lodo mondadori - le motivazioni della condanna
I giudici: «Berlusconi corresponsabile
con Fininvest nella corruzione»
La Cir subì «un danno immediato e diretto» dalla sentenza emessa dal magistrato corrotto Metta
MILANO - «È da ritenere, incidenter tantum e ai soli fini civilistici del presente giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva per cui si procede». È quanto scrivono, nelle circa 300 pagine di motivazioni, i giudici della seconda sezione civile del tribunale di Milano che
hanno condannato la Fininvest a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori. La corresponsabilità del premier, scrivono ancora i giudici, «come logica conseguenza, comporta, per il principio della responsabilità civile delle società di capitali per il fatto illecito del loro legale rappresentante o amministratore commesso nell'attività gestoria della società medesima, la responsabilità della stessa Fininvest».
«DANNO IMMEDIATO E DIRETTO» - Secondo i giudici, la Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza. Questa tesi è diversa da quella prospettata dal giudice di primo grado, Raimondo Mesiano, il quale invece parlò di «perdita di chance», nel senso che la sentenza frutto della corruzione avrebbe indebolito la posizione negoziale di Cir nei confronti di Fininvest. La trattativa poi si concluse con una spartizione, in base alla quale il gruppo
Espresso e
Repubblica finirono alla Cir, a Mondadori andarono i settori dei libri e dei quotidiani e il gruppo di De Benedetti dovette versare un conguaglio. I giudici dell'Appello non hanno invece considerato la perdita di chanche, ma hanno ritenuto che Cir subì un danno immediato e diretto dalla
sentenza Metta.
IL MAGISTRATO CORROTTO - I giudici milanesi dedicano largo spazio alla ricostruzione della vicenda giudiziaria che accertò la corruzione del magistrato Vittorio Metta.
Se questi non fosse stato corrotto, per i giudici, il lodo sarebbe stato confermato e De Benedetti avrebbe mantenuto il controllo della casa editrice. Il riferimento è alla
decisione del 24 gennaio del 1991 della Corte d'Appello di Roma, presieduta dal magistrato Vittorio Metta, la cui corruzione è stata accertata in sede penale: si dichiarava che, dato che una parte dei patti dell'accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina delle società per azioni, era da considerarsi nullo l'intero accordo e quindi anche il lodo arbitrale. Il lodo arbitrale dava ragione a De Benedetti circa la cessione a Berlusconi del pacchetto azionario della famiglia Formenton, azionista di riferimento di Mondadori. La sentenza invece, di fatto, riconsegnava la Mondadori a Berlusconi.
METTA CONDIZIONO' I COLLEGHI - Il collegio dei giudici d'appello, presieduto da Luigi De Ruggiero, ha ricostruito una sorta di «sentenza virtuale», immaginando che Vittorio Metta non fosse stato corrotto. La conclusione è stata che, se il magistrato romano avesse agito in modo imparziale, la corte d'appello di Roma avrebbe confermato il lodo arbitrale che, di fatto, consegnò il 20 giugno 1990 alla Cir e a De Benedetti il controllo della Mondadori. Rifacendosi a recenti pronunce della Cassazione, i giudici milanesi hanno sottolineato che una decisione collegiale non è la somma di tre separate opinioni, ma è il frutto di un confronto dialettico. Quindi, anche se i giudici che affiancarono Metta, Arnaldo Valente e Giovanni Paolini, non furono corrotti, Metta li condizionò, inducendoli a prendere una decisione errata. Secondo i giudici milanesi, in base alla legislazione dell'epoca, l'esito «dovuto e non discutibile» del verdetto romano avrebbe dovuto essere di rigetto dell'impugnazione mossa da Fininvest.
LO «SCONTO» - Decisiva nel determinare lo «sconto» a Fininvest (da 750 a 560 milioni per il risarcimento alla Cir) è stata la consulenza tecnica d'ufficio depositata nel settembre scorso. Lo studio aveva rivelato che il valore delle società oggetto dello scambio (tra cui
L'Espresso e
Repubblica) era diminuito tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991, periodo durante il quale ci fu la trattativa. Inoltre, i giudici non hanno riconosciuto il danno di immagine, sancito invece dalla sentenza di primo grado, per la Cir. Secondo il collegio, presieduto da Luigi De Ruggero, anche se la sentenza Metta le avesse dato ragione, la Cir comunque non sarebbe stata in grado di costituire la «grande Mondadori», perché la politica non avrebbe mai avallato questa soluzione, privilegiando invece una spartizione tra i gruppi facenti capo a De Benedetti e Berlusconi. Non ci sono state peraltro, aggiungono i giudici, significative variazioni del valore delle azioni Cir in Borsa, dopo il verdetto firmato da Metta.
IL CALCOLO DEL DANNO - Il nesso causale diretto tra la corruzione del giudice Vittorio Metta e l'esito della sentenza definita «ingiusta» della Corte d'appello di Roma del gennaio 1991 comporta che tutti i danni accertati vengano risarciti a Cir senza alcuna riduzione in nome di una perdita di chance. Lo si evince dalla sentenza. La Corte col provvedimento ha in sostanza corretto la decisione del giudice di primo grado che aveva quantificato il danno calcolando una perdita di chance pari all'80% e un danno diretto pari al 20%.