Il panico dei pompieri

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Forumer storico
Il panico dei pompieri
Alfonso Tuor

Continua ad estendersi e a diventare sempre più pericoloso l’incendio che sta divampando nei mercati finanziari. Le borse cadono, i mercati dei capitali continuano ad essere di fatto chiusi e la crisi si fa di giorno in giorno più drammatica. In una parola è panico. A poco è servita l’approvazione del maxipiano americano da 700 miliardi di dollari; a poco sono servite le garanzie statali su tutti i depositi bancari dei risparmiatori decise questa fine settimana da Germania, Danimarca, Svezia e alcuni giorni orsono dall’Irlanda; a poco sono servite le decisioni di alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, di aumentare l’importo dei depositi bancari garantito dallo Stato; a poco è servita l’implicita garanzia europea che non verrà lasciata fallire alcuna banca; a poco sono serviti i salvataggi di Fortis, Dexia e della tedesca Hypo Real Estate.
Siamo chiaramente entrati nella fase di maggiore pericolo di questa crisi, ossia quella in cui - come ha scritto l’economista americano Stephen Roach - «l’implosione dei mercati comincia ad avere una vita propria e a rafforzarsi autonomamente». Una fase di panico finanziario, come aveva scritto il grande studioso della Grande Depressione, l’economista di origini svizzere Charles Kindleberger, può essere fermata solo se si verifica almeno una di queste tre possibili condizioni: che i prezzi dei titoli scendano a livelli nettamente inferiori a quelli ragionevoli oppure che i mercati vengano chiusi o ancora che vi sia un’azione decisa delle banche centrali e delle autorità politiche.
L’osservazione della realtà attuale non è confortante. Le banche centrali e le autorità politiche sono scese già da tempo in campo, ma i loro interventi non hanno riportato la fiducia nei mercati. Addirittura ieri la Federal Reserve ha annunciato di aver aumentato a ben 900 miliardi dollari la liquidità che metterà a disposizione delle banche commerciali, ma senza grandi risultati. Sempre ieri la banca centrale statunitense ha comunicato che remunererà la liquidità degli istituti bancari depositata presso la Fed. Quindi l’istituto di emissione non solo diventa il prestatore di prima istanza, che si sta sostituendo a mercati dei capitali di fatto chiusi, ma accetta come un fatto oramai ineluttabile che le banche non si prestino più soldi l’una con l’altra e quindi comincia a remunerare la loro liquidità depositata presso la Fed. Pure il maxipiano statunitense e i vari salvataggi non sono bastati a ricreare la fiducia. Anzi, tutti stanno capendo che i pompieri (banche centrali e governi) non sanno cosa fare e sono anch’essi in preda al panico. In queste condizioni anche un taglio simultaneo dei tassi da parte delle principali banche centrali non produrrebbe grandi risultati. Restano le altre due opzioni: un crollo del valore degli asset finanziari nettamente superiore al ragionevole, tale da spingere alcuni investitori all’acquisto, oppure la chiusura dei mercati per riportare la calma. L’analisi di Kindleberger si riferiva però soprattutto a un crollo dei mercati azionari. L’analisi dell’economista americano Hyman Minsky, anch’egli scomparso, calza meglio con la realtà attuale. Minsky ha letto la crisi degli anni Trenta come l’esplosione di una grande bolla creditizia ed è giunto alla conclusione che c’è poco da fare, se non limitare i danni e costruire il futuro. Ciò appare molto appropriato alla realtà attuale. Infatti le perdite miliardarie delle banche sono dovute in massima parte alla grande quantità di carta prodotta negli ultimi anni (i cosiddetti titoli tossici). Per essere più chiari, le banche europee finora non stanno accusando perdite per i prestiti concessi a famiglie ed imprese del Vecchio Continente, ma per svalutazioni del valore dei titoli prodotti su scala industriale da Wall Street e dagli altri attori della nuova ingegneria finanziaria. Gran parte di questa enorme quantità di «carta straccia» in circolazione non può che bruciare fino a quando il suo valore sarà nullo o ridotto ai minimi termini. Quindi l’incendio è destinato a durare ancora. Ciò non deve indurre al pessimismo, poiché nei paesi occidentali sta rapidamente facendosi strada un ampio consenso politico teso a porre le premesse per ricostruire il futuro sulle macerie prodotte dalla nuova ingegneria finanziaria. Esso consiste in un ruolo da protagonista degli Stati chiamati a rilanciare l’economia reale - che si sta nel frattempo avvitando rapidamente su se stessa - e nella creazione delle premesse politiche e normative per una crescita sana e duratura. Tra queste norme è indispensabile una nuova regolamentazione del settore finanziario che deve esserre chiamato a raccogliere i capitali dei risparmiatori e a remunerarli attraverso la concessione di crediti all’economia produttiva e non all’economia virtuale creata negli ultimi anni dalla finanza che credeva, come ha detto Giulio Tremonti, «di creare soldi con i soldi». Insomma, l’individuazione corretta delle cause di questa crisi (gli eccessi della finanza) e dell’obiettivo di rimuoverle (nuove regole per il settore finanziario) e la definizione dei mezzi per raggiungere questi scopi devono spingere all’ottimismo e essere lette come una luce di speranza: il tunnel è ancora lungo e percorrerlo tutto sarà molto doloroso.

06/10/2008 23:22
 

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