Inflazione e risparmio gestito

Buona parte dei profitti nel settore del risparmio gestito deriva da una semplice omissione. Si omette di spiegare ai risparmiatori la differenza tra valore reale e valore nominale.
Il concetto, anche se così non sembra, è molto semplice.
Con mille euro oggi posso acquistare piu' beni di quanti ne potrò comprare con la stessa cifra tra dieci, venti o trent’anni. Ciò è dovuto all’inflazione che riduce il potere d’acquisto del denaro. Come vedete il concetto è elementare, al limite del banale. La perdita del potere d’acquisto, quindi del valore reale, è una variabile che tutti gli economisti tengono in considerazione. Proprio per questo i valori storici vengono attualizzati, in modo da renderli sensati.
Passiamo dalla teoria alla pratica. Perché questo influenza in modo significativo la vita di milioni d'italiani?
Come dicevamo all’inizio, l’industria del risparmio gestito omette di far presente questo ai propri clienti. In tal modo è possibile vendere, ad esempio, i prodotti a capitale garantito. In quanto il valore di cui si parla è quello nominale, non quello reale. Alla scadenza del contratto il risparmiatore riceverà la stessa cifra versata cinque anni prima, con la differenza che il potere di acquisto attuale è stato eroso da cinque anni d'inflazione. Il risparmiatore riceverà un capitale con un valore reale inferiore a quanto versato.
Evidentemente risulta più semplice vendere un prodotto motivando l'acquisto con la garanzia del capitale investito. Vendere lo stesso prodotto presentandolo semplicemente come qualcosa che blocca il capitale per vari anni ed a scadenza concede un interesse nominale pari a zero sarebbe molto arduo. La vendita diventerebbe, poi, quasi utopica se lo stesso prodotto fosse presentato come qualcosa che blocca il tuo capitale per vari anni, dandoti a scadenza, se le cose non vanno come si spera, un interesse reale negativo.

Il medesimo sistema viene utilizzato per le polizze vita ed i piani di accumulo. Si prospettano rendimenti a vent'anni, senza far notare al cliente che il potere di acquisto reale di quella cifra sarà eroso da venti anni di inflazione.
Questo problema coinvolge direttamente (e particolarmente) il nascente settore della previdenza integrativa privata.
Sarebbe più corretto dire: tocca direttamente i risparmiatori che si affideranno alla previdenza privata, giacché il settore in questione sta brillantemente evitando il problema, non inserendo nei contratti alcun accenno al mantenimento del valore reale della rendita pensionistica.

Il problema riguardante il mantenimento del potere d'acquisto è stato considerato e risolto dal legislatore per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Tale capitale deve essere rivalutato dalle imprese con tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo. Una rivalutazione di questo tipo è stata considerata "improponibile" dalle compagnie assicuratrici, le quali si sono rifiutate di applicarla ai loro fondi pensione.

E’ evidente che se un'ondata inflativa si abbattesse sull’Europa, circostanza poco probabile, ma certamente non impossibile, il potere d’acquisto delle pensioni private crollerebbe. Non occorre del resto formulare ipotesi apocalittiche. E' sufficiente un'inflazione del 3.4% annua per dimezzare nel giro di vent’anni il valore reale di una rendita non rivalutata all’inflazione.
Questo è sicuramente un problema sul quale gli organismi preposti devono concentrare la loro attenzione.
 
E' sufficiente un'inflazione del 2% annuo per dimezzare nel giro di vent’anni il valore reale di una rendita non rivalutata all’inflazione.

Questo però non è vero, non si ridurrebbe della metà, si ridurrebbe di un terzo.

Appartiene alle tante illusioni ottiche finanziarie. Una classica, di scuola verrebbe da dire, è la domanda: se investendo 100 prima perdi il 50% e poi guadagni il 100% cosa è successo ai tuoi soldi?
La quasi totalità delle persone dirà che ci ha guadagnato, visto che il guadagno del 100% "suona" come più grande della perdita del 50%.

In realtà, se prima perdi il 50% dimezzi il capitale e poi, guadagnandone il 100%, lo raddoppi. Se un capitale prima si dimezza e solo dopo viene raddoppiato torna ad essere esattamente il capitale iniziale. L'"impressione" che ci si guadagni (a perdere prima il 50% e poi guadagnare il 100%) è, appunto, un'illusione finanziaria.

La tesi che con un'inflazione del 2% annuo si dimezzi il valore reale deriva dall'applicazione istintiva del principio dell'interesse composto. E' per quello che Gussoni (come praticamente tutti, peraltro) ha fatto grosso modo un ragionamento del tipo: "2 moltiplicato per 20 fa 40, se ci si aggiunge qualcosa (stile interessi sugli interessi) si arriverà grosso modo ad un 50% e quindi ad un dimezzamento del capitale".

Il fatto è che è vero che 1,02 elevato alla ventesima fa 1,4859 ma non si tratta del rendimento di un conto liquidità, bensì di inflazione, quindi di una "diminuzione" del capitale.

In sostanza, il calcolo che va fatto è opposto, non 1,02 elevato alla ventesima, ma 0,98 elevato alla ventesima che porta a 0,6676. Di conseguenza, per l'appunto, porta non ad una riduzione della metà, bensì alla riduzione di un terzo.

Quasi tutti tendono a sovrastimare l'effetto dell'inflazione perché quasi tutti ragionano con la "logica" dell'interesse composto. Il fatto che venga sovrastimata, ovviamente, non significa che non ci sia. Annoto solo che se dice ai clienti: "E' sufficiente un'inflazione del 2% annuo per dimezzare nel giro di vent’anni il valore reale di una rendita non rivalutata all’inflazione." gli racconta oggettivamente una cosa falsa, essendo la situazione più complicata e significativamente diversa (e molto più importante se la percentuale è superiore al 2%).

:ciao:
 
Salve Joda, ti ringrazio della segnalazione.

Noto, grazie al tuo post, che invece di attualizzare (come all'inizio dell'articolo dico che fanno i buoni economisti) ho capitalizzato.

Una svista che come giustamente dici da un'informazione errata a chi legge. Provvederò al più presto a far correggere i dati.

Infatti è necessaria un'inflazione media del 3,4% per dimezzare il potere d'acquisto di una rendita pensionistica in vent'anni.

Ti ringrazio nuovamente per la segnalazione.
 
Ti ringrazio per aver capito lo spirito della segnalazione, che era spirito di servizio. Volevo evidenziare, al di là della svista, come quel riflesso mentale (che hanno quasi tutti) tenda a fare sovrastimare l'inflazione che si è subita dopo x anni.
:ciao:
 
Sì,
voglio ringraziare anche io.
Per chi come me non mastica tanto di finanza, è servito molto per farmi capire meglio, ed in poche righe, un argomento molto importante.
Continuate così, tutti.
 

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