; ma anche un «enorme arraffamento di ricchezze reali» da parte di chi avrà, nella crisi, denaro contante.
Case di falliti, terreni, aziende ottime ma in bancarotta, si venderanno allora per un pezzo di pane.
La domanda è: ma chi ha denaro contante in un crollo a catena di livello globale?
La grande criminalità anzitutto, che lavora per contanti, ricicla ed accumula i proventi delle droghe, delle armi, della prostituzione.
E’ probabile che i «nuovi grandi imprenditori» che emergeranno dal disastro saranno i criminali e le loro cosche organizzate, com’è successo nella Russia di Eltsin.
Ma un altro attore, non bollato come delinquenziale, si sta preparando alla pacchia: il Gruppo Carlyle, il fondo chiuso di Bush padre che ha come soci suoi ex ministri ed altre personalità ben ammanicate e ben informate con i poteri pubblici.
In un memorandum ai manager del gruppo, datato gennaio 2007, William Conway Jr., socio fondatore della Carlyle, ha scritto chiaro: quando «finirà l’attuale situazione di liquidità [ossia il credito facile] le opportunità d’acquisto saranno una di quelle fortune che capitano una sola volta nella vita».
La Carlyle ha grandi capitali accumulati, in attesa di far man bassa di miniere e giacimenti falliti per ristrettezza di credito, terreni, immobili gravati da mutui impagabili, di aziende strangolate dagli interessi sui fidi, improvvisamente rialzati.
A perdere saranno i lavoratori.
Quelli americani, i cui piani pensionistici sono impegnati in fondi azionari, che seguiranno il destino delle azioni, ossia il naufragio; ma anche quelli italiani, a cui il governo e i sindacati fanno sputare il TFR per metterlo in fondi similari.
E tutti i poveracci a reddito fisso, a rischio di disoccupazione e con rincari di tasse e costi per vivere.
La fine del benessere virtuale.
Nelle precedenti crisi, il capo della Federal Reserve (Alan Greenspan) ha scongiurato il prosciugamento del credito iniettando spudorate quantità di liquidità nel «mercato»… ma il suo successore Ben Bernanke mantiene alti i tassi: perchè l’inflazione «rialza la testa», come dice il gergo dei banchieri.
Ciò è vero e no.
Aumentano i cereali, rincarano le materie prime; ma, in USA almeno, decrescono i prezzi degli immobili, il massimo attivo dei consumatori USA.
La verità è che Bernanke non può permettersi di abbassare troppo i tassi sui Buoni del Tesoro, altrimenti la Cina - che detiene immensi attivi in Buoni del Tesoro - sarebbe indotta in tentazione di liberarsi di quei dollari, più che liquidi, deliquescenti.
E la Cina potrebbe essere il terzo attore capace di cogliere «la fortuna di una vita», acquistando a man bassa imprese, miniere, terreni…
Manca il «grano», ma non a tutti.
Maurizio Blondet
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Note
1) «World food shortages: pushing interest rates up», LiveJournal, 20 giugno 2007.
2) Richard Cook, «It’s offical: the crash of Us economy ha begun», GlobalResearch, 14 giugno 2007. Cook è un ex dirigente del Dipartimento del Tesoro USA. E’ lui ad indicare che la Carlyle è pronta ad approfittare della «fortuna» della crisi imminente.
Maurizio Blondet
21/06/2007
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2088¶metro=
Le scorte mondiali di cereali stanno calando: nel 2000 bastavano ad alimentare l’umanità per 115 giorni, nel 2008 basteranno per 53 giorni.
Otto anni di calo consecutivo, e il punto più basso nel mezzo secolo precedente.
Il dato è del ministero dell’Agricoltura americano (USDA).
Quanto a Darry Qualman, esperto canadese (il Canada è fra i massimi produttori di granaglie) accusa varie cause: scarsità crescente di acqua, aumento della popolazione, degrado della fertilità dei terreni, rincaro dei fertilizzanti e carburanti.
Il tutto è peggiorato dalla crescente produzione di bio-carburanti, che sottraggono le granaglie al consumo come alimento.Per esempio, l’America destina ormai un quinto dei suoi raccolti di granturco alla produzione di etanolo, contro il 4% del 2000.
I prezzi del granturco sono raddoppiati nell’ultimo anno.
L’India è tornata ad essere una importatrice di frumento, per la prima volta dal 1975.
E la Cina diverrà deficitaria dal 2008.
Ciò ha ricadute a catena nel settore finanziario.
Si parla con insistenza di «ag-flation» o «food inflation», rincaro inflazionistico dei prodotti agricoli.
In Cina, in maggio, tale inflazione specifica ha raggiunto l’8,3% in maggio; ma uova e carne (prodotti dipendenti da mangimi cereali) sono rincarati del 33 e del 27%.
In Gran Bretagna la food inflation ha toccato il 6%, in Europa, il burro è rincarato del 40% in un anno.
In Australia, vasto produttore, il 4,9 %.
In America il 3,9.
In Europa, il 2,5.
La Banca Centrale neozelandese ha comunicato che il rincaro locale del latte - un rincaro del 60% nell’anno - è il motivo per cui ha aumentato il tasso d’interesse primario dell’8%. (1)
Perché ecco una delle conseguenze sgradevoli: la scarsità di cibo, con conseguente inflazione, produce l’aumento del costo del denaro.
«L’agro-inflazione persistente indurrà le Banche Centrali europee a mantenere una politica monetaria restrittiva», dice Juergen Michels, analisti economico per l’Europa al Citigroup.
E Jeffrey Currie, analista a Goldman Sachs: «Il rincaro delle granaglie non è una punta transitoria, ma al contrario è l’inizio di un rialzo strutturale dei prezzi».
Come si vede, le banche d’affari speculative si interessano di agricoltura.
Il perché è intuitivo: è «La fine del credito facile» (The end of cheap credit), come suona il titolo di un articolo che l’economista Robert Samuelson ha pubblicato sul Washington Post.
«Col crescere del costo del denaro, la corsa all’indebitamento si indebolisce, e di conseguenza rallenta l’economia»: l’economia mondiale finanziata da colossali debito a basso costo.
Anzitutto, l’effetto sarà la fine della corsa trionfale alle fusioni-acquisizioni cui i colossi multinazionali si sono dedicati negli anni scorsi.
«Non è possibile prevedere il momento esatto in cui tutti finalmente capiranno che il prezzo pagato per queste aziende, e il debito contratto per le loro acquisizioni, è insostenibile», ha scritto Steve Pearlstein, altro economista, sul Washington Post: «Ma quando accadrà, sarà brutta. Il valore delle imprese, e dunque della azioni, cadrà. Le banche licenzieranno. Alcuni fondi speculativi (hedge funds) faranno bancarotta, diverse imprese falliranno».
Poi, la seconda ondata: «Il calo delle azioni obbligherà le aziende a non assumere più e a ridurre gli investimenti, mentre lo Stato aumenterà le tasse o ridurrà i servizi pubblici, in quanto diminuirà l’introito fiscale estratto dalle imprese. Il combinato disposto di decrescita dei valori e di aumento delle tasse indurrà i consumatori a ridurre i consumi, che sono [in America] finanziari col debito. Molti dovranno vendere la casa, di cui stanno pagando il mutuo, in un mercato immobiliare a prezzi crescenti. Scopriremo che il lungo periodo di indebitamento a basso costo lascia un residuo amarissimo», dice Samuelson.
Sempre più numerosi sono gli economisti che si aspettano quella che uno di loro, Michael Hudson, chiama «una rottura nella lunga catena del pagamento dei debiti: nella lunga catena (o montagna di debiti accumulati l’uno sull’altro) basta che un debitore sia insolvente per rendere insolventi tutti gli altri».
L’effetto: «Un lungo crack economico al rallentatore, con deflazione di attivi, insolvenze di massa sui mutui»; ma anche un «enorme arraffamento di ricchezze reali» da parte di chi avrà, nella crisi, denaro contante.
Case di falliti, terreni, aziende ottime ma in bancarotta, si venderanno allora per un pezzo di pane.
La domanda è: ma chi ha denaro contante in un crollo a catena di livello globale?
La grande criminalità anzitutto, che lavora per contanti, ricicla ed accumula i proventi delle droghe, delle armi, della prostituzione.
E’ probabile che i «nuovi grandi imprenditori» che emergeranno dal disastro saranno i criminali e le loro cosche organizzate, com’è successo nella Russia di Eltsin.
Ma un altro attore, non bollato come delinquenziale, si sta preparando alla pacchia: il Gruppo Carlyle, il fondo chiuso di Bush padre che ha come soci suoi ex ministri ed altre personalità ben ammanicate e ben informate con i poteri pubblici.
In un memorandum ai manager del gruppo, datato gennaio 2007, William Conway Jr., socio fondatore della Carlyle, ha scritto chiaro: quando «finirà l’attuale situazione di liquidità [ossia il credito facile] le opportunità d’acquisto saranno una di quelle fortune che capitano una sola volta nella vita».
La Carlyle ha grandi capitali accumulati, in attesa di far man bassa di miniere e giacimenti falliti per ristrettezza di credito, terreni, immobili gravati da mutui impagabili, di aziende strangolate dagli interessi sui fidi, improvvisamente rialzati.
A perdere saranno i lavoratori.
Quelli americani, i cui piani pensionistici sono impegnati in fondi azionari, che seguiranno il destino delle azioni, ossia il naufragio; ma anche quelli italiani, a cui il governo e i sindacati fanno sputare il TFR per metterlo in fondi similari.
E tutti i poveracci a reddito fisso, a rischio di disoccupazione e con rincari di tasse e costi per vivere.
La fine del benessere virtuale.
Nelle precedenti crisi, il capo della Federal Reserve (Alan Greenspan) ha scongiurato il prosciugamento del credito iniettando spudorate quantità di liquidità nel «mercato»… ma il suo successore Ben Bernanke mantiene alti i tassi: perchè l’inflazione «rialza la testa», come dice il gergo dei banchieri.
Ciò è vero e no.
Aumentano i cereali, rincarano le materie prime; ma, in USA almeno, decrescono i prezzi degli immobili, il massimo attivo dei consumatori USA.
La verità è che Bernanke non può permettersi di abbassare troppo i tassi sui Buoni del Tesoro, altrimenti la Cina - che detiene immensi attivi in Buoni del Tesoro - sarebbe indotta in tentazione di liberarsi di quei dollari, più che liquidi, deliquescenti.
E la Cina potrebbe essere il terzo attore capace di cogliere «la fortuna di una vita», acquistando a man bassa imprese, miniere, terreni…
Manca il «grano», ma non a tutti.
Maurizio Blondet
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Note
1) «World food shortages: pushing interest rates up», LiveJournal, 20 giugno 2007.
2) Richard Cook, «It’s offical: the crash of Us economy ha begun», GlobalResearch, 14 giugno 2007. Cook è un ex dirigente del Dipartimento del Tesoro USA. E’ lui ad indicare che la Carlyle è pronta ad approfittare della «fortuna» della crisi imminente.