Macroeconomia Usa-Europa La svolta di Obama sulle banche

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Forumer storico
La svolta di Obama sulle banche
Il presidente americano dichiara guerra a Wall Street
23 gen
di ALFONSO TUOR

Ad un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca Barack Obama compie una clamorosa e inaspettata svolta. Il presidente americano dichiara guerra a Wall Street, facendo proprie le tesi dell’ex numero uno della Federal Reserve, Paul Volcker. Propone infatti una riforma del sistema bancario il cui spirito si rifà alla legislazione varata negli anni Trenta nel pieno della Grande Depressione: quelle norme imponevano la separazione tra banche commerciali, che raccoglievano il risparmio dei cittadini e che erano garantite dallo Stato, e banche di investimento, che non potevano raccogliere il risparmio, ma potevano cimentarsi in operazione ad alto rischio. Questa separazione era stata abrogata negli anni Novanta dall’amministrazione Clinton su proposta dell’allora ministro del Tesoro, Larry Summers. Costui oggi è il capo della squadra dei consiglieri economici dell’amministrazione democratica, che finora si era profilata per una strenua difesa degli interessi di Wall Street. La svolta del presidente americano, sicuramente motivata dalla sconfitta del candidato democratico nell’elezione del successore di Ted Kennedy al Senato, rappresenta uno schiaffo proprio a Larry Summers, al segretario al Tesoro Tim Geithner, e al numero uno della Federal Reserve Ben Bernanke. È quindi probabile che nei prossimi giorni vi siano le prime ricadute politiche di questa svolta.
Le proposte lanciate giovedì sera da Obama sono destinate a cambiare in profondità il sistema bancario americano e ad incidere anche sulle attività delle banche estere attive negli Stati Uniti, come UBS e Credit Suisse, poiché anch’esse dovranno sottostare alla legislazione statunitense. È verosimile che i Paesi europei siano costretti a seguire le orme degli Stati Uniti. Già il Partito conservatore britannico, che i sondaggi danno vincente nella prossima consultazione elettorale, ha ufficialmente comunicato di voler introdurre anche in Gran Bretagna le medesime regole.
Le idee base, che dovranno essere tradotte in norme attuative, mirano ad affrontare due questioni fondamentali: l’azzardo morale di banche troppo grandi per fallire (e che quindi beneficiano della garanzia statale) e delle attività speculative condotte dalle banche con i mezzi propri. «Le grandi banche commerciali – ha detto Obama – non potranno più condurre operazioni sul mercato per conto del loro portafoglio; non potramno investire in Hedge Fund o società di Private Equity e non potranno avere depositi che superino complessivamente il 10% del totale dei depositi americani. Questo 10% d’ora in avanti includerà anche i depositi non assicurati e gli altri attivi di bilancio».
Questi principi guida costituiscono una vera e propria rivoluzione. Istituti come Goldman Sachs e Morgan Stanley saranno costretti a rinunciare alla licenza di banca commerciale, acquisita in fretta e furia nell’autunno del 2008 per poter beneficiare degli aiuti statali; mentre colossi come JP Morgan, Citigroup, Bank of America dovranno fare una cura dimagrante, dismettendo Hedge Fund costruiti e finanziati in casa e chiudendo le redditizie sale di trading che operano con i mezzi propri. Anche le banche estere attive negli Stati Uniti, secondo Obama, saranno sottoposte alle medesime regole.
Quindi quella che si prefigura come una vera e propria rivoluzione del paesaggio bancario, costringerà anche le due grandi banche svizzere a fare le scelte che finora non sono state fatte.
Le proposte di Obama hanno fatto immediatamente salire sulle barricate Wall Street, che, da un canto, ha immediatamente sguinzagliato il suo esercito di lobbisti per far sì che il Congresso respinga le soluzioni proposte oppure le annacqui e, dall’altro, ha lanciato una campagna stampa per sostenere che queste soluzioni non risolvono alcun problema e che costituiscono un clamoroso errore. Dal punto di vista politico, la posizione di Wall Street è molto debole. I sondaggi dimostrano che la stragrande maggioranza della popolazione americana, che sta subendo le conseguenze della crisi provocata da Wall Street, è inviperita contro un settore finanziario che ha ricominciato ad operare come prima e a distribuire miliardi di dollari in bonus.
Ma c’è di più. Le proposte di Paul Volcker, fatte proprie da Obama, raccolgono consensi anche nel Partito repubblicano, a tal punto che l’ex candidato alla Casa Bianca John McCain ha già presentato al Senato una proposta di legge che va nella medesima direzione. Inoltre il presidente americano, accusato di mancanza di leadership, ha fatto chiaramente intendere che userà tutto il suo peso politico in questa battaglia dichiarando che «se le banche vogliono la guerra, sono pronto a combattere. Più vedo le banche tornare al vecchio modo di condurre gli affari, più le vedo riportare utili primato, ma allo stesso tempo negare prestiti alle piccole imprese, più sento dire che non possono pagare una tassa per rimborsare ai contribuenti il loro denaro, più sono risoluto a portare avanti questa riforma».
La campagna stampa lanciata da Wall Street si concentra invece, da un canto, sui costi della riforma, e dall’altro, sull’inefficacia delle misure proposte. Il primo punto è pretestuoso. Infatti i costi di una crisi finanziaria, come hanno dimostrato gli eventi degli ultimi mesi, sono incomparabilmente superiori ai costi della ristrutturazione del sistema bancario dovuto a questa riforma. L’inefficacia delle misure è tutta da provare, poiché il presidente americano ha enunciato i principi guida, ma le norme proposte devono essere ancora elaborate dall’amministrazione, devono passare al vaglio del Congresso ed essere tradotte in precise regole dalle autorità di sorveglianza. Quindi, il diavolo potrebbe ancora nascondersi nei dettagli, ma i principi guida appaiono validi.
Si può concludere sostenendo che Obama si è svegliato da un torpore che è durato un anno intero e ha proposto una riforma che affronta i problemi del settore finanziario e che probabilmentre risolleverà le fortune di una presidenza che stava sempre più appannandosi.
 

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