ANTITESI
trovato in internet (io di dante ho solo il naso
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Non dobbiamo dimenticare che Dante, pur non essendo un cattolico integralista, non era neppure un laico come Marsilio da Padova (1275 - 1343), suo conterraneo. Egli è consapevole di non poter condannare all'Inferno un uomo che tentò di attraversare lo stretto di Gibilterra, ma il dovere "religioso" gli impone di doverlo fare, in quanto l'Ulisse ateo mandò a morte i suoi compagni. E così per le altre colpe.
Peraltro, il fatto che qui Dante rispetti tutte le consegne di Virgilio è la dimostrazione ch'egli aveva nei confronti della tradizione un atteggiamento più ossequioso di quello di Ulisse.
Dante, che pur non ha chiesto nulla all'eroe greco, gli fa raccontare un viaggio che neppure i redattori dell'Odissea ebbero mai il coraggio di narrare, e che influenzerà buona parte della letteratura a lui successiva. Egli infatti fa premettere a Ulisse due cose che tutto fanno pensare meno che all'idea di dover condannare all'Inferno un navigatore così coraggioso ancorché ateo: l'"orazion picciola", di cui s'è detto, e la constatazione del limite fisico dei marinai, i quali, a conti fatti, non riuscirono nell'impresa, secondo l'opinione di Ulisse, soltanto perché "già vecchi e tardi (nei movimenti)"(v. 106). Anche se qui Dante si serve di questa dichiarazione per sostenere che il folle viaggio fu intrapreso in piena consapevolezza.
Che Dante concluda in maniera romanzata (alla
Moby Dick, per intenderci), senza proferire parola alcuna di commento, e soprattutto senza fare alcun cenno ai delitti e alle nefandezze ben più gravi di cui si macchiò Ulisse, è indicativo del fatto che tra lui e Omero s'era insinuata una sorta di "attrazione fatale", ereditata dagli intellettuali greci e latini e che verrà tramandata a tutti gli intellettuali successivi, sino alla stroncatura senza soluzione di continuità del Pascoli.
Ulisse è l'unico personaggio importante della Commedia che non appartenga alla storia contemporanea di Dante, facendo parte del mito: la sua funzione è dunque soprattutto simbolica, e corrisponde narrativamente, con coerenza stilistica e retorica, alla metafora del mare, con le sue acque invitanti e infide, che non solo in Dante ma in tutta la tradizione culturale del Medioevo, rappresenta la conoscenza, il sapere e la ricchezza: attraversarlo o comunque tentare di solcarlo è quindi un tentativo coraggioso di superare i limiti delle conoscenze precedenti e delle precedenti civiltà agricolo-pastorali.
E' un'impresa che, nell'immaginario medievale, può essere facilitata dall’approvazione divina, come nel caso appunto di Dante, che apprende i segreti delle cose attraverso il viaggio nell’aldilà; oppure, come nel caso di Ulisse, condannata in partenza al fallimento, proprio perché si pone come sfida alla virtù divina.
Ulisse è una specie di specchio negativo di Dante. Dal punto di vista della conoscenza, entrambi sono degli eroi, degli scopritori. Tuttavia Dante è, per così dire, un esploratore approvato da dio, mentre Ulisse è un ribelle, un temerario che osa imporre la propria volontà agli dèi. La presunzione umana rappresenta un inconcepibile sovvertimento dell'ordine dell'universo, e come tale è una forma di "follia". Infatti, l'aggettivo folle, come segnale preciso di questa volontà assurda per chi è sostenuto dalla fede e dalla grazia, compare al v. 125, a definire la natura insana dell'impresa di Ulisse.
L'autore, dunque, sente vicina alla propria l'esperienza di Ulisse (che può rappresentare quella dei filosofi laici che - come lo stesso Dante giovane - si lasciarono tentare da una conoscenza che fosse dei tutto indipendente dal valore della fede religiosa). Ma Dante credette di salvarsi in tempo dal fallimento, tornando alla fede. In questo senso, il personaggio di Ulisse lo rispecchia, ma solo per gli aspetti negativi che lo segnarono in passato e che al tempo in cui scrive la Commedia egli ha ormai superato.