tontolina
Forumer storico
L’appuntamento è per il 6 marzo.
BANCA MPS
L’appuntamento è per il 6 marzo. Per quel giorno è convocata l’assemblea straordinaria del Monte dei Paschi per l’aumento-monstre da 5 miliardi per finanziare la discussa acquisizione Antonveneta.
Il 10 toccherà poi all’approvazione da parte del cda del bilancio e del piano industriale.
Ma, come suggerisce un antico proverbio cinese, se il dito indica la luna non bisogna guardare il dito. Così, è bene ricordare che nel 2009 vi saranno le elezioni in molti enti locali, ai quali spetta nominare i vertici della Fondazione (che a sua volta sceglie quelli della banca). Una partita che scalda gli animi di tutta Siena. Ed è chiaro quanto pesa l’operazione Antonveneta che sarà, prevedibilmente, ampiamente utilizzata in campagna elettorale.
A mobilitarsi contro l’acquisizione (e a sostegno della città e dei piccoli azionisti) ci sono le liste civiche (tra cui La Mongolfiera, seconda per consensi solo agli ex Ds-Margherita) e i gruppi consiliari che hanno organizzato un pubblico dibattito (venerdì 29 febbraio) per decidere il da farsi. Se l’esito dell’assemblea è scontato (la sola Fondazione ha il 58% dei diritti di voto), resta la strada della class action.
PREZZO E CLAUSOLE.
Antonveneta - è la posizione sostenuta dalle liste civiche che si avvalgono della collaborazione del consulente indipendente Paolo Barrai - è stata comprata a un prezzo troppo alto (9 miliardi) in una congiuntura economica profondamente cambiata che ha peggiorato la situazione.
Risultato: dall’annuncio dell’acquisizione (8 novembre) il titolo ha perso il 27% a 3,002 euro. La capitalizzazione è quindi scesa sotto 7,5 miliardi a fronte di una rete di 2mila sportelli, mentre ne occorre sborsare 9 per i mille di Antonveneta.
Inoltre, l’aumento copre solo il 50% del fabbisogno, mentre si renderà necessario indebitarsi e vendere asset, a spese degli utili futuri. Un banchiere di lungo corso si affida a un paradosso: «A questi prezzi (9 milioni a sportello, ndr), Poste italiane, con le loro 14mila filiali, potrebbero essere messe sul mercato a 120 miliardi».
Bnp, anch’essa in lizza per l’istituto veneto, avrebbe offerto al solo 8 miliardi, compresa Interbanca, quindi non più di 7.
Fonti vicine all’operazione ribattono come si fa in questi casi: il prezzo lo fa il mercato, l’importante è comprare quello che è strategico. E da questo punto di vista Antonveneta è un’ottima soluzione a livello geografico: 997 filiali, di cui 289 in Veneto e 110 in Lombardia. Inoltre, è vero che il Santander aveva sborsato 6,6 miliardi per la banca padovana, ma si tratta di un valore stabilito a bilancio dagli spagnoli che hanno comprato un pacchetto di asset di Abn Amro. Tanto più che in questi mesi i prezzi delle banche non sono certo scesi, come dimostra l’offerta da 1,7 miliardi del Crédit Agricole per il 51% di Banca Marche (più di 11 milioni a sportello). Tuttavia, negli ambienti senesi, ci si interroga sugli errori commessi: nel contratto non sarebbe prevista nessuna clausola che consenta di rivedere il prezzo in caso di caduta dei mercati.
LA PREDA. Nei piani di Giuseppe Mussari la redditività di Antonveneta dovrebbe salire a 700 milioni nel 2009 (con un risultato accrescitivo per gli utili del gruppo) partendo da un risultato stand alone di 490 milioni (90 milioni di crescita dei volumi e 120 di sinergie di costo). Ma, dicono gli oppositori, l’acquisto è avvenuto a scatola chiusa e ora ci si interroga sulle condizioni effettive dell’istituto. Quest’anno, secondo quanto risulta a B&F, Antonveneta dovrebbe chiudere con un risultato non distante dal pareggio e fare i conti con esuberi di organico a fronte, però, di una carenza di risorse specializzate (per esempio di titolari di agenzia). Ma che i target siano ambiziosi è stato chiaro fin dall’inizio allo stesso Mussari. E a Siena sono convinti che l’istituto abbia le carte in regola per vincere la sfida. Del resto, il gruppo non ha problemi strutturali, non è esposto a subprime o derivati. Una condizione che, secondo chi conosce bene la banca, permette di portare avanti contemporaneamente sia la ristrutturazione di Antonveneta sia lo sviluppo dei prodotti e della banca online.
LA FONDAZIONE. Rocca Salimbeni (che venerdì 22 ha ricevuto il via libera da parte del Tesoro all’aumento di capitale, senza condizioni) si è sempre schierata compatta con le scelte del management. Negli ambienti senesi, tuttavia, l’irritazione nasce perché la Fondazione ha saputo dell’operazione a cose fatte (inoltre l’advisor avrebbe espresso qualche incertezza). Ma le risorse, assicurano, ci sono (servono 2,950 miliardi per la quota dell’aumento). «Stiamo valutando varie opportunità di dismissione del nostro patrimonio - dice il presidente Gabriello Mancini - abbiamo mezzi disponibili sufficienti per coprire l’importo». Il problema, rilevano i critici, è che dovrà dismettere buona parte degli investimenti finanziari, spostando le risorse solo sul Monte dei Paschi con un’incognita sugli utili. Eppure, ricordano ambienti vicini alla Fondazione, l’operazione corrisponde agli obiettivi strategici di medio-lungo termine dell’Ente, il cui principale asset, non si dimentichi, è la banca. La Rocca, aggiungono, non si è voluta diluire per lasciarsi le mani libere per altre operazioni. Come ad esempio un accordo a livello internazionale.
BANCA MPS
L’appuntamento è per il 6 marzo. Per quel giorno è convocata l’assemblea straordinaria del Monte dei Paschi per l’aumento-monstre da 5 miliardi per finanziare la discussa acquisizione Antonveneta.
Il 10 toccherà poi all’approvazione da parte del cda del bilancio e del piano industriale.
Ma, come suggerisce un antico proverbio cinese, se il dito indica la luna non bisogna guardare il dito. Così, è bene ricordare che nel 2009 vi saranno le elezioni in molti enti locali, ai quali spetta nominare i vertici della Fondazione (che a sua volta sceglie quelli della banca). Una partita che scalda gli animi di tutta Siena. Ed è chiaro quanto pesa l’operazione Antonveneta che sarà, prevedibilmente, ampiamente utilizzata in campagna elettorale.
A mobilitarsi contro l’acquisizione (e a sostegno della città e dei piccoli azionisti) ci sono le liste civiche (tra cui La Mongolfiera, seconda per consensi solo agli ex Ds-Margherita) e i gruppi consiliari che hanno organizzato un pubblico dibattito (venerdì 29 febbraio) per decidere il da farsi. Se l’esito dell’assemblea è scontato (la sola Fondazione ha il 58% dei diritti di voto), resta la strada della class action.
PREZZO E CLAUSOLE.
Antonveneta - è la posizione sostenuta dalle liste civiche che si avvalgono della collaborazione del consulente indipendente Paolo Barrai - è stata comprata a un prezzo troppo alto (9 miliardi) in una congiuntura economica profondamente cambiata che ha peggiorato la situazione.
Risultato: dall’annuncio dell’acquisizione (8 novembre) il titolo ha perso il 27% a 3,002 euro. La capitalizzazione è quindi scesa sotto 7,5 miliardi a fronte di una rete di 2mila sportelli, mentre ne occorre sborsare 9 per i mille di Antonveneta.
Inoltre, l’aumento copre solo il 50% del fabbisogno, mentre si renderà necessario indebitarsi e vendere asset, a spese degli utili futuri. Un banchiere di lungo corso si affida a un paradosso: «A questi prezzi (9 milioni a sportello, ndr), Poste italiane, con le loro 14mila filiali, potrebbero essere messe sul mercato a 120 miliardi».
Bnp, anch’essa in lizza per l’istituto veneto, avrebbe offerto al solo 8 miliardi, compresa Interbanca, quindi non più di 7.
Fonti vicine all’operazione ribattono come si fa in questi casi: il prezzo lo fa il mercato, l’importante è comprare quello che è strategico. E da questo punto di vista Antonveneta è un’ottima soluzione a livello geografico: 997 filiali, di cui 289 in Veneto e 110 in Lombardia. Inoltre, è vero che il Santander aveva sborsato 6,6 miliardi per la banca padovana, ma si tratta di un valore stabilito a bilancio dagli spagnoli che hanno comprato un pacchetto di asset di Abn Amro. Tanto più che in questi mesi i prezzi delle banche non sono certo scesi, come dimostra l’offerta da 1,7 miliardi del Crédit Agricole per il 51% di Banca Marche (più di 11 milioni a sportello). Tuttavia, negli ambienti senesi, ci si interroga sugli errori commessi: nel contratto non sarebbe prevista nessuna clausola che consenta di rivedere il prezzo in caso di caduta dei mercati.
LA PREDA. Nei piani di Giuseppe Mussari la redditività di Antonveneta dovrebbe salire a 700 milioni nel 2009 (con un risultato accrescitivo per gli utili del gruppo) partendo da un risultato stand alone di 490 milioni (90 milioni di crescita dei volumi e 120 di sinergie di costo). Ma, dicono gli oppositori, l’acquisto è avvenuto a scatola chiusa e ora ci si interroga sulle condizioni effettive dell’istituto. Quest’anno, secondo quanto risulta a B&F, Antonveneta dovrebbe chiudere con un risultato non distante dal pareggio e fare i conti con esuberi di organico a fronte, però, di una carenza di risorse specializzate (per esempio di titolari di agenzia). Ma che i target siano ambiziosi è stato chiaro fin dall’inizio allo stesso Mussari. E a Siena sono convinti che l’istituto abbia le carte in regola per vincere la sfida. Del resto, il gruppo non ha problemi strutturali, non è esposto a subprime o derivati. Una condizione che, secondo chi conosce bene la banca, permette di portare avanti contemporaneamente sia la ristrutturazione di Antonveneta sia lo sviluppo dei prodotti e della banca online.
LA FONDAZIONE. Rocca Salimbeni (che venerdì 22 ha ricevuto il via libera da parte del Tesoro all’aumento di capitale, senza condizioni) si è sempre schierata compatta con le scelte del management. Negli ambienti senesi, tuttavia, l’irritazione nasce perché la Fondazione ha saputo dell’operazione a cose fatte (inoltre l’advisor avrebbe espresso qualche incertezza). Ma le risorse, assicurano, ci sono (servono 2,950 miliardi per la quota dell’aumento). «Stiamo valutando varie opportunità di dismissione del nostro patrimonio - dice il presidente Gabriello Mancini - abbiamo mezzi disponibili sufficienti per coprire l’importo». Il problema, rilevano i critici, è che dovrà dismettere buona parte degli investimenti finanziari, spostando le risorse solo sul Monte dei Paschi con un’incognita sugli utili. Eppure, ricordano ambienti vicini alla Fondazione, l’operazione corrisponde agli obiettivi strategici di medio-lungo termine dell’Ente, il cui principale asset, non si dimentichi, è la banca. La Rocca, aggiungono, non si è voluta diluire per lasciarsi le mani libere per altre operazioni. Come ad esempio un accordo a livello internazionale.