Val
Torniamo alla LIRA
Finalmente, dopo un lungo tragitto in aeroporto, la riforma della giustizia tributaria pare essere in pista di lancio.
In astratto, in disparte ormai la Corte dei Conti, i velivoli parrebbero essere ancora tanti:
l’ultraleggero della giustizia amministrativa
e l’aeroflot appesantito della giustizia ordinaria.
Ma questi sono pur sempre veri e propri Cavalieri dell’Apocalisse, che vorrebbero distruggere la giurisdizione tributaria speciale,
anche se, con essa, probabilmente, distruggerebbero loro stessi.
Non foss’altro perché la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa sono, allo stato, “edifici” più o meno “collabenti”,
non in grado di reggere l’immane valanga del contenzioso tributario.
Ha suscitato scalpore in questi giorni l’invio da parte del Presidente della Corte dei Conti, dott. Angelo Buscema,
al Presidente del Consiglio dei Ministri, prof. Giuseppe Conte, di una lettera, resa pubblica dall’ufficio di gabinetto della stessa Corte, con la quale,
“nel solco del dibattito che si sta sviluppando intorno alla riforma della giustizia tributaria” e sulla base della
“risoluzione approvata dal Consiglio di presidenza nell’adunanza dell’8-9 ottobre 2019”, si rappresenta l’offerta del proprio contributo “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”.
Non a pochi è sembrato davvero strano che, per risolvere i problemi (della riforma) della giustizia tributaria,
si debba (e si possa) ricorrere ad un “giudice”, che si autoqualifica preposto “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”
(e del “Fisco”, come aggiuntivamente vien detto nella Risoluzione assembleare), e cioè di uno dei due soggetti, in conflitto,
come tale, per ciò solo, intrinsecamente inidoneo a svolgere il ruolo di giudice, che dovrebbe, come dice l’art. 111 Cost.,
essere dotato degli imprescindibili requisiti di “imparzialità” e di “terzietà” che connotano la sua funzione
e lo rendono unicamente finalizzato a salvaguardare siffatti valori di imparzialità e di terzietà e non gli interessi di una delle due parti contendenti.
In astratto, in disparte ormai la Corte dei Conti, i velivoli parrebbero essere ancora tanti:
l’ultraleggero della giustizia amministrativa
e l’aeroflot appesantito della giustizia ordinaria.
Ma questi sono pur sempre veri e propri Cavalieri dell’Apocalisse, che vorrebbero distruggere la giurisdizione tributaria speciale,
anche se, con essa, probabilmente, distruggerebbero loro stessi.
Non foss’altro perché la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa sono, allo stato, “edifici” più o meno “collabenti”,
non in grado di reggere l’immane valanga del contenzioso tributario.
Ha suscitato scalpore in questi giorni l’invio da parte del Presidente della Corte dei Conti, dott. Angelo Buscema,
al Presidente del Consiglio dei Ministri, prof. Giuseppe Conte, di una lettera, resa pubblica dall’ufficio di gabinetto della stessa Corte, con la quale,
“nel solco del dibattito che si sta sviluppando intorno alla riforma della giustizia tributaria” e sulla base della
“risoluzione approvata dal Consiglio di presidenza nell’adunanza dell’8-9 ottobre 2019”, si rappresenta l’offerta del proprio contributo “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”.
Non a pochi è sembrato davvero strano che, per risolvere i problemi (della riforma) della giustizia tributaria,
si debba (e si possa) ricorrere ad un “giudice”, che si autoqualifica preposto “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”
(e del “Fisco”, come aggiuntivamente vien detto nella Risoluzione assembleare), e cioè di uno dei due soggetti, in conflitto,
come tale, per ciò solo, intrinsecamente inidoneo a svolgere il ruolo di giudice, che dovrebbe, come dice l’art. 111 Cost.,
essere dotato degli imprescindibili requisiti di “imparzialità” e di “terzietà” che connotano la sua funzione
e lo rendono unicamente finalizzato a salvaguardare siffatti valori di imparzialità e di terzietà e non gli interessi di una delle due parti contendenti.