I tedeschi regalano altri sommergibili a Israele

hai ragione

tontolina ha scritto:
se è vero quel che leggo

gli israeliani hanno bisogno di un'altra purga ....

non è forse una questione ciclica?
in egitto
in persia (oggi Iraq)
deportati dai romani
ghettizzati nel medioevo
trucidati da hitler

oggi sono peggio dei loro persecutori ...
ringraziamo il MOSSAD...
quando l'america "democratica" si sveglierà?
certo non l'america dei BUSH narcotrafficanti

siccome Hitler ne ha avanzati qualche milione e gli arabi non sono riusciti ad eliminarli ancora (ma aspetta appena l'Iran ci ha l'atomica) gli ultimi rimasti sono a volte un irritati di dover mandare i figli a scuola su autobus diversi in modo tale che almeno uno sia sicuro di tornare a casa; e a volte trascendono.
Pensa te sono pure tornati nelle terre dei loro avi................comunque qualche posto glielo troveranno................magari molto caldo..................a fianco di una pizza :(
 
........

tontolina ha scritto:
Si ritiene che il 75% del traffico mondiale di ecstasy (mezzo milione di pillole consumate ogni anno) sia controllato dalla mafia ebraica, a sua volta infiltrata dal Mossad che dello spaccio fa uno dei suoi metodi di finanziamento; questo genere di commercio è collegato alla vendita illegale di armi e al riciclaggio.
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=810&parametro=economia


che suppongo abbia anche informato gli ebrei di non essere nelle torri gemelle l'11 Settembre :lol:

ma le bevi proprio tutte.D'altronde se si pensa che Arafat si è preso il nobel x la pace è tutto dire..... :sad:
 
se uno è imb..ille

tontolina ha scritto:
inoltre :specchio:

alla vigilia della festa dell'Immacolata Concezione, la riproduzione di una statuina della Madonna infilata in un preservativo, con il titolo: «Extra Virgin», «opera originale di arte contemporanea», creata dallo scultore londinese di origine ebraica Steve Rosenthal del Chelsea College of Art.

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=861¶metro=

può essere inglese o tedesco,ebreo o mussulmano..........sempre imbec..le :( è
 
seeeeeeeeeeeeeeeee

tontolina ha scritto:
http://www.disinformazione.info/israele11settembre.htm


visto che tirato su un muro ,nn ci sono+stati attentati?
I terroristi ,non hanno patria.Basta che ci sia da far saltare gente civile:che sia Giordania,Israele,Algeria o Iraq
 
è bene che sappiate che CLINTON è il mio preferito per cui non mi detesterete se metto in evidenza che il MOSSAD è un'associazione terroristica e non mi accuserete più di antisionismo.....

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=889&parametro=

Confermato: Monica Lewinsky trappola per Clinton
Maurizio Blondet
09/01/2006
6 novembre 1996, la trappola e' scattataWASHINGTON - Jerry Falwell è il più influente dei telepredicatori americani, uno degli strateghi nella ormai lunga storia d'amore fra i protestanti apocalittici USA («cristiani rinati»), la lobby ebraica e l'estremismo sionista del Likud.
E' quello a cui Menachem Begin regalò un aereo privato Learjet per i suoi meriti nello spingere la Casa Bianca (70 milioni di americani seguono i tele-evangelisti) ad accettare l'estremismo israeliano.
Adesso Jerry Falwell ha raccontato a Vanity Fair, vantandosene, come lui e Bibi Netanyahu, allora premier israeliano, usarono la relazione tra Clinton e Monica Lewinsky per forzare il presidente americano a non fare più pressioni per il ritiro di Israele dai territori occupati.
Falwell racconta come nel '98 a Washington lui accolse Netanyahu, appena arrivato perché la sera seguente doveva parlare con Bill Clinton.
Falwell organizzò un bagno di folla per «Bibi», radunando un migliaio di protestanti super-sionisti osannanti.
«Netanyahu ci parlò quella sera. Fu lui a organizzare la cosa [la trappola Lewinsky], perché ce l'aveva a morte con Clinton».

Nell'incontro la sera seguente, la pressione di Clinton su Netanyahu infatti mancò.
«Era scoppiato lo scandalo Lewinsky…Clinton doveva salvare se stesso, sicchè pose termine alle richieste [di abbandonare i territori occupati], che sarebbe stata una cosa pessima per Israele» (1).
Falwell non spiega di più.
Ma l'incontro fra Clinton e l'israeliano ebbe luogo il 20 gennaio 1998, la un giorno prima che lo «scandalo sessuale» scoppiasse su tutti i media.
Di fatto però, ricostruisce Michael Piper Collins (un coraggioso giornalista di American Free Press) (2) già qualche giorno prima che lo scandalo scoppiasse un giornalista famoso aveva alluso a imminenti rivelazioni su un salace fatto sessuale alla Casa Bianca.
Questo giornalista ben informato era William Kristol, uno dei più influenti neoconservatori allievi di Leo Strauss e amico di Wolfowitz, Perle e Leeden, nonché direttore del Weekly Standard.
Ma non basta.
Sei giorni prima - ossia il 15 gennaio - un altro influente periodico, il Washington Jewish Week, aveva pubblicato un articolo in cui accusava Clinton di «aver voltato le spalle ad Israele».
Articolo e titolo erano solo il pretesto per pubblicare una foto che mostrava Clinton di schiena: un fotogramma del video che sarebbe diventato famoso, dove si vedeva Clinton abbracciare la grassoccia Monica confusa in una fila di altre «intern».

Il video risaliva al 1996, e nulla di esso era stato mai pubblicato prima.
La Lewinsky aveva mostrato quel video a varie sue amiche vantandosi della relazione con il presidente.
La pubblicazione della foto era evidentemente un «messaggio» minaccioso a Clinton.
Falwell racconta che Netanyahu gli riferì, a proposito del suo colloquio col presidente, che Clinton l'aveva scherzosamente minacciato: «so dove sei stato ieri sera», alludendo alla sua serata coi fondamentalisti protestanti (ostili a Clinton).
Ingenuo: il Mossad sapeva da anni «dove era stato ieri sera» Bill Clinton, e gli aveva teso la nota trappola al miele.

Maurizio Blondet




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Note
1) Craig Unger, «American Rapture», Vanity Fair, dicembre 2005. Jerry Falwell è uno dei «teologi» dispensazionalisti che dicono di credere imminente la «rapture», il rapimento in cielo dei buoni cristiani, mentre i cattivi resteranno a soffrire sulla terra nella «grande tribolazione» che precederà il secondo avvento di Cristo e la fine del mondo. In questo interregno di tribolazione («dispensazione») il cristianesimo scomparirà, e a dominare sarà il popolo d'Israele. Su questa fanta-teologia tali fanatici messianici basano il loro appoggio ad Israele: conquistando la «terra santa», essa «accelera» il secondo avvento. Quanto a Vanity Fair, vale la pena di ricordare che la rivista appartiene ai fratelli Newhouse, la 25ma famiglia più ricca in America. I Newhouse contribuiscono con milioni di dollari alla Anti-Defamation League.
2) Michael Collins Piper, che collabora con il periodico Spotlight, è autore di «The New Jerusalem» (una mappa informatissima sulle ramificazioni del potere ebraico in USA) e di «The high priests of war», il primo libro sull'ascesa politica dei neocon.
 
Quando diranno «pace e sicurezza»
Maurizio Blondet
10/01/2006
Ciò che vuole Israele nei suoi umori profondi, scrive su Il Corriere Gianni Riotta, è «pace e sicurezza, insieme, per sempre».
Il binomio pace-sicurezza è il cuore ambiguo della politica israeliana, e sempre ambiguamente collegati i due concetti.
James Bennet, sul New York Times, spiega che Sharon «ha rovesciato la logica per porre fine al conflitto [coi palestinesi] adottata dai suoi predecessori Rabin e Barak. Mentre costoro cercavanola ‘sicurezza’ attraverso accordi di pace, Sharon insisteva che solo la sicurezza può portare la pace. I palestinesi debbono deporre le armi prima che un negoziato cominci».
Sembra perfettamente lineare.
Ma l’analisi dei fatti rivela grovigli e doppiezze semi-confessate, psicanaliticamente subconscie. Barak per esempio, mentre s’imbarcava in accordi di «pace» coi palestinesi, è stato il premier israeliano che più (più ancora di Sharon) ha ingrossato e moltiplicato gli insediamenti israeliani nei territori occupati.
E’ così che si aspira lealmente alla «pace»?
Occupando surrettiziamente territori che sono oggetto del negoziato e che dovranno essere secondo giustizia restituiti?



La «pace» non venne, venne la seconda intifada.
Israele ha affidato tutto a Sharon, che «rovescia la logica».
Se volete la «pace», intima ai palestinesi, dovete garantirci la nostra «sicurezza» in via preliminare. Deponete le armi prima di ogni negoziato.
Ora, le armi dei palestinesi sono kalashnikov e qualche razzo Kassam fabbricato in cantina, che non arriva mai sul bersaglio.
La loro sola arma efficace, l’attentato suicida, è azzerata dal «muro» di 700 chilometri che Sharon ha costruito attorno agli israeliani, per farli sentire sicuri.
L’armamento israeliano è il terzo del mondo.
Oltre 300 bombe atomiche, caccia, missili da crociera, elicotteri d’assalto, capacità di secondo colpo nucleare.

E Sharon disse: «voi» deponete le armi, noi no.
Perché voi minacciate la nostra sicurezza e dobbiamo essere armatissimi.
Nemmeno una riduzione bilaterale e controllata degli armamenti (quelli ridicoli palestinesi e quelli letali e di massa israeliani), niente.
«Voi disarmate» vuol dire, in questa situazione: esponete il petto alla nostra aggressione che continuerà finchè noi vorremo, e con la crudeltà che noi vorremo.
Questa non è «pace», è la pretesa della guerra assoluta contro inermi.



Persino Bennet ammette che qui c’è un trucco: i moderati dell’autorità palestinese hanno bisogno di qualche risultato strappato al tavolo di negoziati per guadagnare l’appoggio del loro popolo, e porre un freno ai cani sciolti del loro terrorismo.
Sharon ha negato loro questo: li ha indeboliti, e poi li chiama colpevoli di «non frenare il terrorismo».
La sanguinosa, confusa anarchia palestinese nasce da qui: anche se Israele vi punta il dito accusatorio, per mostrare al mondo che i palestinesi sono ormai belve irrazionali e sanguinarie.
Il forte appoggio dato dall’opinione pubblica ebraica a Sharon e alla sua politica del bastone senza carota, ci dovrebbe indurre a chiedere se davvero Israele, nel suo umore profondo, voglia «pace e sicurezza, insieme, per sempre».
Forse, «pace» è il nome che dà alla sua volontà di totale disfatta dell’avversario, senza alcuna concessione da parte sua.
E la sua esibita angoscia per la propria sicurezza (per cui ogni Kassam «mette in pericolo l’esistenza stessa di Israele») è un modo freudiano per sottrarsi ai suoi obblighi di grande potenza.
Perché Sharon ha fatto definitivamente di Israele una grande potenza mondiale, come dice sul suo sito (Antiwar.com) Justin Raimondo.



Non solo militarmente, ma politicamente: le sue lobby gestiscono e pongono condizioni alla superpotenza americana, fanno pressioni e influenzano le classi politiche d’Europa e d’altri grandi Paesi; i loro servizi segreti e i loro consiglieri politico-militari sono in Kurdistan, hanno informatori e agenti infiltrati dovunque, dovunque si muovono per così dire per linee interne.
Qualunque altro Paese che avesse raggiunto un simile grado di potenza letale e politica sarebbe chiamato dalla comunità internazionale ad esercitarla con responsabilità.

A dare certe garanzie sull’uso della sua forza eccessiva.
Per esempio: l’Europa che si dà tanto da fare per sopprimere i presunti piani nucleari della lontana Persia, dovrebbe chiedere rassicurazioni su quei cinque sottomarini israeliani armati di missili atomici che circolano segretamente nel Mediterraneo.
La possibilità di un’apocalisse nucleare nell’esigua tinozza dell’ex Mare Nostrum dovrebbe allarmare tutti, Italia compresa.
L’Europa, coi suoi 400 milioni di abitanti quasi inermi, è contigua a un paesetto di 6 milioni di abitanti, potentemente nucleare con missili a lunga gittata e sommergibili, che per di più non ha enunciato una chiara «dottrina» sull’uso dell’atomica.

Non sappiamo, per esempio, se questo paesetto risponderà con la «bomba» a un attacco convenzionale, o anche a un razzo Kassam, a un attentato particolarmente sanguinoso.
Non sappiamo dove punta i suoi missili.
Un loro analista dice che sono puntati anche su Roma e su Parigi.

Dovremmo noi esigere rassicurazioni da loro.
Perché tutto fa di Israele la definizione concreta e perfetta dello «Stato canaglia» secondo la dottrina di Bush: un piccolo Paese fortemente armato di armi di distruzione di massa, che intende usarle senza controllo alcuno.
Invece non possiamo.
Anzi dobbiamo continuamente «rassicurare» Israele.

Perché questa potenza globale si comporta continuamente come se fosse un piccolo paesetto da tutti minacciato, senza alcun alleato, e che quindi deve difendersi da sé come può, con ogni mezzo legale e illegale.
E’ un comodo mezzo con cui Israele si sottrae alle sue responsabilità di grande potenza.
E’ forte e si finge debole.
Minaccia e si dice minacciata.

Da ultimo, Israele è stata inserita nell’ombrello protettivo della Nato: ma non come parte dell’alleanza, con gli impegni reciproci che un’alleanza leale comporta, specie per il più armato degli alleati. E’ un’alleanza che impegna solo noi, non loro.
A questo punto chissà perché mi frulla in capo una frase letta nei testi sacri: «quando diranno ‘pace e sicurezza’ allora verrà la fine».



Trovo facilmente il passo: la prima lettera ai Tessalonicesi (5,3).
E’ strano e inquietante come san Paolo, due millenni prima, usi il binomio centrale del discorso politico israeliano attuale, e che rimbalza sui giornali d’oggi.
Come gli è venuto in mente?
E ancora più inquietante il contesto in cui Paolo mette questa frase.
E’ un contesto apocalittico: «circa il tempo e l’ora, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriviamo. Voi stessi infatti sapete perfettamente che il giorno del Signore arriva come un ladro nella notte. Quando diranno: ‘pace e sicurezza’, allora improvvisa precipiterà su di essi la rovina, come le doglie del parto sulla donna incinta; e non avranno scampo».
L’accento mi pare vada messo sulla congiunzione: pace «e» sicurezza.
Ossia «insieme e per sempre», come secondo Riotta vuole l’Israele profonda.
Quando crederanno di averla raggiunta (questa impossibilità: sicurezza senza condizioni, totale e assoluta «pace» nel termini voluti, unilaterale e senza responsabilità), proprio allora, avverte san Paolo, «improvvisa sarà su di loro la rovina».
Quando crederanno di essere assolutamente e definitivamente sicuri, «non avranno scampo».
Chi sono i «loro» di cui parla Paolo?



Siamo, si capisce, tutti noi di fronte al giorno dell’«ira».
Ma ci sono dei «loro» speciali a cui, instancabile, la profezia ebraica rivolge i suoi avvertimenti.
«Guai a coloro che aggiungono casa a casa/ e campo a campo/ finché non vi sia spazio/e rimaniate soli ad abitare in mezzo al Paese», avverte Isaia (5, 8-9), ed anche qui bisogna resistere a non applicarla all’attualità: chi sono i «loro» che insediando le loro colonie uniscono casa a casa, campo a campo, «finché non vi sia spazio», e restino i soli ad abitare un Paese che Dio ha voluto misto e vario di uomini e religioni, «casa di preghiera per tutte le genti»?
C’è un’altra profezia di Isaia che Paolo (l’allievo di Gamaliele, fariseo, esperto di Scritture) doveva avere a mente quando scrisse le sue parole ai Tessalonicesi.
«Giacchè voi confidate/ in ciò che è perverso e tortuoso/ la vostra colpa sarà per voi come una crepa nascosta/ che rigonfia un muro/ e lo fa crollare in un attimo, subitamente» (Isaia, 30, 2).
La subitaneità dell’evento previsto è eguale in entrambi.
E’ lo stesso accadimento istantaneo descritto da Gesù secondo Matteo (24, 15-21): «quando vedrete l’abominio della desolazione…quelli che si trovano in Giudea fuggano sui monti, chi è sulla terrazza non scenda in casa a prendere la roba»: non ci sarà tempo.
L’evento premonitore è per Isaia il confidare nella «sicurezza» che viene «da ciò che è perverso e tortuoso» (altrove rimprovera chi pensa: «abbiamo preso rifugio nell’iniquità»), per Paolo è «quando diranno: pace e sicurezza» insieme, non più separate.
Si è tentati di pensare che l’uno e l’altro binomio coincidano: perverso-tortuoso, pace-sicurezza.



Provo così a rispondere a un ennesimo lettore che mi accusa di avercela con gli ebrei, come una mia paturnia personale.
Ciò che fanno gli ebrei riguarda «il giorno del Signore»; sbagliarsi sul loro conto non è solo un errore politico, è un rischio per la propria anima.
Espone a schierarsi con l’Anticristo.
Una paturnia personale?
Bisogna qui citare un celebre hadit di Maometto: «da Adamo alla resurrezione dei morti, non c’è questione più grande di quella dell’ ‘impostore’» (n. 1812).
L’«impostore», o il «ciarlatano», è il Dajjal, l’Anticristo.
Non è un problema marginale, è centrale alla storia umana intera, da Adamo alla resurrezione. Come cristiani, sappiamo qualcosa di più preciso: «l’Anticristo è colui che nega che Gesù sia il Messia», dice Giovanni (1, 2, 22).
Non abbiamo scuse, non cerchiamolo altrove.
Con ciò spero di rispondere anche a Massimo Mazzucco, che mi difende generosamente su Indymedia (e lo ringrazio).
Egli dice: «sembra quasi che il problema dell’11 settembre lo riguardi personalmente», Blondet.
E questo «volersi ‘incaricare personalmente’ di una causa talmente più grande di chiunque, può anche costare l’azzoppamento anticipato della persona e della causa stessa».



Lo so, e sono pieno di paura.
Anch’io vorrei pace e sicurezza per me, tutte e due insieme e per sempre.
Maometto dice che l’«impostore» sarà smascherato da un testimone.
«Un uomo credente si farà avanti a lui e dirà: uomini, questo è l’ ‘impostore’ di cui ha parlato il profeta».
Non insinuo di essere io quell’uomo, so i miei peccati e le mie viltà.
Voglio solo dire che quell’uomo - secondo Maometto - non farà che svelare una verità che sarà evidente a tutti, ma che tutti faranno finta di non vedere.
E questo coincide con la frase di san Paolo che segue a quella inquietante sulla «pace e sicurezza» come inizio della fine.
«Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi sorprenda come un ladro; infatti voi siete figli della luce e figli del giorno: non siamo né della notte né delle tenebre. Pertanto non dormiamo come gli altri, ma vegliamo» (1 Tess. 5, 4-6).
Dobbiamo vegliare tutti noi cristiani, per pochi che siamo rimasti.
Maurizio Blondet




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Due tipi di terrorismo
Maurizio Blondet
01/02/2006
Giovane ragazza palestinese terrorizzata dall'avanzare dei cingolati israelianiISRAELE - Aya al-Astal aveva nove anni.
Ignara di far parte di un popolo che aveva votato in massa per un'organizzazione terroristica, la mattina della vittoria elettorale di Hamas ha lasciato la casa dei suoi genitori a Ramallah per giocare all'aria aperta.
Non si sa cosa sia successo.
L'armata israeliana dice che la bambina Aya si comportava «in un modo sospetto da ricordare un terrorista», il che è logico poiché Aya appartiene a un popolo di terroristi.
Forse si è avvicinata troppo al muro alto 12 metri che protegge Israele.
Fatto è che gli eroici soldati ebraici le hanno sparato, presumendo che Aya mettesse in pericolo, come si dice, l'esistenza stessa di Israele.
Vari colpi: uno le ha trapassato il collo, un altro le ha squarciato la pancia.
«Lo stomaco le pendeva fuori», dice piangendo la mamma, Aisha: «non so cosa facesse, ma era una bambina. Era piccola. Questo è odio».

Aya non è stata la sola ad essere assassinata quel giorno.
Sempre nelle vicinanze di Ramallah, l'eroico Tsahal (l'esercito israeliano) ha fatto giustizia di Munadel Abu Aalia, di 13 anni.
La sua colpa: camminava con due amichetti lungo una strada «riservata ai coloni israeliani» (in Israele vige l'apartheid anche delle strade).
Secondo l'esercito, i tre ragazzi tiravano pietre alle auto ebraiche di passaggio: atto che «i militari definiscono terrorismo», scrive The Guardian (1).
La definizione di «terrorismo» è evidentemente a geometria variabile.
Per esempio Mahamoud al-Zahar, il capo del movimento terrorista Hamas a Gaza, ha commentato così le due uccisioni dei bambini: «solo questa settimana gli israeliani hanno ammazzato più palestinesi di quanti ne abbia ammazzati Hamas nell'intero anno».
Possibile?
Nella sua storia, Hamas è responsabile di 400 morti israeliani.
Ma da un anno ha «dichiarato una tregua unilaterale», e in quest'anno le stesse autorità israeliane le attribuiscono l'uccisione di un solo israeliano, Sasson Nuriel, rapito in settembre come ostaggio per uno scambio di prigionieri, e ucciso (dice Hamas) perché l'armata israeliana era arrivata troppo vicino al covo dove lo avevano nascosto i terroristi.



C'è stato anche un attentato suicida a un bus a Ber Sheva in agosto, che ha fatto due feriti.
E diversi lanci di razzi Kassam, che non hanno mai ammazzato nessuno.
Non è solo due a uno, due morti palestinesi per un israeliano.
E nemmeno il fatto che un esercito regolare che ammazza i civili nei territori che occupa commette crimini di guerra.
Non si ricorderebbe questo infanticidio (che cosa pesano le vite di due piccoli palestinesi, sospetti di terrorismo?) se non mi importunasse una lettrice di questi sito, che mi accusa di non essere un vero cattolico perché «giustifico Hamas».
Pubblico qui di seguito la lettera.
Perché si possa valutare la moralità di una lettrice davvero cattolica.
Per la quale le vite palestinesi hanno molto meno valore di quelle ebraiche, come deve insegnare da qualche parte Gesù Cristo.
Per la quale «Israele si difende» e i palestinesi «attaccano».
Per la quale il «terrorismo» è solo quello arabo, e non l'assassinio gratuito di bambini.
E' una lettera illuminante anche per l'ignoranza dei fatti e della storia che rivela; vale la pena di leggerla.



Ho trovato l'articolo su Hamas del 29/01/06 di cui Lei è autore...
a prescindere dal fatto sotto indicato nel suo articolo, il fatto che sia stato Israele (se è vero) che abbia voluto il gruppo di Hamas o meno, ciò non toglie che il modus operandi di Hamas sia 'lecito' né tanto meno 'corretto' ancor meno 'umano'. Hamas
attacca, Israele 'si difende'.
Le sue considerazioni tecnicamente possono anche essere giuste ma non le sono dal punto di vista umano.
Per quanto Israele sia integralista (questa caratteristica gli proviene dalla sua religione che è INCOMPLETA… e infatti non considera la venuta del Cristo che ha completato la Legge di Mosè), non legittima certo Hamas di operare nel modo che sta
operando. Il popolo di Israele ha diritto di esistere nelle terre che sono sempre state di Israele e della Palestina insieme.
Palestina ed Israele procedono da un unico ceppo, condividono gli stessi patriarchi.
Ma mentre la Palestina si è data all'Islam che è IL VERO NEMICO NON SOLO DELL'OCCIDENTE, MA DELL'INTERO PIANETA, Lei si scaglia contro un Israele, che è comunque, per mentalità migliore di quella islamica.
Tra islamici e israeliani preferisco di gran lunga i secondi anche se la loro rigidità è comunque da controllare e da regolare ma non sta al modus operandi di Hamas, e cioè A SUON DI BOMBE, ATTACCHI E PROVOCAZIONI PIÙ O MENO SANGUINARIE, di far giustizia.
La questione medio orientale è una questione che riguarda Palestina ed Israele da centinaia di anni (2) e non sta a noi giudicare perché NON POSSIAMO EMPATIZZARCI IN NESSUNO DI LORO giacché la storia di entrambi è talmente complessa ed antica da perdersi nella notte dei tempi. Non possiamo giudicare due fazioni che si contendono UNA PICCOLA PARTE di quel territorio che fu destinato ad entrambi: palestinesi ed israeliani.
La questione medio orientale nasce più che altro dall'intervento dell'islamismo sulla scena politica-religiosa di quei Paesi. Prima dell'islamismo NON VI ERANO TALI PROBLEMI, tant'è che troviamo il Cristo tra Damasco e Gerusalemme, così come incontriamo Saulo, tra Gerusalemme e Damasco, che poi diventò san Paolo (3).
Mi scusi eh? .. ma nessun cattolico VERO si metterebbe dalla parte di un gruppo terrorista come quello di Hamas perché già il terrorismo di per se stesso È ILLECITO.
Israele non agisce con il terrorismo, ma con le armi e in difesa non in attacco.
Quando scrive dei begli articoli, glielo dico, ma allo stesso modo quando scrive degli articoli che STANNO DALLA PARTE DEL TERRORISMO ORGANIZZATO, DELLA VIOLENZA, DELL'ODIO, DELLA CHIUSURA MENTALE, ecc. ecc. è mio dovere (oltre che diritto) dire quanto i suoi articoli NON SIANO VERITIERI e nemmeno cattolici.
Come la mettiamo per tutti quegli israeliani, molti di loro bambini, che il gruppo terrorista Hamas ha sbudellato con bombe? È lecito? È umano? È giusto? Ci pensi bene per favore prima di scrivere corbellerie.



b25©



(la lettera originale era piena di «refusi», per usare un eufemismo, ed è stata corretta per fornire un servizio ai lettori; nota della Effedieffe edizioni).

Maurizio Blondet
 

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