La rivoluzione islamica permanente

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Forumer storico
Iran: una economia in transizione
03 Mar 2006

di Nicola Filizola
http://www.fondionline.it/sito/main.php?ch1=C08&p1=1&ch2=C03&ch4=C11&ch3=c14&p2=4587

Per tre anni consecutivi, dal 2002 al 2005, la Repubblica Islamica ha registrato una crescita economica annua che è oscillata tra il 6.5 ed il 7%, il debito pubblico è molto basso e la bilancia commerciale segna un costante segno positivo..

Cosa non funziona

Gli economisti descrivono gli investimenti in Iran “altamente speculativi”, alla stessa stregua di paesi come l’Ucraina, l’Indonesia e il Lesotho poiché ad altissimi margini di guadagno si associano degli altrettanto elevati livelli di rischio. Una delle ragioni di questa alta soglia di rischio sta nel fatto che la fortuna principale dell’economia persiana è ancora legata in maniera inscindibile alle entrate garantite dal petrolio, nonostante i numerosi sforzi di diversificare l’economia. La seconda difficoltà è rappresentata da un invadente e inefficiente settore pubblico che ha relegato le imprese private ad un ruolo comprimario. Come se non bastasse, le opportunità per il commercio straniero in Persia sono tutt’altro che semplici a causa delle sanzioni economiche imposte dal Dipartimento di Stato USA circa nove anni fa e le continue invettive del presidente Ahmadinejad verso il mondo occidentale sono un vero e proprio motivo di paura anche per gli imprenditori più avventurosi.

Tuttavia, la più grande fonte di incertezza economica che riguarda il paese è molto probabilmente la instabile situazione politica e la indecifrabile fonte del potere. Sebbene, infatti, il nuovo presidente iraniano rappresenti l’icona del nuovo corso integralista, non è mai dato sapere quali siano i reali intendimenti degli altri depositari del potere, di derivazione non elettiva, come il Consiglio dei Guardiani (garanti della permanente rivoluzione islamica). Infine, ma non per ultimo ogni anno il governo di Teheran si trova a dover affrontare una aspettativa di nuovi posti di lavoro vicina al milione di unità. Quasi un terzo della popolazione, infatti, ha una età inferiore ai quattordici anni e il rapido incremento dei giovani in cerca di una occupazione impone una grande pressione sul mercato del lavoro. Ad oggi il livello di disoccupazione è del 16% e in un sistema economico focalizzato sulla estrazione del greggio e basato su un esteso settore pubblico statico e monolitico, è quantomeno difficile prevedere dei miglioramenti nel breve periodo. Come detto prima, le opportunità per gli investitori privati, sia esteri che nazionali, sono molto ristrette.

Il business della ricostruzione in Afghanistan

Da quattro anni a questa parte le fonti di guadagno maggiori si chiamano Afghanistan e Iraq. E’ nota a tutti la dinamica commerciale ed economica che si sviluppa dopo un conflitto bellico. Si mettono in moto i meccanismi degli appalti, dei contratti e degli interessi che ruotano attorno alla ricostruzione materiale e politica di quel dato paese. Soltanto per dare un’idea del giro d’affari che ruota attorno al cosiddetto peacebuilding di Kabul, basti pensare che il commercio tra Iran e Afghanistan, negli ultimi due anni, ha totalizzato un bilancio di 260 milioni di dollari. Tra i maggiori progetti messi in opera, quello della autostrada Doghauroun - Herat è sicuramente il più significativo per la sua grandezza e, secondo quanto affermato dal Ministro per l’economia iraniano Seyyed Safdar Hosseini, gli sforzi di Teheran per incrementare gli investimenti si faranno ancora più decisi nel campo delle telecomunicazioni, dell’agricoltura, dell’offerta di energia e dell’edilizia. L’Afghanistan, infatti, ha oggi la necessità di almeno 500.000 nuove unità abitative all’anno e per non vedersi sfuggire i faraonici appalti in palio, le imprese persiane, con l’appoggio del proprio governo, stanno sfidando i colossi cinesi dell’edilizia. Non è difficile immaginare un “favorevole” accoglimento dei capitolati di Teheran da parte di Kabul. I rapporti tra i due paesi sono sempre stati legati ad un filo comune: come in Iran, infatti, nel sud-ovest dell’Afghanistan vi è una forte presenza di musulmani sciiti. Contrariamente alle aspettative createsi all’indomani della caduta del regime dei Talebani i contrasti tra Washington e la Repubblica Islamica, non hanno impedito il naturale svolgimento degli affari tra i due vicini del golfo persico. Anzi, secondo quanto detto dal Colonnello Christopher Langton, che presiede il dipartimento di analisi di difesa all’Istituto per gli Studi Strategici di Londra, l’Iran è un paese cruciale nella ricostruzione e nello sviluppo dell’Afghanistan. “ Hanno collaborato in maniera stretta per contrastare il regime Taliban nel passato, ma anche a causa della forte influenza che l’Iran ha sulla popolazione Hazara afgana che, come gli iraniani, sono sciiti. Anche nel settore dello sviluppo ci sono dei progetti in cui è coinvolto l’Iran. Per esempio la strada che da Bandar Abbas, che si affaccia sul Golfo persico, si sviluppo verso il cuore dell’Afghanistan e muove verso il centro dell’Asia. C’è una intera lista di questioni economiche, politiche ed economiche che mette in connessione i due vicini.” Oltre a ciò, le connessioni tra i due paesi sono date naturalmente dalla enorme presenza di rifugiati afgani in Iran. Secondo stime del UNHCR, ci sono ancora 950.000 rifugiati in Iran, più che altro retaggio del periodo del regime Taliban e la cifra è ancora destinata a salire. L’attrazione di un posto di lavoro sta infatti muovendo una enorme quantità di persone da Kabul a Teheran.

Gli scioperi e la repressione

Le ripercussioni della teocrazia iraniana non hanno i loro effetti soltanto nella politica estera e di difesa. Nonostante il presidente Ahmadinejad abbia vinto le elezioni dello scorso anno con la promessa di essere il “presidente dei poveri” e di voler combattere i privilegi della vecchia élite, le divisioni tra le classi sociali sono sempre più profonde e palpabili. All’ultimo gradino della scala sociale stanno probabilmente gli autisti degli autobus e delle linee di trasporto extraurbano. Le autorità di Teheran si sono rifiutate di concedere loro la continuazione della attività di un libero sindacato poiché sostengono essere il Comitato Islamico l’ente in grado di rappresentare gli interessi dei lavoratori. Peccato che lo stesso Comitato dovrebbe essere sia elargitore dei salari che promotore degli aumenti stipendiali e dei diritti dei lavoratori.
Per tutto il mese di Gennaio e buona parte di quello di Febbraio ci sono stati degli scioperi massicci che hanno bloccato le strade di Teheran e molte altre città nel resto del paese. La risposta del governo è stata la più dura dalla repressione del movimento studentesco e dei giornalisti del 1999 e sono stati arrestati i sei maggiori esponenti del movimento degli autotrasportatori. Nonostante la violenta azione della Polizia, la maggioranza dei lavoratori ha impavidamente continuato a scioperare mettendo in grave imbarazzo l’establishment iraniano. Ancora una volta, in questo caso, si è rivelata tutta la brutalità del regime e delle posizioni di Ahmadinejad che hanno deciso allora di perseguire i familiari degli autisti. Numerosissime sono le testimonianze di donne picchiate e di bambini legati. Il bilancio finale è stato di circa 1400 arresti di cui, secondo l’Ambasciata britannica a Teheran, ancora 600 sono ancora in carcere per ragioni non precisate.

Tutto questo per spiegare le contraddizioni in un paese dove, nonostante il forte attaccamento alla religione, si distinguono degli importanti e profondi segnali della voglia di cambiamento. Un po’ come per il regime comunista a Pechino, nell’antica Persia la forza centrifuga e dirompente della gioventù potrebbe costituire un boomerang per la rivoluzione islamica e molto probabilmente la via di mezzo che è stata intrapresa tra chiusura politica e relativo modernismo del sistema di istruzione dovrà prima o poi svoltare ad un bivio. Nonostante l’accettabile tenore di vita garantito a tutti, i dislivelli sociali si stanno accentuando, in seguito alle recenti aperture al mercato internazionale, e le fonti di malcontento diventano sempre più numerose: non ultime quelle che nascono dalle sempre più numerose e strambe Fatwe degli Ayatollah.

Conclusioni

Si è volutamente escluso l’argomento degli esperimenti atomici dal presente articolo per centrare l’attenzione su quelle che sono le issue che ruotano attorno al sistema di governo ed economico del paese. Per quanto riguarda la sfera economica, un indice molto importante per misurare gli andamenti della bilancia commerciale sarà, molto probabilmente, il grado di stabilità e di coesione che Teheran sarà in grado di costruire con il sud dell’Iraq e dell’Afghanistan, alla ricerca di una macro regione sciita che non poco preoccupa l’Arabia Saudita e gli altri vicini sunniti. Nel campo della politica internazionale, tuttavia, il vero livello della “febbre” iraniana verrà rivelato soltanto dalla risoluzione (o meno) degli attriti con le Nazioni Unite e gli Stati Uniti che, questa volta, per forza di cose include il caso degli esperimenti nucleari.
 

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