Ma quali sono le aziende che il governo
Renzi ha pensato bene di mettere al sicuro dalla mannaia della Madia? Innanzitutto le società quotate e quelle che puntano a sbarcare in Borsa nel giro di
diciotto mesi come ad esempio le
Ferrovie dello Stato. Il gruppo è, del resto, nel pieno di una riorganizzazione che vede come obiettivo il mercato dove, sotto il governo Renzi, sono arrivate altre due società pubbliche,
Fincantieri e
Poste, con manager
pagati molto meglio di quanto non preveda la riforma Madia.
Quotate e matricole a parte, spiccano poi casi rilevanti di esenzioni legate a
doppio filo con la primavera elettorale in arrivo in duemila comuni. Un esempio?
Expo 2015, la società guidata dal candidato sindaco del centrosinistra per Milano,
Giuseppe Sala, che non ha ancora alzato il velo sui risultati di
redditività dell’esposizione meneghina. O ancora
Arexpo, l’azienda pubblica che ha acquistato le aree del sito fieristico milanese e che è destinata a coprire parte delle perdite di Expo. Ma anche l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti,
Invitalia, con tutte le sue controllate,
inclusa Infratel che gestirà gli investimenti pubblici nella fibra. E’ noto che
Invitalia, dispensatrice di fondi pubblici per start-up, innovazione e rilancio aree industriali, non navighi in buone acque con il rosso consolidato che ormai è diventato cronico. Eppure per il governo il gruppo continua ad essere un riferimento per lo sviluppo dell’occupazione soprattutto nel
Mezzogiorno, dove le opportunità di lavoro sono ormai ridotte al lumicino e l’imprenditoria nascente conta ancora sulla possibilità di ottenere un finanziamento statale. Insomma, per l’esecutivo si tratta di un
asset troppo importante che evidentemente non è il caso di imbrigliare con tutti i lacci della Madia.