la Turchia invade l'Iraq (1 Viewer)

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Iraq, Turchia viola norme internazionali

Dopo dispiegamento truppe Ankara in regione Mosul

(ANSA) - ISTANBUL, 5 DIC - Il dispiegamento delle truppe turche nella regione di Mosul, in nord Iraq, sotto il controllo dell'Isis giugno 2014, è una "violazione delle norme internazionali, delle leggi e della sovranità nazionale dell'Iraq".

Lo ha detto il presidente Fuad Massum.

Il governo di Baghdad aveva già chiesto ad Ankara di "ritirare immediatamente" i soldati.

Fonti turche sostengono che la presenza delle loro truppe sia stata avallata dal presidente della regione del Kurdistan iracheno Massud Barzani.


Iraq, Turchia viola norme internazionali - Ultima Ora - ANSA.it
 

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Cnn turca: 1.200 soldati di Ankara nella regione irachena di Mosul in un'area controllata dall'Isis Soldati turchi dotati di armi pesanti sarebbero entrati nella periferia di Mosul. L'area è sotto controllo Isis da tempo.
Ma Ankara smentisce: solo 150 uomini per addestramento delle forze anti-Daesh

Cnn turca: 1.200 soldati di Ankara nella regione irachena di Mosul in un'area controllata dall'Isis - Rai News
04 dicembre 2015
Circa 1.200 soldati turchi sarebbero entrati nella regione irachena di Mosul, nei pressi di Bashiqa. Lo riferisce la Cnn turca citando fonti della sicurezza. L'area è sotto il controllo dell'Isis dal giugno 2014. La Turchia avrebbe schierato delle unità di fanteria dotate di armi pesanti nella periferia di Mosul, città dell'Iraq settentrionale in mano allo Stato islamico dal giugno 2014. La notizia è stata data dal portavoce delle Unità per la mobilitazione popolare (Pmu, milizie sciite) per la provincia di Ninive, Mahmoud Alsurja, in un comunicato stampa diffuso dalla stampa locale.
Si tratterebbe in particolare di "tre unità militari turche dotate di armi pesanti".
Secondo il portavoce delle Pmu, le forze di terra turche si starebbero preparando a sostenere la coalizione internazionale nell'offensiva per riconquistare Mosul.
Finora non c'è stata alcuna reazione da parte del ministero della Difesa e del governo federale di Baghdad al presunto ingresso delle truppe turche nel territorio iracheno.
E fonti americane avvertono: le truppe turche non fanno parte della coalizione anti-Isis a guida Usa.

Turchia: soldati inviati in Iraq sono 150, per addestramento Ma sarebbero solo circa 150 i soldati turchi entrati nell'area di Bashiqa. Lo riferiscono fonti della sicurezza di Ankara, secondo cui il battaglione sarà impegnato in una missione di addestramento delle forze anti-Isis.
Iraq: no a violazioni sovranità- Giovedì 3 dicembre, l'ufficio del primo ministro Haider al Abadi aveva diffuso un durissimo comunicato in cui ribadisce "il fermo e categorico rifiuto a qualsiasi violazione della nostra sovranità", avvertendo che Baghdad "riterrà un atto ostile qualsiasi ingresso di forze di terra" straniere. Atto a cui il governo federale "risponderà di conseguenza". - See more at: Cnn turca: 1.200 soldati di Ankara nella regione irachena di Mosul in un'area controllata dall'Isis - Rai News
 

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Iraq invita la Turchia a "ritirare immediatamente" le sue truppe



Iraq invita la Turchia a "ritirare immediatamente" le sue truppe -2


Baghdad, 5 dic. (askanews) - Il generale Nureddin Herki, comandante dei peshmerga curdi nell'area, ha detto che il movimento di truppe rappresenta un avvicendamento di routine nel programma di addestramento, accompagnato da una forza di protezione che è già tornata in Turchia. "In precedenza alcuni militari turchi erano arrivati per addestrare le forze del Hashad al-Watani nella base di Zilkan" ha detto Herki in una nota, in riferimento ai volontari anti-Isis. "Un altro gruppo è arrivato al campo per sostituire il gruppo precedente e la missione del contingente arrivato con loro era solo di proteggere gli addestratori e riportare l'altro gruppo in Turchia". Herki ha smentito le notizie stampa secondo cui le forze turche si preparano a partecipare a una vasta operazione per la riconquista di Mosul dall'Isis.
Ma i media turchi parlano di uno schieramento molto più importante di quello descritto da Herki. "La Turchia sta allestendo una base nella regione di Bashiqa di Mosul con 600 uomini" scrive il quotidiano Hurriyet in prima pagina. Il quotidiano scrive che sull'invio di truppe è stata concluso una ccordo tra il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno Massud Barzani e l'allora ministro degli Esteri turco Feridun Sinirlioglu. Le forze peshmerga schierate nell'area di Bashiqa sono fedeli a Barzani, alleato di Ankara.
(fonte Afp)
 

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L'invasione dell'esercito turco nell'Iraq settentrionale e i rapporti di Ankara con la fazione kurda fedele al clan tribale di Masoud Barzani


di Vincenzo Brandi

Persino ai nostri “mass media” più o meno “embedded” non è sfuggita l’importanza della notizia: il Governo Iracheno ha vivamente protestato per l’invasione effettuata da parte dell’esercito turco di una zona dell’Iraq settentrionale non lontana dalle grande città di Mosul tuttora nelle mani dell’ISIS (o Daish, come lo chiamano gli Arabi) ed ha chiesto il ritiro immediato delle truppe fedeli al Presidente-mafioso Erdogan (circa 1200 soldati con 25 carri armati).


Il Govero Turco ha risposto che quei militari sono in Iraq per “addestrare” i “Peshmerga” kurdi fedeli al Governo Regionale kurdo del Nord-Iraq, cioè alla fazione kurda fedele al clan tribale di Masoud Barzani ed al partito PDK di cui Barzani è leader (oltre che Presidente dello stesso Governo Regionale).

Barzani, i cui stretti rapporti con gli USA, con Israele e con i Turchi sono ben noti da tempo (fin da quando i suoi “Peshmerga” hanno contribuito attivamente allo sfascio dell’Iraq), non ha smentito. Anzi, correndo in soccorso all’amico Erdogan, ha fatto dichiarare ad un suo portavoce che le foto pubblicate dai Russi, in cui si vedono enormi file di autobotti che portano in Turchia il petrolio depredato dallo Stato Islamico in Iraq e Siria, ritrarrebbero in realtà autobotti che portano in Turchia petrolio venduto ai Turchi dallo stesso Governo Regionale kurdo del Nord-Iraq.

In queste dichiarazioni c’è qualcosa di ironico: in pratica Barzani ammette che il suo stato semi-indipendente formatosi nel Nord-Iraq (con la copertura degli USA, della Turchia, ed Israele) vende alla Turchia petrolio che apparterrebbe allo stato iracheno. La conquista da parte dei “Peshmerga” della zona petrolifera di Kirkuk, profittando del caos in cui si trova l’Iraq nella stretta dello Stato Islamico, ha dato ai Kurdi di Barzani un’enorme disponibilità di petrolio. Né si può escludere che il Governo Regionale chiuda un occhio sul contrabbando di petrolio proveniente dalle zone controllate dall’ISIS, molto richiesto in Turchia per il suo basso prezzo, e poi smerciato a vari paesi occidentali, al Giappone, ed ad Israele.

Queste vicende, da un lato, confermano l’ignobile strategia dell’imperialismo e del neo-colonialismo, consistente nello sfruttare tutte le divisioni etniche e religiose per creare il caos nelle aree di cui si cerca di impedire uno sviluppo indipendente ed autonomo (come in Iraq, Siria, Libia, Yugoslavia, ed altre aree del Vicino Oriente, Africa ed Europa centro-orientale);
dall’altro lato attirano l’attenzione sulle varie anime e fazioni, spesso anche in lotta tra di loro, in cui sono divisi i Kurdi, spesso considerati da molti attivisti occidentali come un mitico e quasi “angelico” tutt’unico.

In realtà nel Kurdistan convivono realtà politiche di orientamento molto diverso. Tra i Kurdi della Turchia una posizione di grande rilievo ha assunto il PKK, partito di ispirazione marxista-leninista fondato da Abdullah Ocalan, duramente represso dal Governo Turco, e che da oltre 30 anni conduce una lotta armata di liberazione nella Turchia sud-orientale (o Kurdistan del Nord, secondo i Kurdi) ed ha forti agganci nella società civile kurda della Turchia e nei partiti legali che partecipano alle elezioni in Turchia. Il PKK ha le sue basi in alcune zone dell’estremo Nord dell’Iraq (o Kurdistan del Sud nella versione kurda), che vengono regolarmente bombardate dai Turchi nell’ambito della particolare versione turca di “lotta al terrorismo”.

I combattenti del PKK, oltre che difendere la popolazione kurda della Turchia dagli attacchi dell’esercito di Erdogan, hanno dato un contributo decisivo anche alla lotta contro l’ISIS (o Daish) in Iraq, ben più incisivo di quello dato dai “Peshmerga” di Barzani, con cui spesso sono confusi dalla disattenta (o maliziosa?) stampa occidentale. Nello stesso Iraq altri partiti e movimenti kurdi (ad esempio quelli legati al clan dell’ex vicepresidente dell’Iraq Talebani, con centro in Suleymania) contestano il predomino e la politica di Barzani.

Legati al PKK sono anche i combattenti kurdi della Siria settentrionale (o Kurdistan dell’Ovest, secondo i Kurdi) organizzati nelle formazioni femminili JPG e maschili YPG, e nel partito PYD. Questi combattenti da circa 4 anni hanno raggiunto una tregua di fatto con l’esercito siriano, con cui hanno anzi collaborato nella battaglia di Hassaka, durante la quale l’ISIS è stato scacciato lontano da questa importante città della Siria nord-orientale.

I rapporti con la Turchia sono pessimi, in quanto i Turchi, dopo che i combattenti kurdi si erano impossessati di gran parte della frontiera tra Siria e Turchia dopo la battaglia di Kobane, hanno minacciato ripetutamente un intervento militare se i Kurdi avessero superato il fiume Eufrate e avessero chiuso gli ultimi 90 Km di frontiera ancora controllati dall’esercito turco e dall’ISIS, congiungendosi con il cantone kurdo isolato di Efrin. Questo tratto di 90 Km di frontiera, controllato a Nord dall’esercito turco e a Sud da Daish, è quello attraverso cui passa verso Nord la maggior parte del petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico e, verso Sud, il flusso di armi e combattenti islamici fanatici e mercenari provenienti da 90 paesi, che attraversano la Turchia con l’appoggio del Governo Turco.
Ma ora anche i Kurdi siriani del PYD sono corteggiati dagli USA che se ne vogliono servire come truppe di terra, e domani magari contro il Governo di Bashar Al-Assad. Contemporaneamente però anche i Russi, la cui azione in Siria si fa sempre più oculata ed efficace, hanno offerto supporto alle azioni dei Kurdi locali, che si barcamenano.

Come si vede la situazione sul campo è complicata e l’imperialismo non ha rinunciato ai suoi piani di divisione, mentre i suoi infidi alleati (come Turchia ed Arabia saudita) continuano i loro giochi di ingerenza e sopraffazione, a volte anche autonomamente delle direttive emanate dal sempre più debole Obama, contestato anche dai “falchi” statunitensi.
Gli Europei che contano (Francia, Gran Bretagna, Germania) da parte loro hanno deciso di intervenire, ma senza il consenso del Governo Siriano, e senza coordinarsi con l’esercito siriano, per cui la loro reale strategia non è affatto chiara e le loro azioni militari alimentano i peggiori sospetti.

L’intervento russo ha cambiato i giochi nel Vicino Oriente, ma la strada verso la piena sovranità di paesi come l’Iraq e la Siria è ancora lunga ed irta di ostacoli.

LE MIRE DELLA TURCHIA IN IRAQ E LE MOLTE ANIME DEI KURDI - World Affairs - L'Antidiplomatico
 

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isis-afghanistan-iraq-750x420.jpg
 

big_boom

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foto sopra...
sceneggiatura buona, costumi e trucco ottimi, inquadratura perfetta, effetti speciali 'realistici': made in USA

mancano gli Avenger, peccato ci sono rimasti solo i cattivi:
- la pazza presidente degli usa (prossimamente in esclusiva)
- il superpower Erdogan
- i sceicchi extralux che usano la ps4 per giocare alla guerra controllando eserciti reali
- le banche europee che giocano al monopoly ma con la reale vita degli europei ormai vecchi soli e con figliastri mussulmani
- esercito nato gli manca solo la divisa delle stormtrooper, per interpretare darth vader abbiamo gia' l'ex buono Obama
 
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Gli sponsor dell'ISIS oscurano la TV Al Manar

La televisione di Hezbollah viene espulsa dal satellite controllato dai sauditi, mentre la Turchia incarcera i giornalisti. La cosa riguarda la nostra libertà [Pino Cabras]
Redazione

sabato 5 dicembre 2015 11:53
[FONT=&quot]di Pino Cabras[/FONT][FONT=&quot].[/FONT]


[FONT=&quot]Ora tocca alla TV libanese Al Manar, subire un durissimo colpo che viene da chi protegge l'ISIS-Daesh. L'emittente di Hezbollah, il movimento di resistenza sciita che negli ultimi mesi ha inflitto numerose sconfitte sul campo ai miliziani di Daesh e di Al-Nusra, è stata oscurata dalla piattaforma satellitare della Lega Araba, Arabsat, che ha sede in Arabia Saudita e trasmette canali di venti paesi arabi. L'interruzione è avvenuta senza preavviso e senza spiegazioni, violando clamorosamente i contratti.

Gli sponsor dell'ISIS
giocano ormai a carte scoperte e non rispettano più nessuna regola, né contrattuale, né legale-costituzionale, né militare: non vogliono fra i piedi un giornalismo che li ostacoli.

Si assiste a una vera accelerazione negli ultimi mesi (specie in Turchia, ma non solo): censure, interventi squadristici contro le redazioni, carcere per i direttori dei giornali, [/FONT][FONT=&quot]canali TV fatti chiudere a forza[/FONT][FONT=&quot], centinaia di cronisti licenziati. Qualche giornalista [/FONT][FONT=&quot]muore in circostanze controverse, e sempre dopo minacce di morte[/FONT][FONT=&quot].[/FONT]
[FONT=&quot]Quasi nessuno in Occidente conosce la vicenda della [/FONT][FONT=&quot]giovane Serena Shim[/FONT][FONT=&quot], dell'iraniana Press TV, morta un anno fa in uno strano incidente dopo essere stata accusata dai servizi di sicurezza turchi di essere una spia e minacciata di morte, a seguito di un suo servizio che denunciava la collusione del governo turco con l'ISIS. In particolare, aveva osato svelare il caso degli autocarri carichi di combattenti dell'ISIS che oltrepassano il confine tra Turchia e Siria, spesso con le insegne di organizzazioni non governative o dell'ONU. [/FONT]


[FONT=&quot]In Occidente l'unico caso che sta iniziando a bucare l'indifferenza riguarda due giornalisti, [/FONT][FONT=&quot]Can Dündar, direttore del quotidiano di Istanbul Cumhuriyet, e il capo-redattore del suo ufficio di Ankara, Erdem Gül[/FONT][FONT=&quot], entrambi in prigione dal 26 novembre. Anche per loro l'accusa è spionaggio e terrorismo. Avevano semplicemente pubblicato le prove che dimostravano che i servizi segreti turchi consegnano tante armi ai gruppi islamisti in Siria.
Eppure, a parte qualche appello, la massa che diceva "Je suis Charlie Hebdo" ora non dice nulla. Così come difficilmente dirà qualcosa sul caso di Al Manar.[/FONT]


[FONT=&quot]Perché dunque questa accelerazione? [/FONT][FONT=&quot]Il fatto è che l'intervento militare russo in Siria ha messo a nudo tutte le ipocrisie occidentali e mediorientali sulla questione ISIS: i suoi tanti sponsor non possono più nascondersi, e perciò reagiscono cercando di silenziare le testate che non controllano.[/FONT]


[FONT=&quot]È in questo quadro che ora le petro-monarchie vogliono chiudere la bocca ad Al Manar. Ci aveva provato già Israele, nel 2006: durante l'invasione del Libano l'aviazione israeliana colpì ripetutamente con missili la sede della TV a Beirut. L'attacco del 16 luglio distrusse l'edificio di Al Manar, ma l'interruzione durò appena dieci secondi: la redazione si era preparata a trasmettere in emergenza da località sconosciute e gli israeliani non potevano far nulla per controllare la piattaforma satellitare ArabSat. Solo che ora ci pensano direttamente i piranhas di Riad.[/FONT]


[FONT=&quot]Ai dirigenti sauditi non stavano piacendo i continui reportage di Al Manar dallo Yemen, il paese che da mesi subisce l'aggressione di Arabia Saudita, Qatar e altri paesi loro clienti e alleati: i continui bombardamenti hanno già causato migliaia di morti civili, centinaia di migliaia di sfollati, e dieci milioni di persone senza più acqua potabile (metà della popolazione yemenita). Si tratta di una catastrofe originata da veri e propri crimini di guerra, [/FONT][FONT=&quot]alimentati da un'enorme quantità di bombe che proviene anche dall'Italia[/FONT][FONT=&quot]. La redazione di Al Manar non solo mette in prima serata questa guerra orrenda, ma è capofila di una federazione di decine di canali mediorientali (anche dello Yemen) che stanno formando sul campo centinaia di videoreporter in grado di confezionare eccellenti servizi, spesso girati con un semplice telefonino.

[/FONT]
[FONT=&quot]Tuttavia, la quasi totalità dei cittadini occidentali non sa nulla di queste guerre né di questo giornalismo. I padroni della comunicazione europei, per esempio, nel 2012 [/FONT][FONT=&quot]cacciarono dalla piattaforma Eutelsat[/FONT][FONT=&quot] i canali satellitari iraniani, senza che i giornalisti e i politici europei trovassero nulla da obiettare.
La Francia aveva proibito Al Manar già nel 2004, assimilando la redazione a un gruppo terroristico e accusandola di antisemitismo. Altri paesi europei seguirono.[/FONT]
[FONT=&quot]Già prima ad Al Manar era stato precluso il sistema statunitense Intelsat. [/FONT]


[FONT=&quot]Rimaneva Arabsat, attraverso cui Al Manar ha raggiunto ogni giorno un pubblico pan-arabo di decine di milioni di telespettatori, ponendosi come la più combattiva comunicazione anti-ISIS esistente. In un mondo normale sarebbero i primi alleati di chi volesse davvero estirpare Daesh. Invece l'Europa li ha censurati da tempo, mentre ora - improvvisamente - li censura il sistema di alleanze che copre l'ISIS.[/FONT]


[FONT=&quot]Chi ha a cuore la libertà di parola deve capire ora la gravità di questo fatto, che ricade anche sull'Occidente. Negli ultimi dieci anni si erano formati nuovi equilibri nell'informazione globale. Vari paesi hanno proposto con forza una propria visione autonoma in contrasto al flusso informativo dominato dalle potenze anglosassoni. Le emittenti emergenti (la libanese Al Manar, l'iraniana Press TV, la russa RT, la venezuelana Telesur, ecc.) hanno partecipato con un punto di vista certo "di parte". Ma per l'appunto grazie a questa parzialità, mostrano al mondo interessi "altri", e conquistano un nuovo pubblico, ormai stufo dell'informazione prodotta dalla fabbrica dei media nostrana, al netto degli ingenui che pensano che la CNN e altri giganti mediatici siano "neutrali".[/FONT]


[FONT=&quot]Se queste voci "altre" non useranno un sistema autonomo di trasmissione, cioè se non trasmetteranno con propri satelliti, rimarranno sempre vulnerabili rispetto a chi combatte la guerra da un'altra parte della barricata e può decidere di spegnerli da un momento all'altro.
Questo discorso vale anche per i canali russi, che sono già entrati nel mirino della NATO e dei suoi maggiordomi. Si parla ormai apertamente di misure per bloccare l'informazione proveniente da un mondo considerato nemico.
Qui, nell'Occidente che presume ancora di essere il luogo del "libero" confronto delle idee.[/FONT]
[FONT=&quot]Un imperdibile "manuale" sull'argomento[/FONT][FONT=&quot] lo ha scritto Roberto Quaglia, converrà padroneggiarlo.[/FONT]


[FONT=&quot]Siamo appena agli inizi di una dittatura che usa la lotta all'ISIS per giustificare restrizioni alla libertà e censure, ma che poi usa queste restrizioni e censure a danno di chi combatte davvero l'ISIS. Sembra un paradosso, ma è il ritratto del doppiogiochismo che sta affossando le democrazie. [/FONT]
[FONT=&quot]Basterebbe poco, con un certo clima di allarme bellico, per "erdoganizzare" e "saudizzare" anche il sistema europeo, che ormai è sempre più istituzionalmente pronto a questa pericolosa mutazione.[/FONT]



[FONT=&quot]Dobbiamo capire da subito che il punto di vista altrui è la garanzia del punto di vista nostro. Difendere Al Manar ed esigere che la TV non sia oscurata è una questione che ci riguarda da vicino.[/FONT]



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la Turchia è il vero amico degli americani+israeliani... finirà come Saddam

Erdogan ordina i saccheggi dell’ISis in Siria?

Ad Aleppo, il governo turco ha contribuito al saccheggio della struttura industriale. Esperti turchi erano a fianco dei jihadisti ad indicare quali macchinari trasportare in Turchia”: l’accusatore è Farés el-Chehabi, imprenditore di Aleppo, presidente della Camera di Commercio e Industria di Siria; ed è un sunnita, non un alawita.

Riuscito a tornare dopo quattro anni nella zona liberata dove aveva delle fabbriche, ne ha constatato il saccheggio. E lo ha detto in un’intervista a L’Orient Le Jour, il più importante giornale libanese.
Aleppo aveva 80 mila tra fabbriche, fabbrichette ed officine, più di qualunque altra città del Medio Oriente. Era la capitale economica della Siria. Le distruzioni e i saccheggi sono cominciati nel 2011, dal secondo mese di guerra. Quasi da subito, i ribelli ci hanno distribuito dei volantini in cui ordinavano la chiusura delle nostre aziende, altrimenti le avrebbero incendiate. Hanno mandato queste minacce a tutti. La gente s’è subito spaventata. Una ventina di miei amici industriali, membri della Camera di Commercio, sono stati assassinati perchè rifiutavano di chiudere le officine. Già nel 2011 i ribelli avevano incenerito più di cento manifatture”.

Fares el- Chehabi Quanto alla sua gravissima accusa – c’era del personale turco a organizzare la spoliazione delle fabbriche a fianco dei ribelli – dice: “Molti industriali mi chiamavano nel panico dicendo che dei ribelli erano nella loro fabbrica insieme a dei turchi. I tagliagole non sono capaci di distinguere tra le linee di produzione di una industria, non sanno come smontare i macchinari senza danneggiarli. E’ il motivo per cui i turchi erano presenti, per scegliere il bottino a portarlo a Gaziantep, ad Adana…Il bottino è partito per la Turchia con l’ovvia complicità della polizia turca. Non è possibile far passare con facilità macchinari che a volte hanno 20-30 metri di lunghezza. Hanno usato dei camion e li hanno fatti passare ai posti di confine, mica fra gli uliveti. E’ stata una cosa organizzata. Hanno svuotato Aleppo, le zone industriali sono un campo di rovine”.


Ha le prove di quel che dice?
Sì”, risponde l’industriale: “E prove serie, solide: ho raccolto video, confessioni, testimonianze…Ho ricevuto più di 5000 denunce di industriali vittime dei furti. Ho avanzato due formali denunce contro il governo turco ai tribunali di Strasburgo e all’Aja”.

Otterrà giustizia dai giudici dell’Europa, culla della civiltà giuridica?

Giova sperare.

Intanto è lui e non Erdogan, che l’Unione Europea Corrotta ha messo nella sua lista nera, colpendolo con sanzioni, perché lo accusa di aver portato aiuto economico al regime (ossia al suo governo legittimo, rappresentato all’Onu)



Una delle mie fabbriche era a Cheik Najjar, la zona industriale più grande di Aleppo: un produzione di olio d’oliva. I ribelli se ne sono impadroniti nel 2011 e mi hanno comunicato che non mi apparteneva più. Vi son potuto tornare nel luglio 2014, quando l’area è stata liberata, e ho constatato i danni: tutto portato via.
Ho scoperto lì che lo stabilimento, che io credevo in mano all’Armata Libera Siriana, era in realtà il quartier generale dello Stato Islamico: sui muri erano dipinti gli stendardi di Daesh, avevano lasciato del vestiario dei jihadisti, e i loro volantini e fogli d’ordine.

Siccome nella zona erano rimasti quasi 500 ragazzini che erano stati privati di istruzione per due anni, ho deciso di trasformare i locali della mia officina in scuola gratuita”.



Dunque la famiglia Erdogan non si limita a trafficare il greggio rubato da Daesh, arricchendosi in complicità con esso; non si limita ad un sostegno più o meno occulto dei terroristi islamici costituitisi in pseudo-stato; no, partecipa direttamente alla guerra dei jihadisti e alle sue razzie, e fin dall’inizio (2011) inviando esperti per lo svaligiamento della struttura industriale del paese confinante con cui (ufficialmente) non è nemmeno in guerra.
« Mon usine était le quartier général de l?État islamique à Alep » - Propos recueillis par Caroline HAYEK - L'Orient-Le Jour


L’Europa, o quella entità che ne ha usurpato il nome a Bruxelles, farebbe bene a verificare le accuse dell’industriale siriano Farés el-Chehabi, e con urgenza: per constate se davvero la Turchia, da stato rispettabile, sotto la guida degli Erdogan non stia trionfalmente regredendo ai fasti rivoltanti dell’ottomanismo “conquistatore” del 500-700, dove il bottino e la razzia erano lo scopo delle guerre e il terrorismo e le atrocità con le decapitazioni di massa erano il metodo di governo.

Coi secoli, persino l’impero ottomano era divenuto più accorto e meno selvaggio.

Ora tornano i bei tempi delle montagne di teschi decapitati, dei massacri degli armeni e degli assiri?
Giusto per sapere a quale tipo di governo la Merkel ha voluto versare 3 miliardi nostri per i rifugiati siriani.

E quale sia il livello dei “valori dell’Occidente” che ci consente di trattare quello di Erdogan come fosse un governo normale, anziché come una pericolosissima cosca criminale venuta da un passato di barbarie.
L’ISIS come stato modello

Invece, va’ proprio nel senso contrario un a serie di articoli apparsi sul Guardian e su Le Monde, dove – citando “un documento ottenuto dal ricercatore britannico Aymenn Jawad Al-Tamimi, da un uomo d’affari che commercia con lo Stato Islamico (sic) – si accredita l’idea che il Califfato sia, in qualche modo, uno stato come gli altri – o si evolva a diventarlo.
The Islamic State 'Masterplan' of Administration- Some Analytical Notes :: Aymenn Jawad Al-Tamimi

Il frontespizio del documenti Il commerciante “che fa affari con l’IS” ha fatto avere al “ricercatore” un documento interno di 24 pagine intitolato “Principi amministrativi che governano lo Stato Islamico” e destinato “alla formazione dei quadri amministrativi”: un progetto statuale “pensato nei minimi dettagli”: una amministrazione centrale composta da 16 ministeri, “l’istruzione”, la propaganda, la “integrazione fra locali e immigrati”.

Con l’alto e ambizioso ideale di non limitarsi alla guerra santa, bensì di “unificare la umma (la comunità dei credenti) sotto una sola identità musulmana – deve essere un sistema inglobante destinato ad educare le generazioni future” (sic: abbiamo visto dall’industriale di Aleppo come i terroristi abbiano lasciato i bambini senza scuole per due anni).

I Toyota glieli ha regalati Saud Uno stato modello? No, concedono Guardian e Le Monde.
Per esempio “la distinzione fra spazio siriano e iracheno resta nonostante lo IS abbia abolito le frontiere disegnate dagli accordi Sykes-Picot” ( ricordiamo che l’IS si spostò dalla Siria alla conquista dell’Irak sunnita nel 2014, dove prese l’armamento americano senza colpo ferire, senza essere bombardato dall’Air Force…oggi è stato lasciato dominare 10 milioni di abitanti).
Sopratutto – cito – “l’equilibrio finanziario del califfato poggia per grande parte (circa i due terzi) sull’estorsione delle popolazioni, sotto apparenza di tassazione”: ed è qui il trucco. Che c’è di male nell’estorcere due terzi dell’introito statale sotto apparenza di tassazione?

Non fanno lo stesso gli stati europei, non fa lo stesso la UE, dopotutto?
Il rapporto sorvola invece sulle altro fonti di “equilibrio finanziario”: gli affari sporchi del petrolio con gli Erdogan ed Israele (si allude con discrezione alla “gestione delle risorse naturali” che il Califfato “considera come “la chiave per l’indipendenza”: sembra che parlino di statisti del livello di Colbert); soprattutto , nemmeno una riga sui milioni che ricevono dai Sauditi e dal Katar che permettono loro di mantenere e stipendiare 30 mila jihadisti venuti da fuori, ed anche mercenari occidentali molto ben pagati);

gli armamenti e gli addestramenti forniti dalla Cia, i rifornimenti lanciati coi paracadute in Irak sotto apparenza di “bombardamenti”: quei bombardamenti continui da un anno e mezzo, sotto i quali il Califfato è prosperato.

Come diceva Barak Hussein Obama, Presidente degli USA, nessuna fretta, si trattava di “contenere ed ultimamente distruggere” lo Stato Islamico.
Adesso si vede chiaramente che il progetto di Obama (la cui appartenenza ai Fratelli Musulmani, da tanti sospettata diventa una solida ipotesi – vedi sotto) è di creare un “Sunnistan” attraverso Siria e Irak, di cui controlla un terzo dei territori. Uno “stato” stabile con cui ci si sarebbe dovuti rassegnare, un giorno o l’altro, a stringere rapporti internazionali, piaccia o non piaccia, e che si sarebbe evoluto in una formazione statuale più o meno normale, rispettabile, accettabile in confronto ad Assad: il quale, come noto, “must go”. Perché è crudele (sic ).
L’intervento russo – e ancor più le rivelazioni russe sui traffici degli Erdogan con questi delinquenti – ha ricondotto Daesh alla sua vera natura, di una organizzazione criminale, ancorché ricchissima e sostenutissima dall’Occidente – e da Erdogan e sauditi.
La finzione nobilitante continua come mezzo di propaganda. In realtà, l’America ha chiamato a raccolta gli “alleati” per difendere questo Sunnistan in pericolo
Per l’Arabia Saudita in Yemen combattono e muoiono in Yemen contractors della ex Blackwater, una quindicina fra cui britannici, francesi, australiani oltre a sei colombiani, attratti da una paga di mille dollari a settimana…in fondo, i valori americani e quelli dei sauditi e del califfato non sono poi così distanti.

Anche i Rockefeller fu un “robber baron”, e adesso è una dinastia onorata sui mercati….
Mercenaries In Yemen Tied To Blackwater According To Media Reports
A questo punto, ormai diventa chiaro quel che sostiene William Engdahl: “L’ISIS è un esercito saudita in maschera”, con Erdogan a fare “il lavoro sporco come il buttafuori in un bordello”.

Se l’F-16 turco ha potuto abbattere il Sukhoi, è stato perché assistito da un Boeing AWACS appartenente al regno saudita e non agli Usa, come si è creduto in un primo tempo.

Secondo Engdahl, la monarchia wahabita punta ad occupare (con il suo “Stato” islamico) la parte sunnita dei più ricchi giacimenti di Irak e Siria, onde poi esercitare un monopolio di fatto verso le clientele occidentali.
Barak Hussein Obama è un Muslim Brother?

L’accusa è stata elevata nel 2013 dal vicepresidente della Corte Costituzionale in Egitto , Tahani Al Gebali. Ed è stata in qualche modo confermata da un articolo del Washington Times del 3 giugno 2015: sotto forma di “espandere la democrazia”, i servizi Usa hanno acceso le “primavere arabe” che tendevano poi a tradursi nella presa di potere dei Fratelli Musulmani. Ci sarebbe una direttiva presidenziale segreta (Presidential Study Directive-11, or PSD-11) del 2011. Inside the Ring: Muslim Brotherhood has Obama's secret support - Washington Times
Il progetto poi è fallito perché i Muslim Brother semplicemente si sono dimostrati privi della cultura politica per governare stati moderni, e si sono abbandonati ad atti di terrore contro minoranze religiose, o avversari politici, di pretto stampo wahabita. In Egitto, la popolazione ha preferito tornare sotto i militari, pur dopo aver votato i Fratelli, constatandone la feroce, regressiva ottusità.
Del resto, lo stretto rapporto dei servizi Usa con la Fratellanza è di antica data. Risale agli anni ’50, quando l’allora capostazione della Cia al Ciro, Miles Copeland, organizzò il trasferimento dei vertici dei Fratelli Musulmani, messi fuorilegge in Egitto per il tentativo di assassinare il presidente Nasser (potete immaginare chi suggerì quell’attentato?). I Muslim Brothers furono accolti in Arabia Saudita, dove unirono alla ideologia originaria del loro fondator,e Al Banna, un egiziano con simpatie per i fascismi europei, il più stretto e regressivo wahabismo della Casa…
L’articolo Erdogan ordina i saccheggi dell’IS in Siria? è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.
 

tontolina

Forumer storico
Europa e Turchia chiudono il cielo agli aerei della Russia e dimostrano di proteggere l'ISIS


© Foto: Ministry of defence of the Russian Federation
Politica15:01 19.12.2015URL abbreviato
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I piloti russi che partecipano alle operazioni contro i terroristi in Siria hanno dovuto organizzare una rotta che aggira l’Europa, perché i paesi europei hanno chiuso il loro cielo agli aerei della Russia, ha comunicato il ministero della Difesa.

"Quella di Olenegorsk è la nostra base aerea più a Nord, il che permette di estendere il raggio d'azione e di effettuare il rifornimento in volo. C'erano determinate circostanze che escludevano altre varianti. L'Europa non ci faceva entrare e neanche la Turchia", — ha detto il generale Anatoly Konovalov, vice comandante dell'aviazione strategica della Russia.




 

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