il PETROLIO SALE

anche il WTI è simile
 

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il BRENT invece ha rotto decisamente la media mobile e l'ha pure ritestata
 

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Petrolio: i tori si scatenano


Gabriele Picello | Articolo pubblicato il 24/04/2015 09:00:11
Continua il recupero delle quotazioni del greggio che, nella sessione di ieri, sale sino ad un massimo di quattro mesi portandosi al di sopra di quota 58 dollari per barile.



Continua il recupero delle quotazioni del greggio che, nella sessione di ieri, sale sino ad un massimo di quattro mesi portandosi al di sopra di quota 58 dollari per barile.

A trainare le quotazioni sono le notizie a carattere geopolitico e fondamentale che giungono a mercato stimolando un’ondata di acquisti che lascia poco spazio ai ribassisti, vediamo di che si tratta!

Yemen: la tensione va alle stelle


Il prodotto, lo sappiamo bene, risulta pesantemente influenzato dagli eventi geopolitici e questo è proprio quanto è successo in occasione di un inasprirsi della tensione nello Yemen; a dare il via agli acquisti è stata l’Arabia Saudita che ha scagliato un’offensiva aerea contro le forze ribelli in azione nel paese e questo ha generato timori in relazione ad una possibile interruzione delle forniture. Per meglio comprendere quanto accaduto è necessario considerare la particolare posizione geografica dello Yemen, il quale si trova nel bel mezzo di importanti giacimenti petroliferi e particolarmente vicino alle rotte marittime percorse dalle petroliere.



Più precisamente lo Yemen risulta collocato a ridosso dello stretto di Bab el-Mandeb, uno stretto in cui transitano le petroliere ed attraverso il quale il commercio di greggio e carburanti ha subito un incremento del 20% su base annua per un totale di 4.7 milioni di barili al giorno (fonte dati EIA).




Nel dettaglio la coalizione guidata dai sauditi ha sferrato il suo attacco nel nord della città di Aden (città portuale del sud) colpendo pesantemente le milizie Houthi accusate di agire per conto del regime di Teheran.

Produzione in frenata


Risultano di rilievo anche i dati relativi alle scorte di prodotto che se da una parte mostrano un incremento del prodotto a magazzino, dall’altro presentano un output in frenata a 9.37 milioni di barili al giorno, circa 18000 barili in meno rispetto alla settimana passata.

In ribasso anche la produzione di Shale Oil che potrebbe ridursi di circa 57000 barili al giorno nel corso del mese di maggio.



Ed ora?


A questo punto il futuro delle quotazioni del greggio è nelle mani dei produttori, che potrebbero vanificare il miglioramento dei dati fondamentali aumentando la produzione al fine di approfittare del rialzo dei prezzi.

Fondamentale sarà, quindi, uno stabilizzarsi della situazione produttiva, che dovrà risultare costante dal punto di vista dell’output in quanto ogni aumento delle attività estrattive risulterà inviso al mercato.

Alle ore 21.00 del 23 aprile le quotazioni del WTI (contratto giugno 2015) si presentano in rialzo del 2.48% a quota 57.55 $/bbl, mentre il Brent si mostra ancora più tonico e si colloca a quota 64.77 $/bbl in rialzo del 3.25%










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Petrolio: prezzi su, profitti giù

Di Mazziero Research , il 4 maggio 2015 0 Comment


Dai minimi di metà marzo, a 42 dollari al barile, le quotazioni hanno messo a segno un progresso del 42%, ma ora la soglia dei 60 dollari risulta ardua da superare e potrebbe essere fisiologico un ripiegamento sino ai 54 dollari dove passa una zona di supporto (linea orizzontale rossa), che in passato aveva svolto il ruolo di resistenza.
Un ritracciamento che sta nell’ordine delle cose, indipendentemente dalla recente debolezza del dollaro che al contrario funge da propellente.

Anche l’osservazione delle curve forward dei future ci mostra come la linea più recente (in azzurro) presenti una minore inclinazione rispetto alle precedenti; ciò starebbe a evidenziare che la condizione di surplus di offerta si stia in qualche modo rimarginando.

Sarà interessante osservare lo sviluppo di questa curva nei prossimi mesi, quando un appiattimento prima e un’inversione di pendenza poi potrebbe fornire la conferma per un ritorno a zone di prezzi che sono ad oggi impensabili.
Nel frattempo molte case di analisi e agenzie di statistica (anche nostrana) continuano a trastullarsi sul concetto di petrolio a basso prezzo e sui meravigliosi effetti sull’economia senza notare come l’attuale valore di 59,15 dollari al barile a 1,12 dollari per euro sia in realtà corrispondente ai 64 dollari al barile a 1,23 dollari per euro di sei mesi fa.

Il grafico sovrastante mostra infatti la corrispondenza del prezzo odierno del barile (punto verde) per diversi valori del cambio euro/dollaro; si può notare come un livello del cambio di 1,23 fornirebbe una corrispondenza a circa 64 dollari al barile (punto rosso), livelli che abbiamo visto nella prima decade di dicembre.

È chiaro che tutto questo metterà in crisi i bilanci delle aziende energivore e molte previsioni dei governi, prima di tutto il nostro che nel DEF appena inviato a Bruxelles si basa su scenari eccessivamente ottimisti. La Tavola II.1 a pag. 10 del DEF ipotizza infatti condizioni di cambio stabile a 1,068 dollari per euro e un petrolio Brent a 57,4 dollari per barile sino al 2019 (si veda dello stesso autore l’articolo “DEF: i numeri raccontano una realtà diversa” sul sito Capiredavverolacrisi.com).

Ma al momento i pesanti danni riguardano l’industria estrattiva americana che ha visto un forte decremento dei pozzi di estrazione dello shale-oil (petrolio prodotto dalla frantumazione delle rocce di scisto). Il grafico mostra il numero di impianti estrattivi in funzione nei quattro principali giacimenti negli Stati Uniti.

ExxonMobil, la maggiore azienda petrolifera privata al mondo, ha riportato nel primo trimestre del 2015 un calo degli utili del 46% e 52 milioni di dollari di perdite nella produzione americana di gas e petrolio.



Guai seri anche per ConocoPhillips, il maggior esploratore al mondo, che ha dichiarato perdite per 243 milioni di dollari dalle operazioni negli Stati Uniti.



Non è andata meglio a Statoil, l’efficiente compagnia statale norvegese, che si è vista costretta a contabilizzare svalutazioni per 5 miliardi di dollari.

Brusca frenata del cane a sei zampe che vede gli utili del primo trimestre in calo del 46% rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso; fortunatamente, precisano all’Eni, lo scenario negativo è stato parzialmente compensato dal deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.

Brutte notizie anche dal Golfo: nonostante l’Arabia Saudita goda di bassi costi di estrazione, negli ultimi due mesi le riserve in valuta estera del Paese sono calate di 36 miliardi di dollari, pari al 5%. È evidente l’incompatibilità di mantenere i propri piani di spesa a prezzi del petrolio così contenuti.


Questa è la dimostrazione che vi può essere talmente tanto petrolio per raggiungere anche surplus abbondanti, ma il mercato è ormai strutturalmente impostato per un livello di prezzi che sia almeno superiore ai 50 dollari al barile.
Forse non torneremo tanto presto a rivedere i 100 dollari al barile, ma probabilmente i minimi sono alle nostre spalle, almeno fintantoché non interverranno ulteriori innovazioni tecnologiche.
 
ma il prezzo del petrolio è correlato con l'EUROindex?
 

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