non accettano di rispettare la Legge

Largo all'Asia
Quando si è cominciato a parlare di globalizzazione, i pessimisti presagivano "un mondo a stelle e strisce, pieno di bevitori di Coca Cola stravaccati davanti alla tv e di potenti multinazionali che piantano la bandiera americana ai quattro angoli del globo".

Quasi quindici anni dopo è chiaro che non ci stiamo dirigendo verso quel tipo di scenario. Innanzitutto, osserva Enjeux, perché "la globalizzazione accentua i particolarismi e le reazioni culturali allo stile di vita americano, come per esempio in Francia". E poi perché "gli statunitensi non sono gli unici padroni del gioco: ormai si sono inserite anche Cina e India". Questi nuovi protagonisti cambieranno il volto della globalizzazione, anche se le loro aziende non hanno adottato completamente il modello capitalista classico.

"Gli Stati Uniti resteranno una grande potenza", prevede il mensile, "ma il peso relativo dell'occidente continuerà a ridursi. Anche le istituzioni internazionali – Nazioni Unite, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, G8 – saranno sconvolte dalla nuova geografia del potere mondiale. Non dovremo stupirci se un giorno una missione dell'Fmi capeggiata da economisti cinesi imporrà a un'indebitatissima Francia di licenziare i dipendenti pubblici".
http://www.internazionale.it/cartoline/cartolina.php?id=15490&issue_id=281&oid=52
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Già adesso il 1° ministro pekinese Wen Jiabao offre gratuitamente i suoi consigli all'Italia in tema di parcheggi....
 
15/4/2007 (10:47)
Metro dopo metro si comprano le città



Negli ultimi sei anni le imprese sono triplicate:spesso al limite della legalità

PAOLO BARONI
Vent’anni fa erano pochi, tutti in nero e tutti clandestini. Adesso viaggiano in Mercedes e Bmw e controllano intere zone di città, da Milano a Roma, da Prato a Napoli. Se le sono comperate metro quadro dopo metro quadro, in contanti. E’ questa la vera forza dei cinesi, il loro vero potere. Il potere dei soldi, che spesso però ha l'odore dei traffici illegali della Mafia. «A Napoli - spiega Marco Demarie, direttore della Fondazione Agnelli, che da tempo studia il fenomeno delle migrazioni - nell’area circumportuale poco alla volta hanno comperato quasi tutte le case ed i magazzini, dove poi hanno allestito laboratori spesso illegali per montare i semilavorati importati dalla Cina. Lo stesso vale per la zona di Porta Palazzo a Torino o piazza Vittorio a Roma». In questo modo creano delle piccole enclave, delle piccole «città specializzate» dove regna il modello della «famiglia-impresa», con un capo che governa l'attività di più nuclei. Nelle varie Chinatown italiane attività lecite e illecite corrono spesso in parallelo. E i soldi generano altri soldi. I cinesi in Italia, ufficialmente sono 114 mila, 170 mila coi minori e i clandestini. Negli ultimi 6 anni le loro imprese sono triplicate, passando da 9.800 a 26.400: +133% a Prato, +92% a Milano, +280% a Roma, addirittura +600% a Napoli.


I dati ufficiali parlano di 13 mila imprese commerciali e 11 mila aziende manifatturiere concentrate soprattutto in Toscana (4.500), Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Duemila di queste aziende sono associate alla Fenici, la Federazione delle imprese cinesi in Italia. La sede centrale, non può che essere a Prato, la città che conta la più alta concentrazione di cinesi (circa 20 mila su 180 mila abitanti e 2.800 imprese su 27 mila), ma l'organizzazione ha uffici in altre 8 regioni italiane, a Bruxelles, Pechino e Shanghai. Il presidente è un italiano, Alessandro Moggi, da anni in affari col Celeste impero. «Ci hanno chiamato la Confindustria dei cinesi in Italia - spiega - ma forse il termine è un po' esagerato. Ci accontentiamo di aiutare i nostri associati a svolgere al meglio il loro lavoro». Sempre da Prato vengono due imprenditori emergenti: «Francesco» Zahn, titolare del marchio di moda giovane «Koralline», e Xu Qui Lin, patron della Giupel (15 milioni di euro di fatturato e una linea che porta il nome di Gabriel Batistuta), il primo cinese ad essersi iscritto alla Confindustria. Per il resto non ci sono «nomi» famosi, ma una miriade di imprese sparse ovunque: dal triangolo Prato-Firenze-Empoli a Carpi, dal napoletano alle Marche (dove producono divani), da Vicenza alla Riviera del Brenta. Napoli è invece il principale punto d’arrivo dei prodotti cinesi, mentre Roma (assieme a Milano) è la piazza più importante di smercio. «Prima erano poco visibili, anche perché non creavano problemi d’ordine pubblico. Oggi invece lo sono molto di più perché hanno la grande Cina alle loro spalle, la “fabbrica del mondo” che inonda il pianeta con le sue produzioni a basso costo» spiega Antonella Ceccagno, docente di cultura cinese a Bologna e autrice di diversi saggi sull’argomento. Nella capitale, nella zona di piazza Vittorio all’Esquilino, operano circa 400 tra importatori e grossisti, che smistano l’80% della loro roba a dettaglianti e grossisti italiani e stranieri.


Attraverso i porti del Tirreno dalla Cina arriva di tutto: non solo abbigliamento e scarpe, ma anche accessori, giocattoli, mobili, apparecchiature tecniche ed elettroniche. Nel 2006 le nostre importazioni dalla Cina hanno toccato quota 14 miliardi di euro, un fiume imponente di prodotti che alimenta un intera filiera distributiva rigorosamente tutta cinese. Il commercio però va sempre più stretto ai cinesi. «Adesso è arrivato il momento dei grandi investimenti - spiega Moggi - La nuova frontiera? La costruzione di centri commerciali». Basta bottegucce, insomma, adesso si fa sul serio. Parola di cinesi.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200704articoli/20499girata.asp
 
Sharnin 2 ha scritto:
La Cina non diventerà mai la potenza dominante, hanno troppi problemi e squilibri. I cinesi si stanno montando la testa.
i cinesi che sono qui in italia forse credono che là abbiano chiuso i campi di lavoro forzato altrimenti detti campi di donazione di organi umani


però forse avrebbero bisogno di rinfrescarsi la memoria
 
Sui cinesi da Augias

Argomento trattato con molta calma. Si è chiarito, riconosciuto in fondo anche dalla signora cinese, che i cinesi "non vogliono diventare italiani", non vogliono la cittadinanza, e soprattutto non vogliono rinunciare alle loro abituni e al loro modo di vivere, insomma non vogliono integrarsi veramente., vogliono solo una convivenza pacifica, in realtà vogliono solo che gli italiani accettino le loro abitudini, mentre non vogliono accettare le nostre regole
Chiedono sempre una comprensione unilaterale.
 

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