Oltre alla contraddizione, c’è un’altra cosa che spaventa nelle affermazioni di Renzi di oggi.
Cioè che Renzi, che a parole vorrebbe tornare quello del 2012, nei fatti rischia di diventare il nuovo establishment.
Esattamente come i suoi predecessori, davanti alle sconfitte, il segretario del Partito Democratico rischia di scegliere di asserragliarsi nella sua torre d’avorio.
Chiudere fuori i cittadini dalla cittadella del potere è – solitamente – la scelta meno indovinata per un politico.
Leggendo le dichiarazioni del Premier sembra che lui abbia “subìto” tutte le scelte sui candidati di questa tornata elettorale.
Il che, oltre ad essere vero solo in parte, mette in evidenza anche gli errori commessi da Renzi nella gestione del Partito Democratico.
Anzi, nella non gestione del partito.
Diciamolo chiaramente: ad oggi il Pd per Renzi è stato solo uno strumento per fare un doppio salto carpiato verso Palazzo Chigi.
Dalla vittoria delle primarie del 2013 è derivata la legittimazione democratica ( e la maggioranza in direzione) che gli hanno consentito di diventare Presidente del Consiglio.
Il problema di Renzi sulle candidature è sopratutto legato al fatto che lui non controlla il partito perché non ha mai fatto un investimento serio, duraturo, sul partito.
Il Renzismo, sin dal tempo delle primarie del 2012, è stato una sorta di simbolo dato in franchising, di cui chi ne condivideva i punti (inizialmente pochissimi, poi sempre di più), si è potuto fregiare, spesso in concorrenza con altri franchisor della zona.
Sempre in concorrenza gli uni con gli altri, quasi sempre senza che il segretario democratico ne “
eleggesse” uno come riferimento territoriale stabile