Acqua, la risorsa che fa gola a tutti sta per finire
Crescono soldi e consumi.
Numero uno Nestlé: "la esauriremo molto prima del petrolio. Suo accesso non è diritto umano, va privatizzata".
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Ad un essere umano sono sufficienti 4 litri al giorno per vivere, mentre il fabbisogno europeo di acqua potabile è di 165 litri a testa
ROMA (WSI) - La grande sete del mondo mette d’accordo multinazionali ed ambientalisti che, dopo anni di accuse reciproche, ora combattono l’uno al fianco dell’altro la guerra per la salvaguardia di una
risorsa sempre più scarsa. Unico l’obiettivo, diversi gli interessi. La politica resta al palo.
Fino a qualche anno fa era un’inezia, ma man mano che
il costo della voce «acqua» aumenta nei bilanci, le multinazionali investono cifre sempre maggiori nella sua produzione e salvaguardia. Non è che il mondo di colpo sia entrato in una siccità globale, più che altro sono
aumentati enormemente i consumi in Occidente ma soprattutto nei paesi emergenti che in pochi anni hanno immesso nello scenario migliaia di industrie assetate e miliardi di persone alle quali prima bastava l’acqua necessaria per vivere mentre ora consumano quanto e più dei paesi ricchi.
Basti pensare che a un essere umano sono sufficienti
4 litri al giorno per vivere, mentre il fabbisogno europeo di acqua potabile è di
165 litri a testa. Le prospettive sono preoccupanti: se la popolazione mondiale crescerà di un miliardo di persone da qui al 2030, arrivando a 8 miliardi, a far registrare il balzo maggiore, passando da 2 a 5 miliardi, sarà la classe media, quella che consuma beni e servizi per produrre i quali
ci vorrà sempre più acqua, indispensabile per l’energia, ad esempio.
Le multinazionali fiutano l’affare ed investono miliardi di dollari per essere autosufficienti.
«Il costo dell’acqua sta crescendo in tutto il mondo» spiega al Financial Times
Christopher Gasson, dell’istituto di ricerca Global Water Intelligence secondo il quale, inoltre, le aziende che una volta consideravano l’acqua una materia gratuita ora sanno che il suo sfruttamento indiscriminato può «danneggiare il loro marchio, la loro credibilità, la loro valutazione e i costi assicurativi».
Undici anni fa, la
Coca Cola dovette chiudere un impianto di imbottigliamento in India dopo le proteste per l’impatto negativo (smentito dalla società) sulla distribuzione idrica locale. Dal 2003 la società di Atlanta ha speso quasi due miliardi di dollari per ridurre il fabbisogno dei suoi impianti nel mondo impiegando anche risorse in campagne per la salvaguardia ambientale, come quella in corso in alcuni Paesi per il riuso delle bottiglie di plastica. Non è l’unica.
La
Nestlé ha accantonato 31 milioni per progetti di trattamento delle acque
mentre
Rio Tinto e Bhp hanno investito in Cile tre miliardi per un dissalatore che darà acqua nelle loro miniere di rame al posto di quella della zona.
Perfino
Google ha speso cifre considerevoli per raffreddare i server con l’acqua marina in Finlandia o con l’acqua piovana nella Carolina del Sud (Usa).
«Le aziende hanno l’obbligo verso i loro azionisti di massimizzare i profitti e si impegneranno in attività favore dell’ambiente se pensano di fare buoni affari, e poi in questo momento conviene apparire sensibili perché fa bene alle pubbliche relazioni e alla pubblicità», dichiara al Corriere della Sera Reginald Dale, direttore del centro di studi strategici e internazionali di Washington, un organismo impegnato sui temi ecologici.
Secondo
l’Onu, però, il vero grande consumatore di acqua è l’agricoltura che
assorbe il 70% di quella usata, mentre il
22 va all’industria e l’
8 agli usi domestici. Se si escludono i pochi Paesi come
Israele attenti, anche per motivi strategici, a gestire le proprie scarse risorse, nel mondo l’uso dell’acqua nei campi, specie quella che arriva dai pozzi, avviene quasi senza controlli.
In un rapporto del 2012 citato dal Financial Times, i servizi segreti americani addirittura prevedono che «nei prossimi dieci anni i problemi idrici contribuiranno a creare instabilità in stati importanti per gli interessi degli Usa». Non ci si rende conto «che stiamo esaurendo l’acqua molto prima del petrolio» dichiara al quotidiano inglese con un certo catastrofismo
Peter Brabeck, presidente della Nestlé.
Eppure basterebbe che i governi si impegnassero nella regolamentazione dell’uso e nella riparazione delle reti idriche per risolvere i problemi che attanagliano anche stati americani, come l’Arizona o il Nevada dove, se la situazione non cambierà, si arriverà al razionamento.
Ha fiducia
Reginald Dale: «Sarà la forza del mercato a contribuire a risolvere molti dei problemi ambientali, compresa la carenza d’acqua e i cambiamenti climatici. Se guardiamo al rapido progresso delle tecnologie a rispetto ambientale, si capisce che questo sta già avvenendo».
Il contenuto di questo articolo, pubblicato da
Il Corriere della Sera - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.