mala tempora currunt sed peiora parantur ... beware market blast ! (10 lettori)

andgui

Forumer storico
Ultimo giorno di vacanza.
Ieri sera tedeschi che lavorano alla AUDI mi hanno detto che sarebbero dovuti torrnare al lavoro lunedi' ma hanno ricevuto avviso che la fabbrica riapre mercoledi'. Non mancano gli ordini, ma i subfornitori non consegnano i pezzi per paura di non essere pagati a causa dei guai della capogruppo VOLKSWAGEN.

andgui.
 

mototopo

Forumer storico
il libro di Siglitz è pubblicato e ne circolano anche svariate recensioni: e tutte si possono definire "adesive", nel senso che ne condividono quantomeno l'analisi problematica, che ripercorre la serie di errori e di assurdità teorico-economiche che hanno caratterizzato l'applicazione e gli effetti disastrosi, a dir poco, della moneta unica. Ma, del libro, evidenziano pure le contraddizioni.



Voci dall'estero ci ha riportato un "doppio" commento di Sapir sempre al libro di Stiglitz e al quasi contemporaneo volume di Mervyn King, sempre sull'argomento della crisi della moneta unica.
Al di là dei rispettivi presupposti di teoria economica, entrambi gli autori prevedono una imminente grave crisi politica oltre che economica come futuro sviluppo inevitabile di un elemento "culturale" che qui abbiamo molte volte analizzato: le elites €uropee, in perfetta ed inevitabile continuità con l'intero paradigma pianificato da oltre 60 anni, concepiscono qualsiasi soluzione solo come un'intensificazione degli stessi meccanismi e delle stesse aspettative che hanno caratterizzato la loro azione immutabile.
2. Da un intervista al New York Times, rilasciata in occasione della pubblicazione del libro, Stiglitz, per parte sua, dà conferma della contraddizione sopra accennata, che può essere riassunta nel seguente passaggio. Richiesto se le "istituzioni" €uropee siano propense ad un riesame della loro "filosofia economica", Stiglitz risponde:
Mi piacerebbe che ciò accadesse. Sfortunatamente, ciò che ho visto è praticamente l'opposto. E' un approccio aggressivo quello tenuto dai leaders europei alla Brexit; esponenti come il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, hanno affermato: "Saremo molto, molto duri con il Regno Unito, perché vogliamo assicurarci che nessun altro paese se ne vada".Per me è stato scioccante. Si spera che si desideri stare nell'UE perché ciò apporta benefici, perché c'è un credo nella solidarietà europea, la convinzione che che l'UE porti prosperità. Egli invece afferma che l'unico modo in intendono tenere insieme l'UE è tramite la minaccia di quel che accadrebbe se si pensa di lasciare.
E ancora, richiesto di indicare quali siano gli strumenti per realizzare quello che, tutt'ora, Stiglitz ritiene "the best scenario", cioè una riforma della moneta unica che la possa "salvare", egli ribadisce:
Un'unione bancaria con un'assicurazione dei depositi. Qualcosa di simile agli eurobond. Una BCE che non sia focalizzata solo sull'inflazione, ma auspicabilmente sul pieno impiego. Una politica fiscale che si incentri sulle ineguaglianze. E occorre liberarsi dei limiti sui deficit statali".Nel finale, peraltro, Stiglitz ammette che tutto ciò è improbabile che avvenga: "E' difficile credere che il cercare di cavarsela nel modo attuale possa continuare per altri 5 anni. La Grecia è ancora in depressione, non meglio di un anno fa. La cosa più verosimile è che in un paese o in un altro ci sia abbastanza supporto per un altro referendum, e ne derivi l'exit. Ciò darà inizio al processo che sbroglierà il pasticcio dell'eurozona.
3. Sapir, nel commento citato al libro di Stiglitz, fa questa chiosa finale:
"Stiglitz è perfettamente consapevole dell’enorme costo politico che la creazione dell’euro nella sua forma attuale ha causato.
Anch’egli annuncia una crisi che sarà tanto politica quanto economica, a meno che i paesi dell’eurozona non decidano di dissolvere l’euro in modo ordinato, o di fare in modo che la moneta unica diventi solamente una moneta comune.
Confesso di avere dei dubbi su quest’ultima soluzione. Non che non sia intellettualmente attraente. Ma la complessità dei meccanismi che dovrebbero implementarla la rende più che improbabile. È l’altra soluzione, quella di una dissoluzione concertata dell’euro, che si dovrebbe logicamente imporre.
Ma le resistenze sono molto forti, specialmente tra le élite francesi, che persistono nel non voler vedere la realtà, e che continuano a fare discorsi insensati sui “rischi” ai quali una dissoluzione dell’euro ci esporrebbe. In realtà è proprio il mantenimento dell’euro che espone l’Europa a rischi immensi, sia dal punto di vista economico che da quello politico. È ciò che abbiamo scritto finora su questo blog.
Si può pensare che l’Unione Europa non sopravviverà all’euro nella sua forma attuale, e che la battaglia per “salvare” l’euro finirà per portarsi via quelle stesse forze che sarebbero necessarie per rimettere in sesto l’Unione Europea. Da questo punto di vista dobbiamo considerare i leader attuali e passati, così come le loro ufficiali opposizioni, in Francia, in Germania e in molti altri paesi dell’Unione Europea, come i peggiori nemici dell’Europa, non nel senso istituzionale, ma nel senso della comunità di popoli che dovrebbe essere mantenuta unita da un obiettivo di pace, prosperità e democrazia".

4. A Stiglitz, peraltro, vorremmo obiettare che, a parte la scarsa efficacia degli eurobond per riequilibrare le asimmetrie da sbilancio dei conti esteri che rendono disastroso l'euro, la discussione nelle varie istituzioni €uropee di qualsiasi soluzione di questo tipo viene accompagnata dalla condizionalità feroce che corrisponde al progetto del "fondo europeo di redenzione"-ERF, la cui introduzione equivale a un default degli Stati debitori a copertura illimitata (cioè 100% di recovery rate a qualsiasi costo economico-sociale).
Ebbene, Stiglitz, l'americano colto e democratico, queste cose non dovrebbe ignorarle: il modo di intendere la (inesistente) solidarietà fiscale all'interno dell'UEM, è già manifesto e praticamente non negoziabile, da parte dei poteri dominanti in €uropa.
Così come non dovrebbe ignorare che le regole fondamentali dei trattati impongono, in modo assoluto e altrettanto non negoziabile, i limiti ai deficit statali, anzi il pareggio di bilancio (come proiezione del mito teologico, neo-liberista, dello "Stato come una famiglia") e vietano politiche fiscali redistributive a livello "federale" (cioè che trascenda il sistema fiscale del singolo Stato).

5. Sarebbe quasi inutile ripercorrere le ragioni di questo assetto, perché su esso ci siamo soffermati in lungo e in largo e anche di recente: quello che decisamente è "scioccante" è che Stiglitz, oggi, paia non essersene ancora reso conto e...si sciocchi di quanto affermato da Juncker sulla Brexit (che, tra l'altro, e non a caso, è un problema estraneo all'eurozona). Quanto e cosa ha veramente visto Stiglitz degli eventi, e delle prese di posizione politiche, che negli ultimi anni si sono manifestati nell'eurozona?
La tardività di reazione, quantomeno in termini di realistiche politiche e misure di rimedio, denunciata da Stiglitz, è segno di un problema inquietante.
Stiglitz è un economista autorevolissimo e anche sinceramente democratico: è in prima fila nel denunciare il carattere sovversivo del TTIP, rispetto al travolgimento di ogni minimo alveo di democrazia statale, e crede, con moderata pragmaticità, nelle politiche fiscali espansive come rimedio sensato ai cicli economici avversi.
Ma pensare che l'euro possa tirare avanti con espedienti per altri 5 anni significa accettare il rischio di un livello di distruzione dell'economia europea e del riacuirsi della crisi economico-finanziaria mondiale, - che già oggi è sul crinale del suo manifestarsi e che ha come epicentro la situazione dell'eurozona-, che pare sposarsi con l'inconsapevolezza che, nella migliore delle ipotesi, ad esempio, il fondo assicurativo (privato) europeo per i depositi bancari sarebbe attivato nel 2024; e, dunque, anche con l'inconsapevolezza che tutto questo dà il tempo, alla radicale opposizione della Germania, di far svolgere all'unione bancaria il suo vero ruolo di ristrutturazione colonizzatrice e depressiva dell'intera economia del continente.
6. Insomma, le norme dei trattati e le loro applicazioni vincolate (TINA), già in buona parte formalizzate dalla tragica combriccola delle oligarchie totalitarie che regolano le istituzioni UE e dei governi che le sostengono, nelle sedi decisive in cui si continuano ad effettuare le stesse scelte (nella logica dell'irreversibilità del paradigma neo-liberista che pure Stiglitz denuncia), bisogna conoscerle: perché sono il vero formalizzarsi della volontà politica, non solo delle istituzioni UE, ma appunto dei governi e delle sottostanti classi dirigenti che votano i trattati e le loro integrazioni.
Questa volontà politica non può essere realisticamente desunta, o mutata, dal wishful thinking di una propria, per quanto (in gran parte) sensata, visione economico-scientifica.
Il de jure condito, ad oggi, si sposa coerentemente, in €uropa, con il de jure condendo, e non c'è il minimo spazio per un "altro" de jure condendo. Se non altro per la totale assenza, in chiunque si trovi, a livello UE come in quello nazionale, in posizione decidente, delle necessarie "risorse culturali".
7. Ma la cosa più gravemente indicativa è un'altra: se Stiglitz, - cioè la punta più avanzata dell'autorevolezza scientifico-economica USA, il più accreditato e "democratico" degli esponenti di quella cultura-, la vede così, pensate a cosa possa aver in serbo, per l'€uropa, l'establishment finanziario degli interessi oligarchici che appoggiano la Clinton.
Il problema è dunque questo: si conferma che la costruzione federale europea è quella concezione restauratrice del capitalismo sfrenato che tanto è stata sospinta dall'insensibile e rudimentale visione degli USA (l'Unione europea è sempre stata un progetto americano) da sempre ostile alle "democrazie del welfare" europee ed alle "Costituzioni antifasciste".

CoPalZdWIAA6WyQ.jpg


8. La correzione di tutta questa follia, - in cui, contrariamente agli ipocriti enunciati di "pentimento" del FMI, non si è imparato nulla dalla crisi, del 1929 prima ancora che da quella del 2008-, non sarà possibile finché gli USA non saranno mossi da visioni e "interlocutori-informatori" europei più capaci di rappresentare la realtà, piuttosto che le proprie fantasie revanchiste ormai patologiche, e cioè meno fanaticamente asserviti a slogan che già negli anni '80 Caffè considerava inaccettabili e vuoti.
Salvo imprevisti, stiamo correndo verso la rinascita di una nuova tragedia mondiale (qui, pp.2-3: la guerra civile mondiale, quale definita da Schmitt, in relazione al dare manolibera al liberoscambismo e ai suoi effetti totalitari). Come sempre accade, quando i neo-liberisti impongono il loro giogo alla società e la vogliono "Grande", cioè globale, per trascinare nel gorgo il mondo intero.
E ricominciare imperterriti, ripetendo sempre le stesse azioni convinti che, prima o poi, ciò darà esiti diversi.

Pubblicato da Quarantotto a 13:42
Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
23 commenti:
 

Franzo

PELO e CONTROPELO
No caro MotoTopo ... se vuoi prendi il mezzo di trasporto e ti vengo incontro ... Poi andiamo ad ucciderci di radicchi con fagioli di lamon sbollentati nello scalogno e ciccioli freschi appena fritti nel loro grassetto ad summa di cospicua mantecanza ...
Sai cosa ... leggevo lo intervento ultimo del nauta ODISSEO ..! Codesto homo è ricco di pensiero.
Ringrazioti per le tue preziose note informative.
 

Franzo

PELO e CONTROPELO
Un diamante !

Condivido molto di quello che dici, carissima, e ritengo di comprendere il tuo stato d'animo, il tuo sconforto. Sono però dell'idea che serva, necessariamente (lo sottolineo non a caso), cercare sempre un motivo e, se non basta, cercarne un altro ancora, per dare un significato alle difficoltà che ci assediano ma soprattutto per dare senso alla nostra presenza su questo mondo - e fra le righe delle tue esternazioni mi sembra di cogliere pure questo, quindi direi che ci siamo.
Sono convinto, molto speranzoso, sul fatto che ormai, nel nostro paese, sia maturata una consapevolezza che in molti condividiamo e che credo presto verrà a galla con una certa prepotenza, e magari anche in modo molto democratico: penso che siamo alla resa dei conti e che alle prossime politiche ci saranno dei bei conti da fare. Potrebbero sembrare le solite parole vuote, le solite speranze inutili, senza conclusione, ma mi sento di crederci: qualcosa d'importante sta cambiando. Non so bene immaginarmi quali forze contrarie si possano materializzare nel conseguente futuro (è lecito pensare, oggi, all'esistenza di spettri giganteschi pronti ad entrare in azione), ma qualcosa di nuovo è alle porte.
La speranza dev'essere sempre l'ultima a morire, fino all'ultimo momento...
Cora, la libertà è un concetto meraviglioso, ma altrettanto meravigliosamente aleatorio: la libertà è qualcosa che più che provenire da condizioni esterne deve invece trovare adeguato spazio dentro di noi, unico luogo e unico scopo di esistere; la libertà è un paio d'ali, e quando impari a sbatterle molto diventa più piccolo e meno significativo.

YouTube
 

mototopo

Forumer storico


Dopo anni di martellante disinformazione, è normale che una persona si convinca della veridicità delle tesi proposte in tutti i media, anche quelle più strampalate. Per fare un po’ di chiarezza in questo “mare magnum” di falsità, ho deciso di mettere giù alcuni brevi concetti economici che sembreranno sconvolgenti per gli utenti di Ballarò (tanto per fare un esempio), mentre per chiunque abbia letto e capito un qualunque manuale di macroeconomia (quindi i bocconiani sono esclusi) saranno concetti già noti.
Innanzitutto occorre capire che la scienza economica, quel ramo delle scienze sociali che si dedica allo studio della produzione e del consumo di beni e servizi, è una scienza e come tale è una RAPPRESENTAZIONE della realtà, ma NON E’ LA REALTA’. Questo vuole dire che non esiste LA macroeconomia, ma esistono LE macroeconomie, cioè tante macroeconomie quante sono le possibili approssimazioni che possiamo dare della realtà. Sul piano matematico e filosofico tutte le macroeconomie hanno pari “dignità”, così come tutti i numeri hanno pari dignità (numeri naturali, numeri reali, numeri complessi ecc.), ma questo non vuole dire che tutte le macroeconomie siano approssimazioni della realtà equivalenti dal punto di vista econometrico. Alcune descrivono la realtà in maniera sufficientemente precisa, altre sono in totale opposizione.
Affinché ci sia produzione e consumo, occorre che ci sia un mercato in cui i beni e i servizi vengano scambiati. Questo implica che ci deve essere l’offerta di beni e servizi, ma anche la domanda degli stessi beni e servizi. Se siete nel deserto del Sahara e desiderate 10 ghiaccioli al limone (domanda), potete essere certi che non troverete nessuno in grado di venderveli (offerta), pertanto avremo crisi sul lato dell’offerta. Di converso, se la gente fosse costretta a lavorare gratis, ci sarebbe chi è disposto a vendere (offerta), ma nessuno avrebbe soldi per comprare (domanda). In questo caso si avrebbe crisi di domanda.
Detto questo, vediamo uno degli aspetti più importati della macroeconomia: il PIL, cioè la somma del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese in un determinato periodo di tempo (solitamente un anno). Da questa definizione si comprende che il PIL non è la somma di tutta la produzione, ma solo dei beni (e servizi) finali.
Per dovere di cronaca, facciamo il classico esempio: si supponga che in un’economia esistano due sole imprese: la prima produce farina (mugnaio) per un valore complessivo di 50 € e la seconda (fornaio) produce pane per un valore di 100 €, impiegando farina per un valore di 10 €. La produzione complessiva è 50 € + 100 € = 150 €, ma il PIL è solamente (50 € – 10 €) + 100 € = 140 € poiché 10 € di farina vengono utilizzati per fare il pane e quindi la farina è una bene intermedio, non un bene finale. E se non vendesse tutti i 100 € di pane? Il PIL non cambierebbe, si avrebbe solo un investimento in scorte (come è successo da noi per il 2015 in cui gran parte del PIL è dovuto alle scorte della FCA), ma il PIL non varierebbe. Possiamo allora produrre al massimo delle nostre potenzialità, fregandocene della vendita, come implicitamente sostengono gli “offertisti”? NO!!!!!! Perché se produci e non vendi, FALLISCI!!!
Il PIL può essere visto da altri punti di vista: ad esempio come somma dei redditi, infatti il reddito del mugnaio è pari a 50 €, il reddito del fornaio è 100 € – 10 € = 90 € (dieci euro deve darli al fornaio per comprare la farina) e la somma fa 50 € + 90 € = 140 €. I conti tornano!!!
Ma se il PIL è la somma dei redditi, le riforme strutturali, volte appunto a ridurre i redditi, non posso fare aumentare il PIL!!! Sembra lapalissiano, ma per molti non lo è: riducendo una cosa, questa diminuisce (ma va?!?), NON AUMENTA!! Ergo riducendo i redditi, il PIL DIMINUISCE!!! Aumentando i redditi, il PIL aumenta.
Introducendo un altro concetto apparentemente elementare, si perviene ad una scoperta sensazionale: la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro (infatti il PIL, oltre ad essere pari alla somma dei redditi, può essere visto come somma della spese effettuate per l’acquisto di beni e servizi finali). Chiunque spenda elargisce dei soldi che costituiscono un reddito per chi li riceve. E quando dico chiunque, intendo proprio chiunque, infatti la spesa effettuata dalle persone fisiche si chiama consumi, la spesa effettuata dalle persone giuridiche (imprese) si chiama investimenti e la spesa effettuata dallo Stato si chiama spesa pubblica. Quando lo Stato spende, crea reddito per qualcuno e quel reddito concorre ad aumentare il PIL. Quando lo Stato riduce la spesa, riduce il reddito di qualcuno e quel mancato reddito concorre a diminuire il PIL. Quindi la spesa dello Stato è il reddito del cittadino (o dell’impresa). In termini più appropriati si dice che il saldo negativo del settore statale, in un’economia chiusa, è esattamente pari al saldo positivo del settore privato.
C’è un’eccezione a questa regola: poiché non esiste un solo Paese al mondo ed esistono gli scambi commerciali, si può praticare la cosiddetta politica del “beggar thy neighbor”, meglio nota col nome di “fotti il tuo vicino”. In pratica puoi ridurre la spesa pubblica e perfino fare le riforme strutturali a patto che ci sia un qualcosa (ad esempio un aggancio monetario o altro) che renda convenienti i tuoi prodotti. In questo modo la spesa degli altri Paesi per l’acquisto dei tuoi prodotti (questo tipo di spesa si chiama esportazioni) è reddito per te. Se la bilancia commerciale è (molto) in attivo, cioè se le esportazioni sono maggiori delle importazioni, il reddito che proviene dagli acquisti fatti dai Paesi esteri può compensare o addirittura essere superiore alla riduzione del reddito derivante dai tagli alla spesa pubblica e dalle riforme strutturali. In questo modo il tuo Paese si arricchisce in termini monetari (ma si impoverisce in termini di beni reali), mentre i Paesi vicini si impoveriscono in termini monetari (ma si arricchiscono in termini di beni reali). L’esempio più eclatante di questa politica predatoria è l’eurozona ed in particolare la Germania. Ma è un modello economico vincente e quindi da imporre agli altri? Nel breve-medio periodo può anche essere vincente, ma nel lungo periodo no perché è matematicamente impossibile che tutti siano esportatori netti (cioè che tutti vendano più di quanto acquistano). Per la solita legge che la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro, se ci sono gli esportatori netti, per forza ci devono essere anche gli importatori netti, altrimenti chi compra?
Arriviamo all’ultima puntualizzazione: gli imprenditori lavorano per guadagnare! Sembra incredibile, ma a sentire i giornali, telegiornali, politici (o politicanti), talk show ecc. sembra che esista una particolare categoria di imprenditori costituita da mecenati: gli imprenditori esteri. Cosa vuole dire? Che se le nostre imprese divenissero attrattive, come sognano i nostri politicanti, avremmo degli imprenditori stranieri che investono nelle nostre imprese. Poniamo che investano 100 €. Per il principio in base al quale gli imprenditori vogliono guadagnare, vuole dire che se nel nostro Paese entrano 100 €, ne devono uscire di più (altrimenti l’imprenditore non guadagnerebbe), poniamo 105 €. Quei 5 € di differenza sono debito privato che va a peggiorare la nostra bilancia dei pagamenti. Per chi non lo sapesse, è bene precisare che la crisi dell’eurozona deriva da un eccesso di debito privato, non di debito pubblico, come confermato dal vice-presidente della BCE Vítor Constâncio e come i dati confermano. In pratica quando dicono che le nostre imprese devono attrarre più capitali stranieri stanno dicendo che non abbiamo abbastanza debiti con l’estero. Adesso è più chiaro? Chissà perché per i nostri politicanti (di Brema) il debito pubblico, che se emesso in moneta sovrana non è necessariamente da rimborsare prelevando dalle tasche dei contribuenti, è una calamità, mentre il debito privato, che è da restituire, è cosa buona e giusta. Mistero della fede.
Ora avete l’armamentario minimo per capire che stanno cercando in tutti i modi di impoverirci e di indebitarci, sta a voi credere o meno che lo facciano per il nostro bene.
 

Coramina

out of this world
Condivido molto di quello che dici, carissima, e ritengo di comprendere il tuo stato d'animo, il tuo sconforto. Sono però dell'idea che serva, necessariamente (lo sottolineo non a caso), cercare sempre un motivo e, se non basta, cercarne un altro ancora, per dare un significato alle difficoltà che ci assediano ma soprattutto per dare senso alla nostra presenza su questo mondo - e fra le righe delle tue esternazioni mi sembra di cogliere pure questo, quindi direi che ci siamo.
Sono convinto, molto speranzoso, sul fatto che ormai, nel nostro paese, sia maturata una consapevolezza che in molti condividiamo e che credo presto verrà a galla con una certa prepotenza, e magari anche in modo molto democratico: penso che siamo alla resa dei conti e che alle prossime politiche ci saranno dei bei conti da fare. Potrebbero sembrare le solite parole vuote, le solite speranze inutili, senza conclusione, ma mi sento di crederci: qualcosa d'importante sta cambiando. Non so bene immaginarmi quali forze contrarie si possano materializzare nel conseguente futuro (è lecito pensare, oggi, all'esistenza di spettri giganteschi pronti ad entrare in azione), ma qualcosa di nuovo è alle porte.
La speranza dev'essere sempre l'ultima a morire, fino all'ultimo momento...
Cora, la libertà è un concetto meraviglioso, ma altrettanto meravigliosamente aleatorio: la libertà è qualcosa che più che provenire da condizioni esterne deve invece trovare adeguato spazio dentro di noi, unico luogo e unico scopo di esistere; la libertà è un paio d'ali, e quando impari a sbatterle molto diventa più piccolo e meno significativo.

YouTube


:) mi fai sorridere... positivamente
In poche righe sei riuscito dimostrare un'apertura mentale di cuore

Dostoevskij: la bellezza salverà il mondo... in questo credo completamente.
 

Users who are viewing this thread

Alto