il PETROLIO SALE

tontolina

Forumer storico
Alla coalizione anti-sciita partecipano le monarchie del Golfo ed Egitto, Giordania, Pakistan e Sudan
L’Arabia Saudita invade lo Yemen. Attacchi aerei su Sana’a, battaglia ad Aden

Appoggio logistico Usa. Gli sciiti avvertono: la guerra potrebbe estendersi a tutta la regione
[26 marzo 2015]


E’ stato l’ambasciatore saudita negli Usa, Adel al-Jubeir, ad annunciare direttamente da Washington che l’Arabia Saudita ha lanciato un’operazione militare nello Yemen, inclusi attacchi aerei, contro le milizie sciite Houthi, asserendo di aver agito per «difendere il governo legittimo» del presidente Abdrabbuh Mansour Hadi, che per la verità si era formalmente dimesso dopo che gli Houthi avevano preso il potere a Sana’a ed insediato i loro leader, Zaidi Shia, alla guida del Paese. Secondo Al Arabiya, all’invasione dello Yemen parteciperebbero 100 aerei e 150.000 soldati sauditi.
Gli aerei sauditi hanno attaccato la capitale yemenita ed il suo aeroporto e ci sarebbero già più di 20 morti e decine di feriti. 13 persone, tra le quali donne e bambini, sono state trovate morte in un quartiere residenziale di Sana’a bombardato dagli aerei sauditi. Sarebbero stati distrutti una base aerea del governo del Nord Yemen, depositi di armi e postazioni radar. A Sud, le forze fedeli ad Hadi, probabilmente già rafforzate dai sauditi, avrebbero ripreso il controllo dell’aeroporto internazionale di Aden dopo intensi combattimenti con gli Houti e le forze dell’ex presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, costretto alle dimissioni dalla “rivoluzione” del 2012 che, da una possibile primavera, si è trasformata nell’incubo tribale e settario che ha frantumato lo Yemen.
La Reuters scrive che Mohammed al-Bukhaiti, uno dei leader Houthi ribelle, ha avvertito che l’operazione militare saudita è un’aggressione contro Yemen e potrebbe scatenare una guerra molto ampia nella regione.
Infatti, per i sauditi la situazione si annuncia difficile: migliaia di combattenti delle tribù alleate degli Houthi si sono ammassati alla frontiera nord con l’Arabia Saudita per respingere «L’aggressione dei Paesi del Golfo. L’intervento saudita aumenta il rischio che l’Iran, il principale rivale dell’Arabia Saudita e alleato degli Houthi possa essere coinvolto nel conflitto.
Gli Usa sono già coinvolti: la portavoce della Casa Bianca, Bernadette Meehan, ha confermato che il presidente Barack Obama ha autorizzato il sostegno logistico e di intelligence per l’attacco militare saudita, ma ha sottolineato che «Le forze americane non stanno prendendo parte all’azione militare diretta nello Yemen. La Meehan ha detto: «Chiedo fermamente agli Houthi di cessare immediatamente le loro azioni military destabilizzatrici e di ritornare ai negoziati».
L’attacco avviene dopo che il Los Angeles Times ha rivelato che il governo Houthi era entrato in possesso di file dei servizi segreti americani che descrivono le operazioni militari coperte degli Usa nello Yemen e che contengono riferimenti alle identità degli informatori ed i particolari dei piani operativi antiterrorismo.
Parlando a Washington al-Jubeir ha detto che l’invasione saudita dello Yemen, iniziata stanotte alle 23,00, comprende anche attacchi aerei e che i sauditi «faranno tutto il necessario per proteggere il popolo del vicino Yemen e il legittimo governo dello Yemen», ma fino a pochi minuti prima fonti saudite avevano assicurato alla Reuters che non c’erano piani per un intervento militare nella crisi yemenite e che l’ammassamento di truppe al confine tra i due Paesi era «puramente difensivo». Poi al-Jubeir ha confermato l’attacco via terra ed aereo ed ha detto che anche le altre monarchie assolute sunnite del Golfo sostengono l’operazione militare saudita.
La Saudi Press Agency conferma che i Paesi del Gulf Co-operation Council – Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – hanno detto di aver risposto alla richiesta di intervento militare del presidente deposto Hadi, re-insediatosi dopo essere fuggito ad Aden da dove stava per essere sloggiato dagli Houthi e dai loro alleati. Stamattina anche l’Egitto ha confermato la sua partecipazione alla coalizione anti-sciita che ha attaccato lo Yemen per fermare l’avanzata degli Houthi. Il ministero degli esteri egiziano in una nota ha affermato che «E’ in corso il coordinamento con l’Arabia Saudita ed i Paesi del Golfo in vista di preparare una forza aerea e navale egiziana e di una forza terrestre se la situazione lo impone, nel quadro dell’azione della coalizione nello Yemen». Così il Cairo nello Yemen si trova alleato di Paesi come il Qatar che appoggiano, finanziano ed amano gli islamisti contro i quali l’Egitto combatte in Libia. Hanno dato la loro disponibilità a partecipare all’attacco allo Yemen – e probabilmente lo stanno già facendo – anche Giordania, Pakistan e Sudan.
Così gli Usa si trovano alleati di un Paese, il Sudan, il cui Presidente ha sulla testa un ordine di cattura della Corte di giustizia internazionale richiesto proprio dagli Usa per il genocidio nel Darfur.
Il presidente yemenita deposto, mentre fuggiva anche da Aden, aveva chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di sostenere un’’azione militare di “Paesi volenterosi” contro gli Houthi. Si pensa che Hadi sia riparato in Arabia Saudita, ma le (poche) forze rimastegli fedeli dicono che è ancora ad Aden. Intanto la televisione di Stato yemenita, in mano al governo Houthi, ha messo una tagli sulla testa del presidente “fuggitivo”. Con un forte premio in denaro per chi lo cattura.
L’invasione saudita avviene mentre la polizia lealista e le milizie tribali sunnite dei Popular Resistance Committees stanno arretrando di fronte all’avanzata degli sciiti e dei loro alleati nel sud del Paese e il governo houthita ha ormai, dopo l’ultima avanzata verso sud, il controllo dell’accesso al Mar Rosso ed al Canale di Suez – che gli egiziani stanno raddoppiando – e quindi a gran parte del traffico petrolifero verso l’Europa.
Di fatto, con questo intervento militare, i sauditi ed i loro alleati del Golfo e gli stessi Usa, diventano alleati di Al Qaeda nella Penisola Araba, uno dei gruppi terroristici meglio armati ed addestrati, che si oppone anche alle milizie di Hadi.ma odia soprattutto gli sciiti Houthi. Il governo di Sana’a non da invece molto credito alla filiale yemenita dello Stato Islamico/Daesh che ha rivendicato i due sanguinosi attentati alle moschee sciite di Sana’a, anche perché è convinto che quella strage sia stata ordinata dall’ex presidente Hadi e dai servizi segreti sauditi che avrebbero utilizzato il fantasma dello Stato Islamico per seminare ulteriore caos e giustificare un’invasione dello Yemen alla quale l’Arabia Saudita ha cominciato a pensare appena gli Houthi hanno preso il potere.


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Che fosse intervenuto lui ci avrei messo la mano sul fuoco !!!
le parole in questo caso non uccidono

com'è che non ti sei stupito dell'appoggio militare degli USA?


Il petrolio prende fuoco

Longo_300x308.gif
Vincenzo Longo – market strategist IG

E il mercato si interroga se la corsa dei prezzi sia destinata a continuare o se presto torneranno sotto pressione i minimi toccati a metà marzo. Probabilmente la seconda ipotesi rimane più probabile al momento. Entriamo nei dettagli.​
L’operazione saudita, volta a contrastare l’avanzata dei ribelli sciiti Huthi nel Paese, è appoggiata anche da altri Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Bahrain, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi), oltre che dalla Giordania e dall’Egitto. La “coalizione araba” teme che l’avanzata dei ribelli sciiti, sostenuti dall’Iran, possa presto estendersi a macchia d’olio ai Paesi vicini e costituire una minaccia per la stabilità di tutto il Medio Oriente. L’alto livello delle preoccupazioni è confermato anche dal sostegno arrivato dagli Stati Uniti, che hanno fatto sapere di non voler partecipare direttamente all’azione militare, ma di volerla sostenere dall’esterno.​
A schierarsi contro la coalizione araba sono stati l’Iran, la Siria e la Russia, che hanno condannato l’incursione aerea saudita, giudicandola un passo pericoloso verso una crisi di proporzioni mondiali. Non escludiamo, a questo punto, che queste azioni militari possano attizzare i focolai sparsi qua e là tra il Nord Africa e il Medio Oriente. Questo scenario, seppur estremo, non può essere scartato al momento.
I timori geopolitici hanno così provocato i primi riflessi in borsa. La pericolosità delle forze schierate in campo, Iran in primis (di cui si teme il possesso di armi nucleari), ha spaventato gli investitori determinando vendite massicce sui mercati. Per contro, a beneficiare maggiormente sono stati i prezzi del greggio, tornati ai massimi dalle ultime 3 settimane, con un balzo del 5% circa. Il rialzo dei prezzi, peraltro, è riconducibile a diversi fattori:​
molti dei Paesi coinvolti sono membri Opec (Organization of Petroleum Exporting Countries). La stessa Arabia Saudita, che conduce le operazioni militari vista la vicinanza allo Yemen, è il primo produttore di petrolio tra i paesi Opec. Un’estensione del conflitto potrebbe portare a una sensibile riduzione dell’estrazione di greggio, con molti giacimenti che potrebbero essere chiusi;
lo Yemen si trova in un punto strategico per il traffico di greggio, dato che si trova di fronte allo stretto di Bab el-Mandeb, il quarto a livello mondiale per volumi di traffico.
Nonostante il balzo degli ultimi giorni, il petrolio potrebbe perciò avere ancora spazio di rialzo, soprattutto se la miccia, a cui è stato dato fuoco ieri, non venisse fermata prima di innescare una serie di esplosioni a catena tra il Medio Oriente e il Nord Africa. In questo caso, i rialzi potrebbero riportare in auge, almeno temporaneamente, il greggio, con il Brent che potrebbe tornare a vedere anche area 80 dollari al barile.​
Nel medio periodo, però, crediamo tuttavia che i prezzi torneranno a scendere, soprattutto nel caso di ridimensionamento delle tensioni in M.O. L’eccesso di offerta determinato dall’alto livello di produzione negli Usa dovrebbe continuare a dominare questo mercato, accanto a un continuo apprezzamento del dollaro.

GRAFICO PETROLIO BRENT​
longo_1_27marzo.png


Dal punto di vista tecnico, la risalita del Brent ieri si è arrestata a 59,80 dollari, massimi dal 9 marzo scorso. Nel breve termine, solo un superamento dei 60 dollari potrebbe riportare i prezzi sui massimi di febbraio (a 63,50 dollari). Il primo supporto, invece, si colloca a 57,50 dollari, minimi di ieri. Il livello successivo passa per 56,80, resistenze testate prima della rottura degli ultimi giorni. Solo una perforazione di questo supporto potrebbe aprire a un affondo più marcato verso i minimi di marzo a 52,60.​
Nel medio lungo periodo, crediamo che il Brent possa spingersi sotto quest’area e puntare dritto ai minimi di gennaio a 45 dollari.​
Per ulteriori informazioni visita il sito Analisi del Mattino | Market Update |
 
Ci sto pensando da un po' su sto yemen.
A parte il fatto che fino all'altro ieri non sapevo manco che esistesse, mi sto chiedendo a che pro tutto sto bordello.
Cioè gli arabi non facevano prima a far dire all'opec che calava la produzione se volevano prezzi più alti?
Sta bottanata dello yemen mi pare una cosa troppo pilotata.
A meno che gli arabi vogliano dei prezzi più alti pur non tagliando la produzione.
Ma a che pro?
Non capisco!
Se sale il barile, ci guadagnano tutti, pure gli americani e i russi
Non capisco proprio.
Possibile che come per magia lo stretto dello yemen si infiamma?
 
Ultima modifica:
Cioè che si siano messi d'accordo per far salire il petrolio senza tagliare la produzione mi sta bene, ma perchè allora Putin dovrebbe dire di far pace??
 
Ci sto pensando da un po' su sto yemen.
A parte il fatto che fino all'altro ieri non sapevo manco che esistesse, mi sto chiedendo a che pro tutto sto bordello.
Cioè gli arabi non facevano prima a far dire all'opec che calava la produzione se volevano prezzi più alti?
Sta bottanata dello yemen mi pare una cosa troppo pilotata.
A meno che gli arabi vogliano dei prezzi più alti pur non tagliando la produzione.
Ma a che pro?
Non capisco!
Se sale il barile, ci guadagnano tutti, pure gli americani e i russi
Non capisco proprio.
Possibile che come per magia lo stretto dello yemen si infiamma?
Correzione dovuta

fugnoli_300_27marzo.png
Alessandro Fugnoli

A ben vedere non sta succedendo niente di clamoroso, niente che giustifichi il guastarsi di quel clima così favorevole alle borse e ai bond europei che abbiamo vissuto fino a poche ore fa in questo 2015. C’è la crisi yemenita, si dice, ma lo Yemen è in crisi da quando esiste, ha finito il petrolio, sta finendo l’acqua e si dilania in guerre civili ad apparente sfondo politico e religioso, ma in realtà tribali. Per di più, con il riavvicinamento dell’amministrazione Obama all’Iran, non si sa più nemmeno in Yemen (come ormai in tutto il Medio Oriente) chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Quanto al petrolio che sale nel timore di un conflitto tra Iran e Arabia Saudita, si mette evidentemente tra parentesi il fatto che i sauditi estraggono più che possono per fare dispetto all’Iran e che gli iraniani si apprestano ad aumentare la produzione di un milione di barili al giorno per effetto dell’imminente ritiro delle sanzioni occidentali.
A ben vedere, d’altra parte, non stava succedendo niente di clamoroso neanche prima, quando tutto saliva spensieratamente, quando i listini...

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Il petrolio prende fuoco

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E il mercato si interroga se la corsa dei prezzi sia destinata a continuare o se presto torneranno sotto pressione i minimi toccati a metà marzo. Probabilmente la seconda ipotesi rimane più probabile al momento. Entriamo nei dettagli.​
L’operazione saudita, volta a contrastare l’avanzata dei ribelli sciiti Huthi nel Paese, è appoggiata anche da altri Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Bahrain, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi), oltre che dalla Giordania e dall’Egitto. La “coalizione araba” teme che l’avanzata dei ribelli sciiti, sostenuti dall’Iran, possa presto estendersi a macchia d’olio ai Paesi vicini e costituire una minaccia per la stabilità di tutto il Medio Oriente. L’alto livello delle preoccupazioni è confermato anche dal sostegno arrivato dagli Stati Uniti, che hanno fatto sapere di non voler partecipare direttamente all’azione militare, ma di volerla sostenere dall’esterno.​
A schierarsi contro la coalizione araba sono stati l’Iran, la Siria e la Russia, che hanno condannato l’incursione aerea saudita, giudicandola un passo pericoloso verso una crisi di proporzioni mondiali. Non escludiamo, a questo punto, che queste azioni militari possano attizzare i focolai sparsi qua e là tra il Nord Africa e il Medio Oriente. Questo scenario, seppur estremo, non può essere scartato al momento.
I timori geopolitici hanno così provocato i primi riflessi in borsa. La pericolosità delle forze schierate in campo, Iran in primis (di cui si teme il possesso di armi nucleari), ha spaventato gli investitori determinando vendite massicce sui mercati. Per contro, a beneficiare maggiormente sono stati i prezzi del greggio, tornati ai massimi dalle ultime 3 settimane, con un balzo del 5% circa. Il rialzo dei prezzi, peraltro, è riconducibile a diversi fattori:​
molti dei Paesi coinvolti sono membri Opec (Organization of Petroleum Exporting Countries). La stessa Arabia Saudita, che conduce le operazioni militari vista la vicinanza allo Yemen, è il primo produttore di petrolio tra i paesi Opec. Un’estensione del conflitto potrebbe portare a una sensibile riduzione dell’estrazione di greggio, con molti giacimenti che potrebbero essere chiusi;
lo Yemen si trova in un punto strategico per il traffico di greggio, dato che si trova di fronte allo stretto di Bab el-Mandeb, il quarto a livello mondiale per volumi di traffico.
Nonostante il balzo degli ultimi giorni, il petrolio potrebbe perciò avere ancora spazio di rialzo, soprattutto se la miccia, a cui è stato dato fuoco ieri, non venisse fermata prima di innescare una serie di esplosioni a catena tra il Medio Oriente e il Nord Africa. In questo caso, i rialzi potrebbero riportare in auge, almeno temporaneamente, il greggio, con il Brent che potrebbe tornare a vedere anche area 80 dollari al barile.​
Nel medio periodo, però, crediamo tuttavia che i prezzi torneranno a scendere, soprattutto nel caso di ridimensionamento delle tensioni in M.O. L’eccesso di offerta determinato dall’alto livello di produzione negli Usa dovrebbe continuare a dominare questo mercato, accanto a un continuo apprezzamento del dollaro.

GRAFICO PETROLIO BRENT​
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Dal punto di vista tecnico, la risalita del Brent ieri si è arrestata a 59,80 dollari, massimi dal 9 marzo scorso. Nel breve termine, solo un superamento dei 60 dollari potrebbe riportare i prezzi sui massimi di febbraio (a 63,50 dollari). Il primo supporto, invece, si colloca a 57,50 dollari, minimi di ieri. Il livello successivo passa per 56,80, resistenze testate prima della rottura degli ultimi giorni. Solo una perforazione di questo supporto potrebbe aprire a un affondo più marcato verso i minimi di marzo a 52,60.​
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Anche questo non mi meraviglia affatto. Sia gli americani produttori di shale che l'Arabia Saudita hanno capito (dopo il fallimento di alcuni importanti operatori di shale e dopo le ultime "disperate" esternazioni dei portavoce sauditi che lamentano una scarsa attenzione da parte dei paesi non Opec sulla problematica del surplus di greggio) che la guerra dello shale non avra' alla fine ne' vincitori e ne' vinti. Serve solo un'accordo. Anche perche' il petrolio sotto 100 dollari al barile danneggia il bilancio degli sceicchi ben piu' di quanto lasciano intendere questi ultimi. Gli Stati Uniti ridurranno progressivamente la produzione si shale cosi' come l'Arabia Saudita. In questo modo ... tagliando la produzione ... si possa riassorbire il surplus di greggio. Ed e' vicino il vertice ordinario dell'Opec di giugno che potrebbe sancire ufficialmente la cosa. Ma come si sa' .... i mercati non aspettano l'ufficialita' e si muovono in anticipo. A questo punto ... che gli Usa abbiano "preteso" un'atto di buona volonta' da parte dei sauditi a mo' di sugello dell'accordo ... l'estirpazione cioe' dei centri nevralgici dell'Isis in Yemen ... non mi stupisce affatto. A mio avviso sono stati proprio i Sauditi a finanziare l'Isis nell'ambio della guerra dello shale. Certe brame di potere mediorentali e medioevali sono dure a morire. Anche se chi le sfoggia ha studiato ad Harvard e non ad Istanbul. :)

P.S.
Per come la vedo ... prossimo target del greggio Wti ... max 60 dollari al barile mentre il Brent ... max 70 dollari al barile. Come sempre ... non e' vangelo ma un parere personale.
 
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