... LA SEDUZIONE E' MiSTERO,

Sbagliato a postare.

Buongiorno

Microsoft acquista i cellulari Nokia, anche il marchio Lumia, per 5,44 miliardi di euro.
La notizia è stata comunicata da Microsoft e Nokia in una nota, sottolineando che Redmond rileverà le attività «devices e service» di Nokia, la licenza per i brevetti Nokia e l'uso dei servizi mappe di Nokia
 
Il settore è frizzante. Il colosso Usa Verizon ha deciso di sborsare 100 miliardi di euro per acquisire il 45% di Verizon Wireless attualmente in mano a Vodafone. Il miliardario messicano Carlos Slim, numero uno di America Movil, ha puntato sull’olandese Kpn, di cui è già azionista al 30%, e alla sua controllata tedesca E-Plus, terzo operatore del Paese, finito nel mirino di Telefonica Deutschland – divisione della spagnola Telefonica – che lo ha valutato 8,5 miliardi. Slim nel frattempo ha offerto 7,2 miliardi per il rimanente 70% di Kpn, ma l’operazione sembra per ora bloccata dall’annuncio, da parte della fondazione indipentente che presidia gli interessi di Kpn, di aver esercitato un’opzione per comprare azioni pari al 50% dei diritti di voto. Hutchison Whampoa, protagonista nei mesi scorsi per l’interessamento a una fusione tra 3 Italia e Telecom, ha invece acquistato O2 Irlanda proprio da Telefonica per 850 milioni di euro.
 
Banche d’affari e società di consulenza si sfregano le mani, ingolosite da questo inaspettato fermento delle telecomunicazioni. Uno dei comparti che ha risentito di più, assieme alle utilities, della doppia recessione e del progresso tecnologico, tirando bruscamente il freno a mano nell’attività operativa e ritrovandosi attivi frutto di acquisizioni a prezzi divenuti improvvisamente fuori mercato.
Ad esempio, secondo un calcolo di Deutsche Bank, fatto 100 il valore del titolo nel 2000, Telecom Italia oggi vale 8.
 
Proprio l’ex monopolista è considerato la prossima preda, in attesa di capire le mosse del patron di Telefonica, Cesar Alierta (prendere o lasciare in Telecom Italia?).
Gli operatori sono ormai convinti che America Movil presenterà un’offerta irrinunciabile per Tim Brazil, per competere direttamente con Telefonica – socio forte di Telco, la holding in odor di smembramento al 22,45% di Telecom Italia – nel gigante sudamericano, per una cifra stimata in 6 miliardi di euro.
Il doppio del suo valore di mercato.
Un ritorno al passato: Slim voleva prendersi Telecom nel 2007, all’epoca c’era ancora Tronchetti Provera, e proprio gli spagnoli di Telefonica intervennero per bloccarlo.
Di lui Franco Bernabè ha detto: «Nelle sue operazioni non ha mai distrutto valore».
 
E Bernabè? «Mi ricordo la telefonata che Roberto Colaninno mi fece il giorno che i suoi soci gli annunciarono di avere venduto a Tronchetti, mi disse “non sono mai stato più ricco ma non sono mai stato più incazzato”.

Lui a suo modo aveva un piano industriale però era assieme a finanzieri che avevano come unico scopo il capital gain», ha raccontato lo scorso dicembre Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, aggiungendo che l’errore fu lasciare la società a un «gruppetto di capitalisti che voleva comandare senza metterci i soldi».

Trovarsi con 40 miliardi di debiti da gestire riduce inevitabilmente i margini di manovra, tuttavia dal 3 dicembre 2007, quando è tornato in Telecom da amministratore delegato, il titolo ha lasciato sul terreno il 78%, Deutsche Telekom il 35%, Telefonica ha invece guadagnato il 3,9% e Vodafone il 10 per cento.
La Borsa però è solo una faccia della medaglia.

L’altra sono i conti dell’azienda.
Nel suo Licenziare i padroni? (Feltrinelli, 2004) Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corriere oggi senatore Pd, confrontando i conti 1997 con quelli del 2001 (pre e post privatizzazione), scriveva:
«I manager pubblici reperiscono le risorse per il 94,6% dall’autofinanziamento, per l’8,3% da aumenti di capitale e per il 7,1% attraverso la vendita di beni del gruppo. I privati si finanziano solo per il 47,3% attraverso la gestione operativa, per l’8,4% ricorrono ad aumenti di capitale, per il 13,5% usano il ricavato della cessione di pezzi di patrimonio e per un’allarmante 30,8% fanno ricorso alle banche. Questi andamenti di medio periodo ci dicono che quattro anni di gestione privata non hanno rafforzato l’azienda Telecom Italia».
E Bernabè?
Nel bilancio 2008 , il primo da presidente esecutivo, gli investimenti industriali (Capex) si sono assestati a 5,36 miliardi di euro, il 18% dei ricavi (28,7 miliardi).
Nel 2012 scendono a 5,19 miliardi, 17,6% dei ricavi (29,5 miliardi).
Sale invece la la generazione di cassa (free cash flow netto): 5,4 miliardi nel 2008 ma 6,4 miliardi nel 2012.
Nell’anno del fallimento di Lehman Brothers l’ex monopolista distribuisce dividendi per 1,6 miliardi, con un grasso payout (la percentuale dell’utile destinata ai dividendi, ndr) del 70%, in discesa dall’iperbolico 86% del 2007 (2,8 miliardi), anno del passaggio del controllo da Olimpia a Telco.
L’anno scorso alla remunerazione degli azionisti sono andati 900 milioni (-23% sul 2011), sebbene l’esercizio 2012 si sia chiuso in perdita per 1,2 miliardi (2,2 miliardi di utili nel 2008).
Tant’è che le riserve, nel giro di quattro anni, si contraggono da 15,4 a 8,7 miliardi di euro – 6,7 miliardi, 1,6 miliardi l’anno in media – e il patrimonio netto da 26,3 a 23 miliardi.
Fortunatamente scende anche l’indebitamento netto: 34 miliardi nel 2008, 29 nel 2012. Tuttavia, scorporando il dato, si scopre che i debiti nei confronti delle banche (correnti e non) si assestano a 11,2 miliardi rispetto ai 10,5 miliardi del 2008.
Significa che l’esposizione nei confronti degli istituti di credito sull’indebitamento passa dal 30 al 38% del totale.
Tornando all’analisi di Mucchetti, la dipendenza di Telecom dalle banche, alcune delle quali – Mediobanca (in uscita dal patto parasociale) e Intesa Sanpaolo – sono azioniste in Telco, aumenta dell’8% complessivo, 2 punti percentuali l’anno.
Inutile calcolare il peso del debito sull’ebitda (pari a 11,3 miliardi nel 2008, 11,6 nel 2012), in quanto la società gode dell’invidiabile privilegio di non avere covenant (clausole vincolanti, ndr) finanziari, ma soltanto sul rating.
Non che sia un bene, anzi.
Gli analisti di Standard & Poor’s a inizio agosto hanno confermato il rating a BBB- ma con prospettive negative, il che significa un temuto declassamento in territorio junk, al di sotto dell’investment grade – che trasformerebbe 30 miliardi in high yield – entro il 2014.
«Il declino dell’Ebitda organico nella prima metà del 2013 è stato del 6,8%, e del 10,9% sul mercato domestico», ha scritto S&P.
Che spiega: «Le prospettive negative riflettono la possibilità di un abbassamento del rating di lungo termine di un notch nei prossimi 12 mesi se il rapporto tra debito ed Ebitda supererà le 3,3 volte».
E se Telecom non riuscisse ad alzare il rapporto tra generazione di cassa e debito al 24-26% dall’attuale 18 per cento.

Con la perdita di marginalità in Italia, il rallentamento di Brasile e Argentina, il congelamento delle trattative con la Cassa depositi e prestiti per lo scorporo della rete anche in seguito alla decisione miope – peraltro contestata da Bruxelles – dell’Agcom di abbassare le tariffe di affitto all’ingrosso dell’ultimo miglio della rete in rame, la missione è quasi impossibile.
Dopo le bufale Naguib Sawiris e Li Ka Shing, Bernabè cerca un altro cavaliere bianco. Senza però avere i risultati dalla sua.


Leggi il resto: Ecco come Bernabè ha gestito male la ?preda? Telecom | Linkiesta.it
 
Qualche telegiornale ne ha parlato ?
Avete letto la notizia sui giornali ?

"Nel ciclismo paralimpico l’Italia non ha rivali nel mondo: chiude il Mondiale a Baie Comeau, in Canada, con 13 medaglie e sette titoli iridati.
Mai così bene nella storia, con due Azzurri che hanno vinto in ogni gara a cui hanno partecipato: Alex Zanardi e Luca Mazzone nell’handibike.
L’ultima vittoria vede ancora una volta loro protagonisti, insieme a Vittorio Podestà: oro nel team relay misto, ultima gara del campionato. Alex Zanardi, tre medaglie d’oro (crono, strada e appunto con la squadra), è il personaggio trainante di un movimento che non ha eguali nel mondo.
 
Sbagliato a postare.

Buongiorno

Microsoft acquista i cellulari Nokia, anche il marchio Lumia, per 5,44 miliardi di euro.
La notizia è stata comunicata da Microsoft e Nokia in una nota, sottolineando che Redmond rileverà le attività «devices e service» di Nokia, la licenza per i brevetti Nokia e l'uso dei servizi mappe di Nokia

ma pensavo che sta notizia avesse smosso la Gnokia...
invece niente ...solo +40% :lol::lol::lol::lol::lol::lol::lol:
 
Giorno


Ben Bernanke, il capo della Fed che doveva salvare il mondo

Alla Federal Reserve si sta chiudendo un'era: nel mezzo della più grave crisi dalla Grande depressione del '29, stampare dollari ha evitato il peggio. Ma il difficile viene adesso: ritirare i sostegni alla finanza rischia di far collassare tutto il sistema



Nel sederci a tavola nel Frakfurter Hof, commentai che – con l’eccezione delle rime di Goethe – a Francoforte, dall’arredamento dei ristoranti alla politica monetaria, prevalevano tendenze austere e solide, prevedibili come il sapore di un würstel. Bernanke sorridendo chiosò che il commercio di anime era una delle poche materie non influenzata dalle banche centrali. L’euro era già valuta ma non ancora banconota. Lui, uno degli accademici più influenti sulle questioni monetarie, era stato invitato alla Bce per discutere sulla rotta da tenere, dopo aver varcato le Colonne d’Ercole dell’unione monetaria. Un paio di anni dopo Bush lo nominò prima nel Board della Federal Reserve e poi nel 2006 al vertice, un outsider, nella Washington al cui mercato delle anime non suona mai la campana.
Destino volle che alla guida della Fed, durante la più virulenta crisi dalla Grande Depressione, ci fosse uno che aveva studiato minuziosamente proprio le politiche post 1929. Dopo il collasso della Lehman Bros. non esitò a tamponare il disastro inondando di liquidità il sistema finanziario americano e mondiale. In quell’emergenza epocale non si ricorse alla fantasia. Bernanke applicò la terapia che quasi tutti, da Friedman in poi, avevano prescritto: evitare che il panico prosciugasse il credito, devastando le banche e con esse l’economia reale. Ciò non significa che la terapia non abbia proditto effetti collaterali, in primis condonare l’incompetenza (o peggio) che allignava a Wall Street, ma alternative concrete non erano disponibili. Sulla reazione di Bernanke alla fase acuta della crisi lo spettro di giudizi è composito, ma in definitiva il fronte del rifiuto non è esteso né granitico.
Invece sulla politica monetaria condotta negli anni successivi la schiera degli oppositori si rafforza. Bernanke ha guidato la Fed con determinazione, ricorrendo a strumenti creativi, aggressivi e di portata mai vista per sollevare tre successive ondate di liquidità nei mercati (i quantitative easing, QE). Nello sforzo di contrastare la potenza del gorgo che risucchiava l’economia USA, il bilancio della Fed esplose da meno di un trilione di dollari nel 2008 a 3.6 trilioni di dollari oggi, inglobando un guazzabuglio di debito pubblico (oltre metà del portafoglio) e titoli di varia tossicità, soprattutto cartolarizzazioni di mutui. Visto che la ripresa rimane asfittica, molti asseriscono che l’efficacia è dubbia e le conseguenze ancora da scontare. Probabilmente se ne discuterà per decenni.
Di sicuro Bernanke lascerà da smaltire al suo successore una sbornia da 4 trilioni di dollari. Il giorno che i tassi inevitabilmente risaliranno, il valore delle obbligazioni scivolerà. La Fed presenta uno stato patrimoniale dove le passività sono i dollari emessi dal nulla per comprare i titoli iscritti tra le attività. Finora il gioco di specchi contabile ha retto. Ma i valori di passività e attività devono combaciare, quindi quando i tassi di interesse saliranno, sui dollari sorti dal nulla avanzerà un’ombra sinistra. Non a caso, da maggio, appena la Fed annuncia vagamente di normalizzare la politica monetaria, i mercati da Shanghai a New York, perdono quota trascinando il cambio del dollaro.
Chi sarebbe in grado di disinnescare il meccanismo senza farlo esplodere? Il favorito è Larry Summers (i bookmakers lo dànno 4 a 6), mentre la vice di Bernanke, Janet Yellen è la contendente più accreditata (data quasi alla pari). Il primo dopo essere stato un enfant prodige ad Harvard, ha ricoperto posizioni chiave con Presidenti democratici (fino a divenire Segretario al Tesoro con Clinton) incluso Obama per il quale ha gestito il salvataggio delle case automobilistiche (assicurando ad Obama la vittoria elettorale nel Mid-West). La seconda ha diviso la carriera tra università di prestigio la Presidenza dei Consiglieri Economici e varie esperienze nella Fed le cui dinamiche interne conosce a menadito. La Yellen è considerata più sensibile alla disoccupazione e all’economa reale, mentre a Summers viene attribuito un atteggiamento critico sulla prosecuzione del Qe.
Ma sulla successione a Bernanke si stagliano aspetti meno edificanti. Tra i vertici del governo e delle istituzioni finanziarie si intrecciano da decenni relazioni incestuose e conflitti di interesse plateali. Da Greenspan in poi anche la Fed è stata prona ai desiderata di Wall Street. La finanza tossica si nutriva della politica monetaria troppo accomodante e della supervisione da biscazzieri, che hanno ginfiato una una serie di bolle (a partire dalle dotcom). La figura che ha rappresentato il pinnacolo di questo intreccio è Robert Rubin, Ceo di Goldman Sachs, poi potentissimo Segretario al Tesoro con Clinton, per finire al vertice di Citibank. Altre figure prominenti sono Hank Paulson, Segretario al Tesoro con Bush, e Tim Geithner che copre quel posto con Obama. Anche Bernanke (che quando studiava ad Harvard viveva con l’attuale capo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein), è legato quell’ambiente.
Per molti i trilioni di dollari in pancia alla Fed, oltre agli scarsi progressi sulla regolamentazione finanziaria promessa e mai effettivamente implementata, sono due macroscopici indizi che compongono la Prova. Anche scremando leggende e pettegolezzi che impazzano a Washington, fatto sta che Summers è un pupillo di Rubin, di cui fu vice al Tesoro prima di sostituirlo al vertice, e Obama con Summers (e il suo mondo) mantiene rapporti stretti. La Yellen invece ha incontrato Obama da Presidente solo una volta, è estranea a quel coacervo di intrecci e pertanto immune da forti influenze e soggezioni al “Club”, come viene chiamato il gruppo di personaggi circondati da un’aura faustiana. In fin dei conti, lo scranno della Fed risulterà una fondamentale “cartina al tornaconto” per valutare l’amministrazione Obama.
 
hammerino sulla sma 200
con volumi in legegro aumento...
quasi quasi...
 

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