Azioni Italia Il trading secondo noi

oh dunque.ieri notte sono state usate vagonate di soldi,marginal facility lend......g.(overnight ) ,importo illimitato a 1gg x banche in difficolta'per funzionamento normale di ogni giorno.sull.interbancario nn si fidano,piu'.in pratica si muore di credito:rolleyes:
 

le prove??

quando si parla di Nuovo Ordine Mondiale

quando leggi repressive ed intrusive della privacy del cittadino vengono approvate simultaneamente in tutto il mondo,

quando la crisi economica controllata esplode globalmente,

quando il signoraggio bancario passa sotto silenzio,

quando si distrugge il pubblico e si potenzia il privato

quando si invadono nazioni con false scuse (Armi di distruzione di massa non le hanno trovate, in compenso le loro armi di DISTRAZIONE di massa funzionano benissimo),

quando l'11 settembre crollano TRE palazzi quasi simultaneamente ed uno NON è stato colpito da nessun aereo, i crolli sono tipici crolli da demolizione, quando al pentagono dopo un presunto schianto di un areo non si trovano vittime e neppure la scatola nera..

:help:
 





















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Detto questo, riprendo il lungo cammino di scardinamento di alcuni miti e leggende popolari intorno alla moneta, visto che dai riscontri avuti dai lettori ho ricavato la necessità di fare ulteriori chiarimenti che potrebbero aiutarci a compiere insieme un altro passo avanti in questo fondamentale percorso a ritroso di conoscenza: dalle sicurezze della maturità dobbiamo andare indietro, giù, giù, fino agli anni della spensierata e ingenua infanzia. Magari questa premessa vi sembrerà un po’ strana, bizzarra, ma più andrete avanti nella lettura e più capirete che di tecnico, economico, finanziario qui non c’è nulla, tranne pochi immediati concetti di contabilità, mentre tutto il resto sono valutazioni logiche o linguistiche alla portata di tutti. Ovviamente cercherò di semplificare al massimo alcuni passaggi, ognuno dei quali meriterebbe un capitolo a parte, ma con lo scopo specifico di dare priorità per adesso al discorso generale. La struttura di fondo dei ragionamenti è basata principalmente dai contributi forniti a riguardo dal movimento culturale ed economico inglese Positive Money, che insieme al gruppo americano della Modern Money Theory MMT, è riuscito secondo me a spiegare e sviscerare molto bene le dinamiche di funzionamento del sistema monetario moderno, avanzando anche le migliori proposte di riforma. Ma c’è anche una grande novità: a questa banda di professori di economia sovversivi ed eretici, si è unito di recente nientemeno che lo stesso Fondo Monetario Internazionale, ovvero l’organismo che sovraintende la politica monetaria mondiale, considerato molto spesso, non a torto, lo strenuo difensore delle logiche predatorie della cosiddetta finanza speculativa.





L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta infatti dopo aver letto un bellissimo post pubblicato sul blog Voci dall’Estero, in cui il giornalista inglese del Daily Telegraph Ambrose Evans Pritchard commentava uno studio di due economisti commissionato appunto dal FMI, dal titolo molto accattivante: “The Chicago Plan Revisited”. Premetto che per questioni di tempo non ho ancora letto il documento (la trasferta a Roma per partecipare al No Monti Day è stata abbastanza impegnativa, ma di questo parlerò diffusamente in un prossimo articolo), che si basa fondamentalmente sul cosiddetto Piano di Chicago elaborato dall’economista americano Irving Fisher nel 1933 (da cui prendono spunto gli stessi promotori di Positive Money), in pieno periodo di Grande Depressione. La mia analisi quindi è solo una reazione a caldo alle parole di Pritchard (che ricordiamolo per quanto bravo, intelligente, preparato, è pur sempre un conservatore, quindi una persona piuttosto scettica e restia ad accettare anche solo la possibilità di riformare qualcosa in campo politico e soprattutto finanziario) e su alcune considerazioni che mi pareva giusto sottolineare in questo momento. Se non ora quando? Se non ci impegniamo ad aggredire il contorto sistema che ci schiavizza e opprime in questo preciso momento storico, che la mostruosa Idra della finanza è ferita e arranca, quando ci decideremo a svegliarci? Quando l’Impero si sarà di nuovo ripreso e piazzato alzando di un altro gradino il livello della nostra schiavitù e oppressione? Non abbiamo forse ancora capito che questa crisi finanziaria globale è un’occasione tanto per noi di riprenderci i nostri diritti democratici, quanto per loro di cancellarli del tutto?




Sì, abbiamo capito. Quello a cui stiamo assistendo oggi è un continuo tiro alla fune: da una parte ci sono loro, i magnati della finanza, i banchieri, le élite, gli oligarchi, le multinazionali, le frotte di politicanti e giornalisti collusi, e dall’altra ci siamo noi, le masse, i cittadini, i lavoratori, le piccole e medie imprese, le persone inermi ed impotenti che si lasciano trascinare senza opporre alcuna resistenza. E’ una lotta più di nervi che fisica fra una minoranza agguerrita e coesa che tira e strattona da ogni parte, facendo leva sulle sue immense risorse finanziarie, politiche, mediatiche, e una maggioranza imbolsita, sfilacciata, divisa di uomini e donne che ridotti spesso allo stato primordiale di necessità non hanno più la forza di tirare, rimanendo aggrappati per inerzia alla fune. Continuando in questa violenta e selvaggia sollecitazione dello stato di diritto, le élite sanno già che la corda si può spezzare in ogni momento, ma forse è anche questo uno dei loro obiettivi, perché dal caos e dal disordine sociale ne usciranno sempre vincitori usando come sanno la repressione con la forza, la coercizione, lo stato di polizia al posto del precedente assetto democratico fondato, almeno in teoria, sulla legge e il rispetto dei diritti umani.




Cosa c’entra la Moneta in tutto questo? La Moneta è l’ago della bilancia nella sfida in corso, l’arbitro che passando dall’una o dall’altra sponda può decidere le sorti della partita. Per adesso sta tutta dalla loro parte, dalla parte delle élite, ma potrebbe passare dalla nostra parte con una facilità normativa che ha dell’incredibile. Tutto dipende da noi insomma e dalla nostra volontà di usare non la forza ma la legge per ricominciare a tirare la fune con una virulenza e caparbietà a cui le élite non potrebbero resistere neppure un giorno. Neppure usando la loro straordinaria forza d’urto, i loro eserciti, la loro capacità di manipolare le menti e indirizzare il consenso. Se la cittadinanza appellandosi alla costituzione, che tutela i diritti e sancisce i doveri di ogni singolo individuo, e facendo valere la sovranità del popolo al di sopra di qualsiasi altro potere dello Stato, volesse riprendersi la Moneta e istituire il quarto potere sottratto alle istituzioni statali da oltre tre secoli, ovvero la Sovranità Monetaria, nessuno glielo potrebbe impedire. Non c’è cavillo, comma, articolo di legge, fucile che tenga. La Moneta, scritto in maiuscolo per distinguerla dalle banconote fisiche e dalle scritture contabili informatiche dei nostri depositi, è un bene comune astratto, al pari della Giustizia, dell’Uguaglianza, della Libertà, della Pace, della Vita stessa che serve a regolare, quantificare, misurare i rapporti civili di scambio commerciale e finanziario fra i cittadini di uno Stato e come tale le persone fisiche (noi) e giuridiche (le imprese) non dovrebbero mai essere privi dei mezzi di pagamento necessari a definire e affinare tali imprescindibili relazioni.




Ripeto, la Moneta è un bene comune astratto che appartiene al popolo e come tale, la Sovranità Monetaria dovrebbe essere una delle quattro funzioni cardine di uno Stato democratico, accanto al Potere Esecutivo, Potere Legislativo, Potere Amministrativo-Giudiziario. Così come l’acqua è un bene comune (almeno sulla carta in Italia abbiamo vinto un referendum per ribadire questo concetto) perché garantisce il diritto alla Vita di ogni singolo cittadino, anche la moneta, gli spiccioli, le banconote, i depositi bancari sono un bene comune perché assicurano il corretto funzionamento degli scambi economici tra i cittadini, indicando univocamente una Moneta di Stato (la valuta nazionale) come unità di conto o di misura per quantificare questi rapporti. Se la somministrazione della Giustizia avviene secondo l’applicazione di leggi scritte, stampate su carta, trasmesse via posta, archiviate sui computers, allo stesso modo la Moneta viene distribuita ai cittadini tramite emissione di banconote cartacee, monete metalliche, scritture contabili sui computer. Bisogna quindi essere bravi innanzitutto a distinguere i confini del valore Giustizia o Moneta dai mezzi con i quali questi valori vengono attuati e trasferiti nella società.




Un magistrato potrebbe istruire una causa senza la scrittura su un foglio cartaceo o informatico dei dettagli di una particolare legge? No. Un giudice potrebbe emettere una sentenza senza avvalersi di un documento timbrato e firmato da depositare agli atti? No. Un cittadino potrebbe vivere senza comprare con i soldi il pane, la pasta, l’acqua, il sale? No. Un’impresa potrebbe scambiare prodotti con i fornitori e i clienti senza un conto corrente in cui riportare i flussi in entrata e in uscita dei soldi? No. Quindi, allo stesso modo in cui lo Stato si adopera per fare avere l’acqua e il pane ai cittadini, i codici e la cancelleria ai tribunali, le norme e le aule ai parlamentari, dovrebbe impegnarsi per fare avere i mezzi monetari di pagamento a tutte le persone residenti entro i suoi confini, perché senza di quelli le persone, fisiche o giuridiche che siano, non possono produrre, scambiare merci, offrire forza lavoro, non vivono dignitosamente, non mangiano, falliscono, chiudono battenti. Considerando che senza i soldi non si ferma soltanto l’economia, ma anche l’intera organizzazione e impalcatura civile di uno Stato, possiamo capire quanto cruciale e vitale sia l’attività di emissione e circolazione della moneta. Senza soldi è lo Stato che si ferma, la Democrazia. E lascia il posto a qualcos’altro che possiamo chiamare con i nomi più svariati: stato di polizia, dittatura finanziaria, egemonia totalitaria delle élite che detengono le maggiori risorse monetarie.




Questo è il principio di diritto fondamentale da cui dovrebbero muovere tutte le battaglie per il recupero della Sovranità Monetaria come quarto potere dello Stato. E, messo da parte questo concetto che credo sia abbastanza semplice da digerire, veniamo adesso al documento del FMI, che ad occhio e croce, senza richiamarsi magari allo stato di diritto, dice esattamente le stesse cose, auspicando una riforma epocale che riporti ordine nel disastrato sistema monetario moderno: bisogna dare allo Stato e al Popolo ciò che è dello Stato e del Popolo, e alle banche ciò che compete e serve per il servizio di intermediazione offerto dalle banche. Tralasciando i motivi per cui l’FMI si è fatto promotore di queste istanze, che possono essere fra i più vari e disparati e tutti ugualmente validi, vediamo quali sono gli elementi fondamentali di questa riforma. Essenzialmente sono due:


<!--[if !supportLists]-->1)<!--[endif]-->La Moneta di Stato priva di debito



<!--[if !supportLists]-->2)<!--[endif]-->La copertura al 100% dei depositi bancari con riserve legali




La Moneta di Stato priva di debito


A questo punto però qualcuno potrebbe chiedersi: ma perché la Moneta oggi non è già dello Stato? Ni. Nel senso che lo Stato decide unilateralmente una unità di conto, una valuta (dollaro, euro, sterlina etc), ma poi delega materialmente la funzione di emissione e gestione dei mezzi monetari ad un ente indipendente, la Banca Centrale (pubblica, privata o mista), che in generale si occuperà di garantire in assoluta autonomia allo Stato principalmente tre obiettivi: la stabilità dei prezzi, l’occupazione e la crescita economica del paese (non consideriamo per adesso il caso eccezionale e balordo dell’eurozona dove la BCE assicura soltanto il mantenimento di un certo livello di inflazione). State attenti a questo passaggio perché è molto delicato: la Banca Centrale non si occupa di garantire ai cittadini il flusso dei mezzi monetari necessari alla loro vita, ma si impegna per conto dello Stato, utilizzando tutti gli strumenti di politica monetaria a disposizione, affinché ci sia una crescita del reddito nazionale nel paese. E la crescita economica come già sappiamo purtroppo può essere sbilanciata, favorendo l’arricchimento a dismisura di alcuni a discapito di tutti gli altri. La funzione di garante dei mezzi di pagamento e dell’equità nella redistribuzione delle risorse finanziaria rimane dunque sempre in capo allo Stato, che la esercita a sua volta utilizzando due leve fiscali: la spesa pubblica e la tassazione. Attraverso la spesa pubblica lo Stato immette nel mercato i mezzi di pagamento richiesti dai cittadini e tramite la riscossione progressiva delle tasse, lo Stato dovrebbe cercare di prelevare maggiori tributi da chi ha più soldi rispetto a chi ne ha di meno, in modo da riequilibrare la distribuzione delle ricchezze. Fin qui penso ci siamo tutti. Ma a questo punto sorge un dubbio: come fa lo Stato ad immettere nuovi mezzi monetari se non gestisce più direttamente la fase di emissione dei soldi? Si indebita. Con chi? Con la Banca Centrale e con le banche private, che sono quei famosi “mercati” autorizzati dal Ministero del Tesoro a partecipare alle aste primarie di collocamento dei titoli di debito.




Ovviamente lo Stato potrebbe non avere necessità di indebitarsi qualora il prelievo fiscale sia sempre uguale o maggiore alla spesa pubblica, ma è evidente che in questo modo non verrebbero mai immessi nuovi mezzi monetari, ma girerebbero sempre gli stessi soldi (pareggio di bilancio) o addirittura nei casi di surplus di bilancio, ne circolerebbero addirittura meno rispetto all’anno precedente. Inoltre il differimento fra la data in cui lo Stato incassa le tasse e la data in cui ha necessità di spendere per garantire per esempio il pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici, obbliga lo Stato a chiedere un anticipo alle banche per avere i fondi di cui ha bisogno in quel preciso momento. Quindi, in un certo senso, per la stessa modalità di funzionamento lo Stato è costretto ad indebitarsi. E l’unico modo che ha lo Stato di garantire nuovi mezzi monetari alla cittadinanza è quello di accumulare deficit di bilancio, che sommandosi anno dopo anno formano il famigerato debito pubblico. Una parte minima di questo debito pubblico rimane in possesso della Banca Centrale e un’altra parte appartiene in ordine decrescente alle banche private, alle imprese, ai cittadini, che avranno magari voluto investire una frazione dei loro risparmi in titoli di stato acquistandoli dalle banche. Siccome sul debito pubblico lo Stato paga degli interessi, ciò significa che una certa quantità di soldi prelevati con le tasse dovrà sottrarli alle esigenze ordinarie e straordinarie della spesa pubblica per destinarli unicamente al pagamento degli interessi, dovuti soprattutto alle banche private. Se lo Stato non ha particolari vincoli politici di bilancio da rispettare, questo meccanismo, malgrado sia all’origine viziato da una distribuzione non equa dei soldi a favore delle banche, può continuare all’infinito, dato che il suo debito pubblico si può espandere senza limiti consentendo da un lato di fornire nuovi mezzi di pagamento ai cittadini attraverso la spesa pubblica e dall’altro di pagare gli interessi alle banche.




Fra l’altro, grazie ad una normale dinamica contabile, in periodo di crescita economica il debito pubblico si ripagherà da solo, dato che a parità di spesa lo Stato incasserà maggiori tasse sul reddito o sui consumi, rivestendo in pratica il ruolo di calmierare eventuali eccessi incontrollati di espansione monetaria. Mentre, con la stessa logica, in periodo di recessione, lo Stato incasserà meno tasse e spenderà in proporzione accettando tranquillamente aumenti del deficit di bilancio, i quali serviranno a stimolare in funzione anti-ciclica la ripresa dell’economia con l’immissione di nuovi mezzi monetari. Fin qui siamo ancora nel regno etereo della razionalità e della perfezione ideale, perché tutte queste belle condizioni si verificano sempre quando la classe dirigente, ma anche la cittadinanza, ha piena coscienza di questi normalissimi automatismi e li asseconda con un illuminata gestione del bilancio improntata alla legalità e al rispetto del bene comune. Ma siamo uomini si sa, anime avvinte dalle nostre debolezze e fragilità, belve nella giungla pronte ad approfittare dall’ignoranza altrui per soddisfare i propri personali bisogni e quindi non è detto che tutti questi buoni propositi si realizzino. In particolare i veri problemi sorgono quando vengono imposti dei limiti a livello politico all’espansione del debito pubblico, soprattutto in periodo di recessione e conseguente flessione del reddito nazionale, perché in questo caso lo Stato non solo non potrà più accumulare deficit di bilancio ma addirittura dovrà tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse senza riuscire mai a stare dietro all’aumento spontaneo del debito pubblico. Lo Stato agisce in modo esattamente contrario a ciò che la logica suggerisce, togliendo mezzi monetari invece di immetterne di nuovi, che come è facile intuire servirebbero a rilanciare gli scambi economici e a venire incontro alle esigenze dei cittadini. Siamo uomini si sa, nati per soffrire e per essere raggirati da chi è più furbo, scaltro, avido di noi.




La fine della Sovranità Monetaria dello Stato


E qui iniziano i dolori sia per lo Stato che di riflesso anche per i cittadini, dato che il primo, a causa di una deliberata ed arbitraria scelta politica, non sarà più garante della fornitura di mezzi di pagamento ai secondi, creando delle evidenti disparità e ripercussioni economiche a beneficio di pochi (quelli che continuano ad incassare gli interessi) e a danno di molti (quelli che verranno privati di servizi pubblici essenziali e dovranno pagare sempre più tasse). Ma allora, assodato questo difetto di lungimiranza e onestà politica, come faranno i cittadini a procurarsi nuovi mezzi di pagamento per gestire i loro rapporti economici? Niente paura, ci sono le banche. Quando lo stato si rimpicciolisce, si defila, si mette da parte, perché spendaccione, sperperatore di denaro pubblico, sporco, brutto e cattivo, entrano in gioco loro, le banche, che invece sono pulite, distinte, gestite da gente garbata, referenziata e altamente qualificata. Quindi nel preciso istante, non prima, in cui i politicanti di turno pronunciano quelle severe parole, “riduzione del debito pubblico”, “contenimento del deficit”, “pareggio di bilancio”, in pratica lo Stato rinuncia apertamente alla sua imprescindibile funzione di depositario della Sovranità Monetaria, passando il suo quarto potere non dichiarato ma implicito alle banche. Senza nemmeno rendercene conto lo Stato diventa un’istituzione monca, un tavolo senza un piede, mentre le banche si arrogano un diritto pubblico, emettendo i mezzi di pagamento aggiuntivi ai cittadini al posto dello Stato. Con una bella differenza: quando lo Stato spende non chiede nulla in cambio ai cittadini tranne le tasse, mentre quando le banche fanno un prestito, chiedono di avere indietro i soldi maggiorati dagli interessi. E i cittadini quindi saranno cornuti e mazziati perché dovranno continuare a pagare da un lato le tasse allo Stato e dall’altro gli interessi alle banche, qualora avessero deciso di contrarre un debito per avere nuovi mezzi monetari. Una bella conquista di civiltà, non c’è che dire.




Ecco per quale motivo uno dei capisaldi del pensiero unico neoliberista, che ci governa da più di trenta anni e ha fagocitato in modo più o meno occulto questo cambio di paradigma (chiamiamolo con il nome più appropriato: una truffa a norma legge!), è stato la riduzione delle tasse con un conseguente assottigliamento del ruolo dello Stato in economia, tramite soprattutto il taglio della spesa pubblica e la privatizzazione di tutti i servizi e le partecipazioni statali in imprese produttive. A prescindere dall’insuccesso conclamato di tutte le applicazioni pratiche di queste teorie, il messaggio subliminale dei neoliberisti ai cittadini è abbastanza semplice: per avere nuovi mezzi monetari non chiedete più spesa pubblica allo Stato perché poi dovete pagare più tasse, ma fate più prestiti con le banche, perché loro sono più efficienti e produttive (peccato per il piccolo particolare degli interessi). Lo schema in effetti è identico, perché se da una parte lo Stato da con la spesa pubblica e prende con le tasse, dall’altra le banche danno ugualmente soldi con i prestiti e se li riprendono con le rate, creando una diluizione più indolore dei pagamenti e guadagnando soltanto sull’interesse pattuito con il cliente (il vero profitto della banca). Se i fattori non cambiano, il risultato però è stato un vero disastro, da tutti i punti di vista. Perché mentre la pressione fiscale ha continuato mediamente a crescere per conto suo, sono aumentati anche i livelli di debito privato e i relativi interessi da pagare che gravano sui cittadini, causando la formazione di insolvenze, bolle speculative, crisi finanziarie, fallimenti a catena delle imprese, alternanza ciclica e sempre più profonda di abbondanza superflua di mezzi monetari e mancanza cronica di liquidità. Per capire il motivo di un simile pastrocchio basta considerare il fatto che quando era lo Stato il maggiore emettitore di mezzi monetari, i flussi finanziari erano molto concentrati e controllati, quando il compito è passato principalmente alle banche private (a partire dai primi anni ottanta) il processo è stato invece molto disperso fra migliaia di istituti in concorrenza tra di loro ed è andato subito fuori controllo. In certi periodi le banche hanno fornito troppi prestiti e in altri invece hanno chiuso drasticamente il rubinetto del credito perché dovevano intanto rientrare dai debiti contratti e coprire le perdite causate dai prestiti concessi con troppa superficialità, senza un’accurata valutazione del rischio e diventati ormai inesigibili.




L'inizio della Sovranità Monetaria delle banche

Ma a questo punto dobbiamo farci alcune domande. In che modo le banche possono emettere mezzi monetari? Hanno un limite nell’emissione dei mezzi di pagamento? La banca emette nuovi mezzi monetari ogni volta che concede un prestito ad un cliente e gli mette a disposizione un nuovo deposito, principalmente un conto corrente, affinché quest’ultimo possa spendere i nuovi mezzi di pagamento richiesti. In teoria le banche non hanno limiti a questa facoltà di emettere nuovi mezzi monetari, perché il vincolo fittizio della riserva obbligatoria o frazionaria non viene per diversi motivi tenuto in alcuna considerazione dagli istituti creditizi. In pratica però per porre un freno alla concessione forsennata di nuovi prestiti e quindi indirettamente alla creazione dal nulla di nuovi mezzi monetari, le autorità bancarie internazionali hanno definito delle norme (Accordi di Basilea) che vincolano le banche a rispettare alcuni specifici requisiti patrimoniali: in particolare il rapporto fra il patrimonio di vigilanza (capitale proprio più attività di elevata qualità, sicurezza e liquidità) e l’insieme di tutte le attività ricalcolate per il rischio deve essere superiore all’8% (9% con i nuovi Accordi di Basilea III che entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2013). Quindi l’unico vero vincolo che hanno le banche è la valutazione del rischio del cliente mutuatario e degli investimenti: tuttavia dato che i sistemi per il calcolo del rating vengono prodotti e omologati dalle stesse banche e sono di carattere profondamente probabilistico, rimane e rimarrà sempre un fondo di incertezza e di aleatorietà sulla validità e affidabilità di tali sistemi. E ce ne siamo accorti soprattutto in occasione della recente esplosione della bolla immobiliare, che oltre agli Stati Uniti ha coinvolto parecchi altri paesi nel mondo, tra cui Spagna e Irlanda.




Bisogna però fare subito una precisazione: i mezzi monetari creati dal nulla dalle banche non sono della stessa natura di quelli emessi dalla Banca Centrale e indirettamente dallo Stato. Mentre la Banca Centrale si occupa dell’emissione delle banconote, delle monete metalliche e delle riserve bancarie elettroniche, chiamate anche moneta ad alto potenziale o moneta legale, le banche private tramite l’apertura di nuovi depositi mettono a disposizione dei clienti mezzi monetari meno performanti e più degradabili, definiti anche con il nome di moneta creditizia. Anche se tecnicamente le riserve bancarie e la moneta creditizia sono uguali perché si tratta in fondo di semplici scritture contabili informatiche registrate sui computers delle banche, la differenza sostanziale è facile da comprendere: mentre le riserve bancarie e le banconote sono irredimibili e non possono essere convertite in un altro mezzo monetario di qualità superiore, la moneta creditizia può essere sempre convertita su richiesta del cliente in banconote (con tutte le restrizioni legislative che esistono nei vari paesi e impongono dei limiti a tali operazioni). Fra l’altro, come è facilmente intuibile, essendo la creazione dal nulla della moneta creditizia collegata direttamente alla concessione di un prestito, questo tipo di moneta tenderà ad essere progressivamente distrutta dalla banca durante il periodo di estinzione del prestito: ogni rata pagata dal cliente corrisponde ad un’equivalente quantità di moneta creditizia distrutta dalla banca.




A causa di questa fragilità intrinseca, le banche per compensare e regolare i loro pagamenti incrociati con le altre banche possono esclusivamente utilizzare le riserve bancarie detenute sul conto di deposito che per legge sono obbligate a mantenere presso la Banca Centrale: nessuna banca infatti si fiderebbe mai di accettare la moneta creditizia emessa da un’altra banca, perché non potrebbe mai conoscere il grado di deperibilità di quella moneta e sapere in anticipo se i sistemi di valutazione del rischio di quella banca siano fallaci o affidabili. Ragion per cui le banche comunicano fra di loro e con la Banca Centrale solo tramite le riserve bancarie, mentre della loro moneta creditizia non ne vogliono sentire parlare, utilizzandola soltanto per tenere conto dei flussi in entrata e in uscita degli incassi e dei pagamenti richiesti dai clienti. Le riserve bancarie quindi, create anch’esse dal nulla dalla Banca Centrale, in base alle richieste che provengono dal settore bancario e dallo Stato, per il modo stesso in cui vengono prodotte e per le loro finalità, non circolano mai nei circuiti della cosiddetta economia reale (i nostri), ma rimangono confinate all’interno del mercato interbancario, potendo transitare esclusivamente da un conto di deposito all’altro presso la stessa Banca Centrale.




Moneta e credito: mancanza (crunch) ed eccesso (boom) di moneta creditizia


Se questa è la precisa gerarchia che vige nel sistema monetario moderno (riserve bancarie al vertice e moneta bancaria alla base), bisogna chiarire subito un aspetto: ma se la moneta creditizia è quella che normalmente usiamo noi (a parte il limitato uso in valore di banconote e monete metalliche) e viene creata soltanto in seguito alla concessione di un prestito, cosa succede se le banche non erogano più prestiti? Il patatrac, il finimondo, la crisi, perché i mezzi monetari a disposizione dei cittadini vanno esaurendosi in concomitanza con il periodo di rimborso dei vari prestiti ancora attivi. Paradossalmente, in uno scenario estremo in cui nessuna banca concede più prestiti all’interno dei confini di un paese, la moneta circolante denominata in valuta nazionale si esaurirebbe nel giro della chiusura dell’ultimo prestito a durata più lunga (in genere si tratta dei mutui immobiliari pluriennali). Ovviamente, per diverse ragioni, questa è una prospettiva poco realistica e solo ipotetica, ma rende bene l’idea del meccanismo assurdo e precario in cui viviamo.




Praticamente, quando per motivi puramente politici, propagandistici e di interessi corporativi finanziari, uno Stato viene ridotto ai minimi termini e privato della sua funzione di emettere mezzi monetari tramite la spesa pubblica, la vita economica, sociale, civile di un paese e dei suoi cittadini comincia a dipendere unicamente dalle banche: le banche diventano uno stato nello Stato e dalle loro decisioni di finanziare o privilegiare alcuni settori a discapito di altri discendono gli indirizzi generali di politica economica che un tempo appartenevano allo Stato e quindi in ultima istanza ai cittadini che di quello Stato sono in teoria i sovrani. Vi ricordate a proposito il primo articolo della costituzione italiana? “la sovranità appartiene al popolo…”, bla, bla, bla, beh scordatevelo, spazzatura, perché oggi, più che mai in Italia, paese ingabbiato nell’eurozona dove per trattato e statuto la Banca Centrale non può finanziare direttamente i governi dei vari stati membri, la “sovranità appartiene alle banche” che la esercitano come meglio conviene a loro, con i tempi e le modalità decisi unilateralmente dai loro stessi dirigenti, in combutta con i politicanti di turno. Punto. Chi non riesce a capire questo semplice teorema, non vive nella realtà, ma viaggia per conto suo in un universo parallelo, un sogno che molte volte somiglia di più ad un incubo ed è lo stesso sistema politico-bancario a confezionargli sui misura (vedi alla voce Stati Uniti d’Europa).




Ma veniamo adesso ad un altro passaggio cruciale: se la moneta creditizia viene creata dal nulla solo quando viene concesso un nuovo prestito, qual è oggi la differenza fra moneta e credito? Nessuna. Moneta e credito sono esattamente la stessa cosa ed è questa commistione micidiale fra due entità intrinsecamente diverse a creare il guazzabuglio in cui annaspiamo oggi. Il credito infatti è per definizione un semplice rapporto, un contratto, una relazione, un accordo fra due individui che impone al debitore di rimborsare i soldi prestati dal creditore entro una data stabilita. La moneta invece dovrebbe essere lo strumento di pagamento per mezzo del quale il debitore può chiudere il rapporto e onorare il contratto di prestito secondo le condizioni pattuite. Tuttavia, nascendo insieme, creando le banche nuova moneta creditizia ogni volta che viene erogato un nuovo prestito, queste due entità una volta nettamente distinte (quando per intenderci esistevano solo le monete e le banconote e non erano ancora stati inventati i depositi informatici) cominceranno a camminare insieme fino all’estinzione finale sia del prestito che della moneta creditizia ad esso associata. I più maliziosi potranno però a questo punto avanzare un’obiezione legittima e non senza fondamento: è vero che la banca crea moneta creditizia dal nulla scrivendo semplicemente sul suo computer la cifra del prestito, ma successivamente la banca dovrà utilizzare le sue riserve o chiederle in prestito nel mercato interbancario per coprire i pagamenti richiesti dal cliente, che per forze di cose, essendo quello bancario un sistema chiuso, verranno effettuati a favore di altre banche. Quindi la banca non si sta inventando nulla e non gode di nessun privilegio, perché dovrà privarsi delle sue riserve o indebitarsi sul mercato interbancario per garantire l’anticipazione di fondi offerta al cliente. Verissimo. Ma per capire dove si inceppa questo tipo di ragionamento ricorriamo ad un semplice esempio.




Immaginiamo che banca Unicredit conceda un prestito di €10000 a Roberto, che con quei soldi depositati su un nuovo conto corrente si comprerà un auto presso la concessionaria Fiat. Fiat ha il suo conto corrente presso Banca Intesa, quindi Unicredit dovrà versare €10000 di riserve a Banca Intesa facendole transitare dal suo conto di deposito presso la Banca Centrale verso quello di Banca Intesa. Tuttavia in quel preciso istante Banca Intesa sta effettuando un pagamento di €7000 richiesto da un cliente a favore di Unicredit, quindi il sistema di compensazione automatico dei pagamenti (nell’area euro si chiama TARGET2) farà in tempo reale il calcolo fra i due flussi in entrata e in uscita e preleverà soltanto €3000 di riserve dal conto di deposito di Unicredit per versarli in quello di Banca Intesa. Quindi quel prestito iniziale di €10000 di moneta creditizia ha comportato una perdita effettiva di riserve per Unicredit di soli €3000. Se adesso, con buona capacità di astrazione, immaginiamo l’intero sistema bancario di un paese come un reticolo chiuso in cui ad ogni nodo corrisponde una banca e le maglie sono i flussi in entrata e in uscita dei pagamenti tra le varie banche, possiamo farci facilmente un’idea di quante migliaia o milioni (dipende dalla dimensione del sistema bancario nazionale e dalla vivacità dell'attività economica) di transazioni monetarie avvengono durante un normale giorno lavorativo, fino ad arrivare al risultato che conta di più per ogni singola banca: il saldo finale fra le entrate e le uscite di riserve. Alla banca non importa tanto la quantità di uscite di riserve relative a un prestito o ad un determinato pagamento, ma sapere se intanto da qualche altra parte del sistema stanno entrando nuove riserve sul suo conto di deposito, dato che se la banca mantiene un saldo negativo per diversi giorni, dovendo fare ricorso a continui prestiti nel mercato interbancario o a frettolose vendite di assets per reperire nuove riserve, potrebbe andare incontro ad insidiose crisi di liquidità. Per chiarezza, diciamo pure che la crisi di liquidità è una cosa ben diversa dalla crisi per insolvenza che avviene invece quando i prestiti o gli investimenti fatti dalla banca sono di pessima qualità e non garantiscono più i regolari flussi di riserve in entrata, necessari alla banca per far fronte ai suoi impegni di pagamento nei confronti dei clienti e delle altre banche.




Questo discorso ci aiuterà molto per capire il significato straordinario della riforma bancaria proposta dal Piano di Chicago o dalla stessa Positive Money, che rimetterebbe ordine a questo pastrocchio giuridico e contabile che rende indistinguibile la moneta dal credito. Malgrado la riserva frazionaria non sia assolutamente un vincolo per le banche, il meccanismo che consentiva ai banchieri orafi del cinquecento di prestare buona parte dell’oro depositato dai mercanti fidandosi dell’evidenza empirica e probabilistica, in base alla quale soltanto una piccola parte di loro avrebbe ritirato l’oro in un determinato periodo di tempo, funziona in un modo nuovo e ancora più pervasivo anche oggi con le riserve bancarie. Non più però a livello di singola banca, ma nel sistema bancario nel suo complesso, considerato appunto come un circuito chiuso e sostenuto, vigilato, monitorato dalla Banca Centrale. Su tutta la massa di depositi dei clienti iscritti nel passivo di bilancio, le banche già sanno che statisticamente soltanto una piccola parte dei clienti movimenterà ogni giorno i suoi depositi per fare pagamenti, acquisti, bonifici e soprattutto saranno veramente molto pochi quelli che utilizzeranno l’intero importo del conto corrente in un solo giorno. Ciò significa che ogni banca può mantenere con relativa tranquillità una piccola frazione di riserve rispetto al valore dei depositi per garantire un corretto funzionamento del suo sistema di pagamenti e questo unito al ruolo di prestatore illimitato di ultima istanza della Banca Centrale in caso di necessità, ha consentito alle banche di espandere oltre ogni misura tollerabile la quantità di depositi, prestiti, debiti dei cittadini e delle imprese. Se guardiamo il grafico sotto, riferito al sistema bancario inglese nel periodo 1960-2010, possiamo notare quale enorme sproporzione esiste fra la quantità di moneta creditizia creata dalle banche e le riserve bancarie, monete metalliche e banconote emesse direttamente dalla Bank of England e mantenute in gran parte in deposito presso la stessa Banca Centrale.










Se restringiamo il campo alla sola moneta circolante che utilizziamo noi per le nostre esigenze quotidiane (quindi escludendo le riserve bancarie), i numeri più aggiornati dicono che il 97% del valore complessivo è costituito da depositi bancari mentre solo il 3% è rappresentato dalle banconote e monete metalliche. Ciò significa che le banche di fatto monopolizzano il flusso dei mezzi monetari moderni e decidono in completa autonomia quanta nuova moneta immettere nell’economia, utilizzando le loro statistiche, i sistemi di valutazione del rischio, le analisi patrimoniali e le previsioni di rendimento. Un potere sovrano assoluto che influenza in profondità la vita di tutti noi, il livello dei nostri stipendi, la qualità dei servizi pubblici, la tutela dei diritti democratici, il potere di acquisto dei salari, l’efficienza delle nostre imprese, le politiche assistenziali, le strategie di lungo periodo dello sviluppo sostenibile. Praticamente tutto, tutto ciò su cui ruota una società e l’evoluzione della civiltà viene deciso a tavolino da un sistema privato di banche. Se aggiungiamo che ad ogni nuova emissione di mezzi monetari delle banche corrisponde un equivalente quantità di debito, non dobbiamo stupirci che pur non avendo mai contratto un prestito con una banca, indirettamente ognuno di noi vive strozzato dalla carenza di liquidità o dal debito che magari ha fatto il vicino di casa. E lo Stato cosa fa? Lascia fare (laissez faire). La dottrina del neoliberismo integrale impone allo Stato un’assoluta neutralità nei rapporti economici e finanziari e lascia ai “mercati” il compito di decidere come allocare le risorse e dove dovranno concentrarsi le ricchezze e gli investimenti. Eppure l’influenza dello Stato nell’economia diventa fondamentale, determinante, decisiva nell’elemento iniziale scatenante senza il quale gli stessi “mercati” non potrebbero funzionare e accentrare tanto potere: lo Stato autorizza un sistema di banche private a battere moneta al posto suo.




Lo Stato non è assente nell'economia, anzi


Questo passaggio è cruciale per capire per quale motivo tutte le teorie economiche che sostengono l’assenza dello Stato nell’economia sono false e stantie fin dalle fondamenta. I cosiddetti neoliberisti tanto attenti a curare i dettagli trascurano infatti per superficialità o malafede questa legittimazione o intromissione statale iniziale, che come una vera e propria abdicazione continuativa e giornaliera consegna a mani basse il quarto potere, la Sovranità Monetaria, ad un agguerrito manipolo di banchieri e sciacalli della finanza. Senza questa concessione statale ad aeternum, i "mercati" non riuscirebbero a fare quello che fanno e dovrebbero cominciare lavorare in una maniera del tutto diversa. Qual è quindi lo scopo della riforma monetaria rivoluzionaria? Semplice, molto semplice. Riconsegnare allo Stato la sua Sovranità Monetaria troppo passivamente e lascivamente ceduta ai banchieri, con una postilla non trascurabile: lo Stato per emettere nuovi mezzi monetari non deve indebitarsi con nessuno, né con la Banca Centrale, né con le banche private, né con le imprese, né con i cittadini. Per il semplice motivo che questo debito non esiste, non è reale, innanzitutto perché non esiste alcuna necessità pratica di crearlo e in secondo luogo perché non esiste alcun creditore pubblico o privato che abbia la facoltà di creare mezzi monetari di qualità superiore a quelli dello Stato. Fine dell’epoca cupa e oscurantista dell’homo debitus, il medioevo del mondo nel quale viviamo, e inizio dell’era dell’homo novus, il nuovo rinascimento della civiltà. E questo rivoluzionario cambiamento di paradigma può avvenire facendo approvare in parlamento una sola, striminzita, semplicissima legge, che inizierebbe così: “lo Stato è l’unico e insindacabile emettitore dei mezzi monetari utilizzati dal popolo sovrano…


Una sola legge, che poi si articolerebbe in diversi sezioni che regolano il meccanismo di creazione, trasferimento e distruzione dei mezzi monetari. Nella pratica infatti sarebbe un ente governativo autonomo e indipendente (come la magistratura insomma) a decidere periodicamente, a cadenza preferibilmente mensile, la quantità di nuovi mezzi monetari da fornire allo Stato per finanziare la sua spesa pubblica, stabilendo la cifra in base all’analisi statistica e tecnica dei più importanti indicatori economici da monitorare: la disoccupazione, lo sviluppo sostenibile, l’inflazione, la bilancia dei pagamenti con l’estero, le esigenze di bilancio pubblico. La Banca Centrale continuerebbe invece a mantenere il ruolo di tesoriere dei fondi dello Stato e di garante della stabilità finanziaria del sistema bancario del paese. Rimarrebbe sempre aperta la questione della selezione dei funzionari dell’ente autonomo di politica monetaria, che devono essere persone di altissima professionalità e competenza, e soprattutto intrattenere rapporti di assoluta imparzialità e indipendenza nei confronti della classe politica, per evitare di subire pressioni che possano influenzare negativamente la correttezza della loro decisione quantitativa. In fondo si tratta di persone umane in carne e ossa e non di computers infallibili, e avendo tutte le debolezze tipiche del genere umano potrebbero cedere ai ricatti e alle tentazioni.




In effetti il rischio è concreto perchè i funzionari statali potrebbero commettere tanti errori, ma bisognerebbe chiedersi se pur di correre questo rischio sia meglio delegare tutto ai dirigenti e i managers delle banche private, tanto autorevoli e rispettabili ma sempre a caccia dei loro bonus milionari, che di errori ne commettono in quantità industriale. Volete che vi faccia tutto l’elenco delle crisi finanziarie degli ultimi trent’anni? Dal Giappone al Messico, all’Asia Orientale, alla Svezia, alla Russia, passando poi per l’Argentina, gli Stati Uniti, l’Islanda, l’eurozona, tutto il mondo è stato travolto a cadenza ciclica e sempre più frequente e profonda da disastrosi collassi del sistema finanziario che hanno avuto ripercussioni sociali immani e incalcolabili. La vera differenza quindi sarebbe che i funzionari pubblici sono pochi, concentrati in un unico luogo fisico, facilmente controllabili dalla stampa, dall’opinione pubblica, dagli stessi cittadini e se per qualche svista o leggerezza di calcolo sbagliano la loro decisione quantitativa hanno la possibilità di rifarsi il mese successivo, mentre i banchieri sono troppi, dispersi, ingestibili, incontrollabili, lavorano nella segretezza più assoluta e se sbagliano, come abbiamo purtroppo sperimentato sulla nostra pelle negli ultimi anni, continuano impunemente e sfacciatamente a perseverare nell’errore. Valutate voi i costi e i benefici di optare per l’una o l’altra alternativa e poi fatemi sapere: da una parte c’è un rischio incerto e circoscritto e dall’altro c’è un danno certo, irreparabile, sconfinato.




Meglio lo Stato Leviatano o le banche che affamano i popoli?


In questo uno nuovo scenario, lo Stato invece continuerebbe la sua normale attività amministrativa, agendo sulla spesa pubblica e prelevando le tasse, ma in più avrebbe mensilmente il surplus di moneta priva di debito da destinare alle finalità che ritiene più urgenti e prioritarie: sanità, istruzione, ambiente, ricerca, programmi sociali, formazione e inserimento al lavoro, infrastrutture, sussidi alle imprese. Quando tutta la precedente moneta debito sarà ritirata (ovvero quando verrà rimborsato l’ultimo prestito), nel mercato circolerà soltanto moneta positiva priva di debito (Positive Money) e la gente si libererà finalmente da questo gravoso giogo e incubo terribile del debito che è stato utilizzato strumentalmente dai politicanti e dalle élite oligarchiche per opprimerli e schiavizzarli. Qualcuno potrebbe dire però che in questo modo lo Stato accentrerebbe troppo potere e si accaparrerebbe troppo ricchezze, evocando magari lo Stato assoluto e totalitario descritto da Hobbes nel Leviatano, ma siamo proprio sicuro che sia così? A parte la funzione di controllo svolta dall’opinione pubblica, i cittadini potrebbero sempre verificare, dati alla mano, se i soldi dello stato siano spesi bene, nell’interesse della collettività e con equilibrio, mantenendo poi la prerogativa democratica di potere sostituire i propri governanti nelle successive tornate elettorali: possono invece i cittadini scegliere o licenziare i managers famelici o i dirigenti corrotti delle banche? No. Meglio uno Stato Leviatano che rischia di invadere troppo lo spazio dell’economia privata o le banche predatorie che affamano i popoli? Questa risposta rimane affidata alla coscienza di ognuno di noi, visto che solo una scelta politica e democratica dei cittadini potrà aprire la strada al cambiamento. In caso contrario le cose rimarranno così fino allo scoppio di rivolte sociali, sommesse, rappresaglie, caos civile.




Sul fatto poi che l’azione attiva dello Stato in economia spiazzerebbe l’iniziativa privata, rendendo sempre più difficoltoso per le aziende condurre l’attività imprenditoriale ci sarebbe molto da dire: i settori di pertinenza sarebbero distinti e separati, perché lo Stato si occuperebbe di finanziarie e sostenere principalmente attività, come la ricerca e la tutela del territorio, in cui i privati generalmente non investono o investono poco, o perché poco remunerativi o perché troppo rischiosi. Inoltre con i finanziamenti ai piani di sviluppo sostenibile lo Stato non agirebbe con imprese proprie, ma metterebbe in moto una serie di piccole e medie aziende private che avrebbero un interlocutore sicuro e certo (il rischio allucinante che lo Stato rimane a corto di soldi non esisterebbe più!) che fornisce un flusso di reddito garantito da utilizzare poi per programmare gli investimenti, le assunzioni di nuovi lavoratori, il processo di miglioramento della qualità dei prodotti e servizi forniti. Lo Stato manterrebbe una partecipazione diretta soltanto in questi settori strategici da cui dipende la salute, il benessere, la garanzia di una vita dignitosa per i cittadini: sanità, istruzione, ambiente, energia, acqua, trasporti, sicurezza, giustizia, sistema pensionistico. Infine la quantità necessaria, sufficiente e calibrata di mezzi monetari circolanti nel mercato limiterebbe il ricorso all’indebitamento privato e invertirebbe l'attuale stato di dipendenza e subalternità delle imprese realmente produttive e utili rispetto alle società finanziarie e bancarie. Circoscritto il campo della speculazione finanziaria fine a stessa, lo scopo delle banche dovrebbe essere solo quello di intermediare il credito fra i risparmiatori e i prenditori di fondi, non quello di creare i soldi dal nulla da destinare all’uno o all’altro settore soltanto in base a logiche di profitto o contiguità di interessi.




Ma secondo voi è meglio che lo Stato investa soldi per finanziare e comprare letti di ospedale, medicine, libri scolastici, programmi di messa in sicurezza del territorio per limitare il rischio idrogeologico o gli incendi, scuole di formazione professionale, edifici ecocompatibili, progetti di risparmio energetico e piani di incentivi alle energie rinnovabili, oppure che le banche continuino ad inventarsi soldi dal nulla per irrorare di liquidità settori a loro affini come la speculazione finanziaria, le industrie belliche, le società petroliferi, le multinazionali farmaceutiche e chimiche, la bioingegneria degli organismi geneticamente modificati, le corporazioni dei prodotti alimentari confezionati, i colossi del tabacco e dell’alcool e perché no anche le organizzazioni criminali? Anche qui si tratta di una scelta individuale profondamente politica che appartiene alla coscienza di ognuno di noi e tutti i tentativi di deviare l’attenzione o manipolare il consenso da parte dei soliti noti vengono fatti per impedire alla gente di capire quanto importante sia la sua la scelta politica e culturale per cambiare e migliorare il mondo in cui viviamo.




Una prospettiva dal genere terrorizza i banchieri, i grandi industriali, e tutta la classe dirigente politica che si lascia guidare e strumentalizzare per seguire propri interessi e ambizioni personali. Il ruolo delle banche diventerebbe sempre più marginale e complementare (non sostitutivo) a quello dello Stato a vantaggio delle aziende realmente produttive e i dirigenti finanziari potrebbero scordarsi i loro milionari compensi per vedersi equiparare le retribuzioni come è giusto che sia con gli imprenditori del settore agro-alimentare, tessile, manifatturiero. Dov’è la stranezza, lo scandalo? Non vi sembra giusto che un dirigente di banca o un magnate dello finanza guadagni secondo quelli che secondo i suoi meriti e il suo contributo alla vita democratica dello Stato? Cosa c’è di tanto diverso fra un manager di una banca e un ingegnere meccanico, edile, elettronico? L’ingegneria finanziaria che inventa di continuo strumenti derivati spazzatura o truffa è davvero così utile alla vita di tutti noi? Nessuno dice con questo che le banche siano inutili e debbano essere eliminate dal mercato, ma soltanto che il loro ruolo debba essere ragionevolmente ridimensionato e ricondotto all’attività che meglio sanno fare: l’intermediazione dei soldi fra chi ha un eccesso di risparmi da investire e chi ha necessità di fondi per finanziare nuove attività. Il compito delle banche quindi è fondamentale per garantire un corretto percorso di sviluppo sostenibile ed evolutivo della società, ma solo se viene confinato al ruolo che fin dalla notte dei tempi compete ai banchieri. Quando le banche si sostituiscono prepotentemente allo Stato e alla democrazia, si instaura progressivamente il regime dittatoriale e totalitario in cui siamo stati ingabbiati oggi, dove solo parlare di certi argomenti delicati diventa un tabù, un peccato, un crimine, una colpa, un fattore di isolamento e discriminazione.




Moneta di Stato priva di debito uguale monetarismo?


Un’altra accusa e critica che viene mossa ad un eventuale ritorno ad un sistema pubblico a piena Sovranità Monetaria, basato sulla moneta positiva priva di debito, è che una simile impostazione ricalcherebbe il fallimentare monetarismo proposto dagli smidollati neoliberisti alla Friedman. Anche in quel caso veniva imposto alla Banca Centrale di immettere periodicamente nei mercati una certa quantità fissa di nuova base monetaria per sostenere l’economia e gli investimenti e il progetto, sperimentato attivamente in Giappone a partire dai primi anni ottanta, come sappiamo ha favorito la recessione e lo stallo della crescita economica. Nel monetarismo però le nuove iniezioni di mezzi monetari della Banca Centrale, oggi chiamate quantitative easing, non fanno altro che cambiare il grado di liquidità del mercato interbancario, dato che immettono riserve nei conti di deposito delle banche e prelevano titoli finanziari meno liquidi. Non c’è alcun automatismo che obblighi le banche ad utilizzare queste nuove riserve per finanziare attività produttive, anzi, soprattutto in periodo di contrazione, incertezza e calo della domanda a tutti i livelli, molto spesso le banche preferiscono mantenere queste riserve nei propri conti a fini precauzionali o continuare ad investire in titoli finanziari più redditizi e meno rischiosi.




Lo stimolo all’economia di una tale operazione è nullo, zero e i dati pessimi che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni lo confermano. Con lo schema proposto dal Piano di Chicago e Positive Money sia il metodo che gli effetti sarebbero completamente differenti: in questo caso lo Stato immetterebbe i nuovi mezzi monetari direttamente nell’economia e non nei conti di deposito delle banche, le cui riserve come sappiamo rimangono confinate e circolano solo nel mercato interbancario. Soltanto per fare un esempio, quando lo Stato compra un lotto di letti per un ospedale, i soldi arrivano direttamente nelle mani di un imprenditore, che pagherà gli stipendi, programmerà altri investimenti, si spartirà gli utili con i soci, favorirà nuovi consumi. Insomma si metterà in moto l’intera economia di un paese con maggiori effetti redistributivi dei redditi e lo Stato potrà fornire uno stimolo netto positivo a costo zero, senza causare l’indebitamento di nessuno. Inoltre, altra differenza sostanziale con il monetarismo, lo Stato su indicazione dell’ente di politica monetaria può decidere in alcuni mesi di contrarre o annullare del tutto le nuove immissioni di mezzi monetari per raffreddare un’economia troppo surriscaldata e limitare a monte l’insorgenza di fenomeni inflazionistici. Nonostante sappiamo che l'inflazione e il processo di formazione dei prezzi non ha particolare correlazione con la quantità di moneta circolante, essendo legata più che altro a dinamiche interne alle aziende, alle politiche salariali e alla nascita di monopoli ed oligopoli, in certe particolari condizioni di saturazione della capacità produttiva e piena occupazione, l'immissione di nuovi mezzi monetari potrebbe invece avere un influenza maggiore su eventuali aumenti della domanda non corrisposti da una maggiore offerta di beni e servizi. E in questo caso la prudenza e il senso della misura dello Stato potrebbe servire da deterrente per mantenere l'equilibrio nei mercati e la stabilità dei prezzi.




La riforma bancaria epocale: copertura dei depositi al 100%


Ma come verrebbe modificato il modo di operare delle banche? Anche qui si tratta di una riforma radicale ma di una semplicità disarmante e imbarazzante. In buona sostanza le banche potrebbero soltanto intermediare e trasferire quella parte di soldi che i risparmiatori intendono investire a chi invece ha bisogno di chiedere prestiti personali, investimenti aziendalio linee di credito per agevolare i flussi di cassa dell’impresa. Ovviamente propedeutica a questa riforma sarebbe la separazione fra banche commerciali specializzate nell’attività creditizia e banche d’investimento operanti nel settore dei titoli finanziari. Ma per capire meglio quanto profonda e incisiva sarebbe questa riforma, vediamo cosa accade oggi con i nostri risparmi. Quando un cliente fa un deposito di €1000 in banconote presso una banca, aprendo un conto corrente e chiedendo esclusivamente il servizio di custodia e di gestione operativa dei pagamenti, la banca non si limita affatto a mantenere questi soldi fermi da qualche parte nei sotterranei o nei caveau come qualcuno potrebbe ancora credere. Nell’ordine le fasi del processo sono queste: la banca archivia i dati del cliente, scrive su un computer la cifra del deposito (€1000), attiva tutte le funzionalità del conto corrente e se non ha particolari esigenze di cassa, invia le banconote presso la Banca Centrale per trasformarle in riserve bancarie. Con quelle riserve la banca può disporre come meglio crede, senza informare preventivamente il cliente, acquistando titoli fruttiferi o compensando i pagamenti con le altre banche. Oppure la banca può utilizzare semplicemente quelle nuove riserve depositate per aumentare ex ante i prestiti concessi e i nuovi depositi creati e disporre di una nuova base monetaria per il calcolo ex post della riserva frazionaria effettuato periodicamente dagli organi di vigilanza.




Quindi mentre il cliente crede ingenuamente e in buona fede che i suoi soldi siano depositati presso la banca sotto casa, pagando pure delle commissioni per il servizio di custodia e tutte le funzionalità accessorie (ricevendo un interesse attivo sul deposito ridicolo, di qualche millesimo o milionesimo di punto percentuale, ovvero uno zero virgola seguito da due o tre zeri), le sue riserve in verità viaggiano da una banca all’altra, da un fondo pensione a un fondo sovrano, da Singapore a Tokyo, da New York a Londra e in tutti questi giri la banca inziale intanto avrà fatto dei profitti sempre all’insaputa del cliente. Al momento del deposito la banca in pratica diventa la titolare assoluta di quei soldi, scambiando il semplice servizio di custodia per un vero e proprio passaggio di proprietà: è come se noi lasciassimo la nostra auto per un giorno, una settimana, un mese presso un parcheggio a pagamento e durante quel periodo il custode senza informarci preventivamente si prendesse la licenza di noleggiare l’auto ad altre persone, ricavando profitti solo per sé. Se voi per caso vi accorgeste che la vostra auto circola liberamente per la città, denuncereste il custode? Oppure chiedereste al furfante un risarcimento danni? Ecco, oggi come oggi, i cittadini si ritrovano nella stessa identica situazione con le banche, solo che nessuno pensa a fare una denuncia o chiedere il risarcimento danni perchè convinto che il sistema funzioni così e non ci sia nulla di particolarmente anormale o illecito.




La riforma della copertura al 100% dei depositi prevede invece un rapporto molto più corretto e trasparente fra il cliente e la sua banca: se il primo chiede esclusivamente il servizio di custodia, la banca è obbligata a mantenere fede all’impegno non utilizzando i soldi del cliente per altri fini e tenendo quella somma di denaro fuori dai suoi bilanci, come se fosse in pratica depositata direttamente su un conto garantito presso la Banca Centrale. Se il cliente chiede invece di investire una parte dei suoi risparmi per ricavarne un rendimento, la banca potrà disporre di quei soldi e solo di quella specifica frazione di soldi per fare prestiti o altro tipo di investimenti commerciali, condividendo con il cliente sia i rischi che le perdite o i profitti. Per un certo periodo di tempo il cliente non avrebbe più accesso a quei soldi, comunicando in anticipo alla banca la durata complessiva dell’affidamento (1 mese, 2 mesi, 3 mesi, 1 anno, due anni) oppure i giorni di preavviso per ritornare di nuovo in possesso dei suoi soldi (1 settimana, 2 settimane, 1 mese, 2 mesi). In questo modo la banca avrebbe la possibilità di pianificare in modo puntuale e preciso i suoi prestiti o investimenti, sulla base dei soldi affidati e delle varie durate o scadenze degli affidamenti, senza incorrere nell’errore classico che poi altera e compromette la sostenibilità dei bilanci bancari: passività a vista di breve periodo (i conti correnti) vengono investite in attività di medio o lungo periodo (i prestiti), creando poi improvvise o strutturali carenze di liquidità che minacciano la stabilità finanziaria complessiva del sistema bancario.




Un altro passo successivo sarebbe quello di consentire ai clienti investitori di scegliere in anticipo verso quale settore economico indirizzare i loro soldi: prestiti personali o alle famiglie, mutui immobiliari, imprese operanti nel settore delle energie rinnovabili, aziende agro-alimentari etc. Questo sarebbe un fondamentale progresso ulteriore in direzione della tanto invocata Democrazia Partecipativa o Diretta, perché darebbe la possibilità ai singoli cittadini risparmiatori di decidere autonomamente quale indirizzo dare alla società in cui vivono: le banche non sarebbero più le depositarie ultime dei destini del mondo, ma diventerebbero delle semplici società di servizi che eseguono e si fanno interpreti della volontà dei cittadini. Solo a questi ultimi spetterebbe infatti il compito altamente democratico e responsabilizzante di scegliere quali settori economici devono essere finanziati e quali invece dismessi in un’ottica di difesa del bene comune e degli interessi della collettività. Qualcuno però potrebbe obiettare che questa serie di restrizioni, legacci e lacciuoli impedirebbe alle banche di fare da volano e da propulsore dell’economia, ruolo che le è stato ampiamente riconosciuto dalla storia durante il periodo della rivoluzione industriale. Come è noto la prima banca privata di una certa rilevanza ad avere avuto la delega dal governo di emettere mezzi monetari in sua vece è stata la Bank of England nel 1694 e forse ispirati dai furenti attacchi di Karl Marx, che fa risalire proprio a questa data l’inizio del capitalismo moderno e della truffa del debito pubblico, molti storici conservatori e liberali in aperto contrasto con i comunisti considerano questo evento il vero fattore scatenante dello straordinario sviluppo industriale.




E’ indubbio infatti che l’abbondanza di mezzi monetari e la facilità di accedere al credito abbia consentito a molti imprenditori di aumentare gli investimenti in innovazioni tecniche e infrastrutture, ma bisogna sempre tener presente che esistevano ancora parecchie restrizioni all’espansione incontrollata della massa monetaria: la moneta era prevalentemente cartacea e non esistevano ancora i depositi informatici, sebbene mai rispettata nella pratica vigeva la convertibilità delle banconote in oro o in titoli di debito del governo, le produzioni industriali e i flussi commerciali erano ancora limitati e ad un livello di integrazione ben distante dal libero mercato globale dei beni e dei capitali, come noi lo conosciamo oggi. A partire dal 1971, grazie al processo inarrestabile di deregolamentazione, tutti questi vincoli sono stati abbattuti e come verificato empiricamente il settore finanziario non agisce più da motore di sviluppo dell’economia reale ma tende molto spesso a soffocare la crescita e ad estrarre valore dal settore produttivo. Basta guardare l’andamento del PIL mondiale (vedi grafico sotto) per capire che la cosiddetta finanziarizzazione spinta dell’economia ha provocato dopo la fine degli Accordi di Bretton Woods del 1971 una sequenza sempre più catastrofica e devastante di crisi economiche e finanziarie, che hanno la peculiare caratteristica di aumentare in intensità e profondità con il passare del tempo. Questo continuo acutizzarsi delle crisi, che tende a far sì che la nuova crisi sia sempre peggiore della precedente, è il principale motivo per cui oggi parecchi studiosi e analisti considerano urgente e improrogabile cominciare a ragionare sulle regole e le normative da imporre a livello politico e istituzionale per frenare l’eccessivo allargamento dell'industria finanziaria, che ha finito per forza di cose per ridimensionare e scalzare il settore produttivo dalla sua storica centralità.










Le banche possono rimanere senza soldi?


Il rischio che con un sistema di copertura di riserve al 100% le banche possano rimanere a corto di soldi da prestare, qualora ci sia una reale domanda dai mercati, è davvero molto remoto, perché oltre al continuo flusso in entrata di nuovi depositi di investimento, le banche possono anche contare sul graduale rientro dei prestiti già erogati tramite il pagamento delle rate. Inoltre, soprattutto nei casi di mancanza di liquidità a breve periodo, la banche potrebbero sempre ricorrere ai prestiti sul mercato interbancario, mentre per interventi più strutturali continuerebbero a fare ricorso ai rifinanziamenti a medio-lungo termine della Banca Centrale. Infine la costante erogazione di nuovi mezzi monetari da parte dello Stato, con lo strumento diretto della spesa pubblica, dovrebbe già ridurre a monte l’esigenza di contrarre debiti privati, limitando l’uso del credito soltanto ai casi realmente efficaci ed evitando la nascita di bolle speculative, che non sono accompagnate da un corrispondente sviluppo del settore produttivo coinvolto (immobiliare, tecnologico etc). Le banche quindi potrebbero continuare a funzionare regolarmente senza eccessivi intoppi o inefficienze, con il grande vantaggio sociale di indirizzare l’accumulo del debito privato solamente a quelle controparti, attività o bisogni che hanno una reale necessità di essere finanziati non con l’emissionedi nuovi mezzi monetari creati dal nulla, ma con la circolazione di quelle risorse finanziarie dedicate effettivamente al risparmio. In questo modo potrebbe finalmente avverarsi quella fittizia eguaglianza contabile fra risparmi e investimenti tanto promossa sui libri di testo di economia, quanto impraticabile nella realtà a causa del meccanismo ingarbugliato e truffaldino della riserva frazionaria.




Pillola rossa o pillola blu?


In questo preciso momento storico una quantità sempre maggiore di persone viene messa di fronte al mistero della moneta e del debito, come se finalmente tutti i veli e le coperture fossero stati improvvisamente tolti, consentendo a chiunque di farsi un’idea e di vedere fin nei minimi dettagli gli arcani effetti demiurgici della moneta. Se anche un giornale conservatore e liberista come il Financial Times si è accorto del trucco, descrivendo come possibile la circostanza che la Bank of England possa cancellare con un semplice clic sul computer £400 miliardi di sterline di debito pubblico inglese, significa che ormai il vaso è colmo e sta cominciando a traboccare. Molti cittadini che non si erano mai avvicinati in vita loro alla Matrix della Moneta, rimarranno magari scioccati e preoccupati, pensando che qui si va tutti a gamba all’aria, altri invece armati di maggiore curiosità e consapevolezza sanno già che questa possibilità è inclusa nel concetto stesso di moneta moderna, che nasce con il debito e può morire con esso, senza alcun bisogno di affamare e esasperare i cittadini con inutili e dolorose politiche di austerità.




Basta considerare che fino a prova contraria in Inghilterra la Banca Centrale Bank of England e il Governo sono due istituzioni pubbliche facenti capo allo stesso Stato, per capire che quei £400 miliardi sono solo un numero che transita da un ufficio all’altro, da un computer all’altro, senza creare una reale posizione debitoria e creditoria fra i due enti: nient’altro che una scrittura contabile, una partita di giro fra due istituzioni complementari e omologhe dello Stato. Se la Bank of England avesse fornito quei soldi al Governo senza segnare da nessuna parte un “credito” o un “debito”, come descritto in questo lungo articolo, oggi nessuno potrebbe gridare allo scandalo o sarebbe costretto a vivere sotto la surreale e angosciante finzione del debito pubblico che non esiste. Tuttavia, malgrado l’impegno profuso e le parole spese su questo argomento, nessuno in fondo può descrivere Matrix agli altri e spetta alla coscienza e all’immaginazione di ognuno di noi decidere se è arrivato il momento di fare il salto nel vuoto: pillola rossa comprendete il meccanismo e cercate di correggerlo politicamente, pillola blu continuate a rimanere ingabbiati nella Matrix e a credere che lo Stato abbia bisogno di indebitarsi per spendere i suoi soldi. “Io ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Nulla di più che la verità”. Ma per guardare quanto è profonda la tana del bianco coniglio serve adesso la vostra libera volontà.








amente non schierato che cerca di chiarire alcuni aspetti e retroscena dell'attuale crisi finanziaria, economica, politica, aprendo magari nuovi scenari per un dibattito aperto sulle possibili soluzioni. L'autore del blog è un ingegnere gestionale, quindi non un economista in senso stretto, che affronta i problemi non tanto dal punto di vista tecnico ma puntando soprattutto ad evidenziare alcuni paradossi logici e razionali, che sono alla base dell'attuale crisi economica. La Tempesta che si è abbattuta sui paesi più sviluppati dell'Occidente è grave perchè coinvolge contemporaneamente parecchi aspetti della vita pubblica, ma è anche Perfetta, dato che arriva in modo quasi provvidenziale al posto giusto e al momento giusto, per innescare un cambio di rotta che può partire soltanto dal basso e dal coinvolgimento diretto di chi non vuole ancora rassegnarsi alla deriva del pensiero libero, democratico, costruttivo, sostenibile. Un'altra voce fuori dal coro forse non serviva, ma sicuramente non guasta, perchè in un contesto così turbolento e agitato può portare sempre nuovi argomenti e stimoli alla discussione già in corso. Concludo questa breve descrizione con una frase dell'economista tedesco E. F. Schumacher, che racchiude in sintesi molte delle aspettative e delle ragioni del mio incessante lavoro di informazione : "Non so suscitare io stesso i venti che potrebbero sospingere noi, o la nostra Nave, in un mondo migliore. Ma posso almeno issare la vela, cosicché quando arrivi il vento lo possa prendere".



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martedì 31 gennaio 2012

BCE, signoraggio rubato nel 2011: 337.5 mld euro






Signoraggio BCE = 20% del PIL dell'Europa (1)
ovvero 20% di 18 trilioni di dollari,
ovvero 3,6 trilioni di dollari,
ovvero 2,7 trilioni di euro,
2.700 miliardi di euro nel solo 2011
che dovrebbero rientrare nelle casse degli stati membri.

Quindi, per il 2011, la BCE si è rubata 2.700 miliardi di euro. Per il bene comune oppure per il bene dei rentiers ?

dividendo la somma per la quota di partecipazione di Bankitalia in BCE (12,5%) si ottengono
337.5 miliardi di euro per il 2011. Dividendo per il numero di abitanti dell'Italia (57 mln) si ottiene la quota-parte pro-capite, circa 6.000 euro per il 2011 a testa, bambini compresi. Per una coppia con un figlio - 18.000 euro. Ovvero, 1.500 euro/mese.
Chiamiamolo Reddito minimo garantito e.... voilà.

Pensate se a questo si aggiunge il signoraggio delle banche commerciali....

Calcolando quindi oltre che solo per il 2011, il signoraggio aggregato dalla nascita dell'euro in area Italia (signoraggio primario più signoraggio secondario), si arriva a circa 1.800.000 euro a testa.... Occorre dire altro ?


IL .

 
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