LA VELOCITA' CON CUi UNA DONNA DICE: "NIENTE" E' INVERSAMENTE PROPORZIONALE

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:up:
 
Buongiorno.
No. l'agenzia stampa non è stata oggetto di attentato, ma hanno attentato alla mia voglia di vacanza
 

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Una riflessione. Ma in questi mesi trascorsi, avete capito nelle mani di chi siamo ?

alla maniera mia.....un cacciaballe della peggior specie. Capace di dire che il cielo è verde e mezz'ora dopo che il cielo è giallo .....ma non la verità...che il cielo è azzurro.

Premessa: senza le primarie non esisterebbe Matteo Renzi.
Senza le primarie, infatti, Matteo Renzi non sarebbe mai diventato sindaco di Firenze nel 2009.
Diciamolo chiaramente: i vertici del Pd di allora, non pensavano a Matteo Renzi nemmeno come ipotetico candidato a primo cittadino del capoluogo toscano.

A quell’epoca, nel 2009, i vertici dei partiti del centrosinistra si chiudevano in una stanza e, tra di loro, decidevano, anzi imponevano, il candidato della coalizione.
Un candidato che – spesso – non trovava il riscontro degli elettori.

Proprio questo provocò la “rivolta” di una parte della società civile, soprattutto quella vicina al centrosinistra, che si è battuta per “aprire” le segrete stanze dei partiti, dove tutto veniva deciso, per trasformarli in partiti aperti, partecipati.
La risposta a questa esigenza fu il Partito Democratico, che, come vuole lo statuto, ha le primarie nel suo Dna.

Tutti i segretari Dem sono stati scelti con le primarie.
 
Compreso Matteo Renzi, che ora, apprendiamo dal colloquio con Gramellini su La Stampa, ne «chiuderebbe la stagione»·

E’ un’evidente contraddizione quella di Matteo Renzi.

Una contraddizione che lui giustifica parlando di un Matteo Renzi 1 – il Renzi della prima ora, ci verrebbe da dire, – e di un Matteo Renzi 2.

Quello che è chiaro è che oggi Matteo Renzi non vorrebbe più le primarie.


Insomma, detto in soldoni, il Matteo Renzi 2 ucciderebbe il Matteo Renzi 1, il Rottamatore, in culla.

Non gli avrebbe permesso di partecipare alle primarie di Firenze del 2009, e lo avrebbe costretto a fare un “secondo giro” da presidente della Provincia.
Lo costringerebbe a “mettersi in fila”, con tanti saluti al talento.
Sarebbe ancora più facile ricordare a Matteo Renzi che nel 2012, all’epoca delle primarie contro Pier Luigi Bersani, lui è stato il paladino delle primarie aperte, delle primarie in cui tutti potevano partecipare.

Era un Matteo Renzi poco istituzionale, molto “movimentista”, ma soprattuto Rottamatore.
 
Oltre alla contraddizione, c’è un’altra cosa che spaventa nelle affermazioni di Renzi di oggi.

Cioè che Renzi, che a parole vorrebbe tornare quello del 2012, nei fatti rischia di diventare il nuovo establishment.

Esattamente come i suoi predecessori, davanti alle sconfitte, il segretario del Partito Democratico rischia di scegliere di asserragliarsi nella sua torre d’avorio.

Chiudere fuori i cittadini dalla cittadella del potere è – solitamente – la scelta meno indovinata per un politico.


Leggendo le dichiarazioni del Premier sembra che lui abbia “subìto” tutte le scelte sui candidati di questa tornata elettorale.

Il che, oltre ad essere vero solo in parte, mette in evidenza anche gli errori commessi da Renzi nella gestione del Partito Democratico.

Anzi, nella non gestione del partito.


Diciamolo chiaramente: ad oggi il Pd per Renzi è stato solo uno strumento per fare un doppio salto carpiato verso Palazzo Chigi.

Dalla vittoria delle primarie del 2013 è derivata la legittimazione democratica ( e la maggioranza in direzione) che gli hanno consentito di diventare Presidente del Consiglio.



Il problema di Renzi sulle candidature è sopratutto legato al fatto che lui non controlla il partito perché non ha mai fatto un investimento serio, duraturo, sul partito.

Il Renzismo, sin dal tempo delle primarie del 2012, è stato una sorta di simbolo dato in franchising, di cui chi ne condivideva i punti (inizialmente pochissimi, poi sempre di più), si è potuto fregiare, spesso in concorrenza con altri franchisor della zona.

Sempre in concorrenza gli uni con gli altri, quasi sempre senza che il segretario democratico ne “eleggesse” uno come riferimento territoriale stabile
 
Ci sono molte e buone ragioni per considerare l’introduzione del reato di «omicidio stradale» una disgrazia figlia d’incompetenza, sciatteria e populismo. Molte sono le ragioni in punta di diritto che segnalano l’innovazione come una lesione del nostro diritto penale, ragioni noiose che interessano a pochi e che non interessano per niente nemmeno all’ultima leva di legislatori, allievi ed epigoni di Tafazzi

L’introduzione del nuovo reato non corrisponde a necessità urgenti, non ridurrà il numero delle vittime della strada e, trascurando del tutto l’evoluzione statistica e tecnica della realtà che pretende di normare, finirà presto per essere superato dall’evoluzione tecnica e commerciale degli autoveicoli, rimanendo a memoria di come il legislatore non dovrebbe mai affrontare il diritto penale

Il tutto solo ed esclusivamente per soddisfare le esigenze elettorali della scombinata maggioranza che governava l’Italia nel 2015 e le pulsioni forcaiole di molti italiani, che sicuramente non hanno capito che un provvedimento del genere colpirà prima di tutto loro e tra loro quelli che criminali non sono.
 

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