NON E' NECESSARIO DIRE TUTTO QUELLO CHE SI PENSA, MA E' FONDAMENTALE

Una scena, quella ripresa domenica all’aeroporto di Fiumicino, che non sfigurerebbe tra quelle epiche del secondo episodio di “Pappa e ciccia“,
il film di Neri Parenti che narra l’improbabile viaggio di Paolo Villaggio & Co su una carretta dei cieli.

Sotto allo sguardo incredulo dei passeggeri il volo Iberia 8415 per Vigo è stato spinto in pista a mano.
Una decina di dipendenti dello scalo hanno spinto l’aereo a mano, come si fa con una macchina in panne, per portarlo in pista
 
ROMA – Statali dirigenti: premi e pagelle, conta solo l’età. “Un sostanziale appiattimento dei premi erogati, il cui ammontare risulta influenzato solamente dall’età”

Guadagni maggiori ai più anziani, riunioni superflue e obiettivi facili.
Per ogni anno di età la gratifica si alza del 6%.
Ecco cosa dicono i “piani di performance”.
L’occasional paper di via Nazionale, intitolato “Incentivi e valutazione dei dirigenti pubblici in Italia”, ripercorre gli ultimi venti anni di interventi, dalle riforme degli anni Novanta ad oggi, attraverso un’analisi delle retribuzioni di risultato relative al 2012

Sono quasi 800 milioni di euro che ogni anno finiscono nella busta paga di 48 mila dirigenti pubblici senza o quasi alcuna giustificazione reale.
Sull’attuale piano del Governo lo studio aspetta a dare un giudizio “esaustivo” ma, allo stesso tempo, riscontra elementi che
“potrebbero assicurare un percorso di carriera più ancorato alla competenza tecnica e al merito piuttosto che all’anzianità di servizio e alla vicinanza ai rappresentanti politici”.

Il rapporto prende a campione 2.159 dirigenti ministeriali, osservando che “in media la retribuzione di risultato è pari a circa il 9% della retribuzione totale per i dirigenti di prima fascia e al 12% per quelli di seconda”.
 
Corriere della Sera, quali sono le prospettive per il quasi primo quotidiano d’ Italia col nuovo editore Urbano Cairo?
Se lo è chiesto Andrea Montanari

È stata la vittoria (giovedì 21 luglio la certificazione Consob) di Urbano Cairo (e di Intesa Sanpaolo, con Banca Imi) nei confronti del cosiddetto salotto buono della finanza milanese e italiana
e di uno dei finanziere più ricchi e liquidi nel business del private equity italiano…
Per Rcs e per l’editoria italiana può essere l’alba di un nuovo giorno. Da settembre, quando Cairo prenderà possesso della società con la fusione, lo vedremo.
Ma attenzione: per Cairo la sfida non sarà facile, governare Rcs non è come gestire La7 o il Torino o una importante concessionaria di pubblicità.
Sicuramente ha vinto chi doveva vincere: per risanare un gruppo editoriale non gestito o mal gestito negli ultimi 10 anni (dalla gestione di Antonello Perricone, per intenderci) ci vuole una cura drastica.
Un intervento che solo chi fa questo mestiere da una vita può ipotizzare.
Cairo potrebbe trovare qualche difficoltà nel rapporto con gli altri 4 soci storici di Rcs che ora sono in minoranza.
Con due di loro sicuro. Ma uno gli è sempre stato vicino e ha cercato di fare da pontiere tra le due cordate. Bonomi si ritirerà da gran signore.
Mediobanca non sarà ostile: provò già un anno fa a tastare il polso di Cairo.
Quando Bazoli cercò di portare Bonomi sotto il cappello di Intesa. Ora le parti si sono invertite. Ma Rcs fa gola a tutti. Perché c’è il Corriere della Sera.
Cairo nasce con Silvio Berlusconi e del Cav ha preso i lati migliori: ha imparato, dal più bravo venditore di pubblicità della storia italiana, che gli spot sono l’anima del commercio e che non si butta via neppure l’osso né la buccia. Da Berlusconi ha capito il rapporto fondamentale tra carta stampata e raccolta pubblicitaria. E lo ha messo in pratica, da solo.
Ha creato un gruppo che non ha 1 euro di debito (finora, visto che ha chiesto 140 milioni a Intesa e ne userà solo 80, considerando che ha sempre 108 milioni in cassa).
E’ solido, costante, agisce in prima persona, si circonda di pochi (3) manager di fiducia, ma decide tutto lui.
Difatti, i palinsesti (ripetitivi) di La7 li presenta lui, mica il direttore della tv.
La campagna acquisti del Torino la tratteggia Petrachi ma chi decide, alla fine, è sempre e solo lui.
Quali sono i pro e i contro dell’ingresso di Cairo in Via Rizzoli e soprattutto in via Solferino?
Dalla sua, Urbano ha parecchie frecce nella faretra: e’ veloce, decisionista, conosce numeri, dati, cifre come nessun altro.
Analizza i bilanci fino all’ultima virgola: sicuramente stava valutando quelli di Rcs da almeno 5-7 anni, se non di più.

E’ un risanatore folle come dimostra La7: in un anno ha tagliato costi per oltre 100 milioni e nel 2014 l’ha riportata in utile, spegnendo pure le luci negli uffici e controllando anche il flusso della carta igienica nei servizi.

Ha idee e ogni anno lancia almeno un giornale. Testate che vendon sempre in edicola anche se ripetitive e uguali ad altre già esistenti.
E’ la sua forza: a 1 euro fa soldi in edicola e non è aggrappato alla pubblicita che su carta stampa crolla da anni.
Sbaraglia la concorrenza perché la gente non ha più voglia di spender 2,5, 3 o 4 euro per vedere foto-servizi di pseudo-vip.
 
E qua iniziamo ad analizzare i contro dell’operazione Rcs che solo un editore puro come lui poteva fare (Caltagirone ci ha pensato a lungo ma per Antitrust si è fermato; la De Agostini aveva la forza economica per fare il deal ma ormai è concentrata sugli Usa. Altri non ce n’erano. Forse Sky ma sarebbe stata una rivoluzione e un’innovazione troppo grande per l’Italia).
Cairo è abituato a gestire le cose da solo, o come detto con pochissimi manager che lo seguono da sempre, da oltre 20 anni.

Rcs invece è un animale strano. E’ un elefante para-statale con quasi 4 mila dipendenti (3.945 a fine 2015), e tantissimi dirigenti all’area Corporate
(468 dipendenti alla divisione che costa 38 milioni (su 318,3 di costo di personale complessivo).
Quindi dovrà entrare in punta di piedi per evitare “trappole” visto che in tanti dirigenti già temono il (giusto) repulisti (solo sotto il cfo ci sono 16 tra dirigenti e quadri, 16).
Cairo sicuramente non taglierà la forza lavoro organica ai suoi progetti, ossia i giornalisti.
Semmai li spremerà al massimo come fa con le sue redazioni, magari taglierà incentivi e benefit ma per lui i giornalisti sono vitali.
Certo i 39-dicasi-39 giornalisti di Oggi che ormai vende pochissimo come ha denunciato Cairo avranno da rimboccarsi le maniche.
Lui, Cairo con 39 giornalisti fa almeno 4-5 prodotti editoriali.
Un altro grande tema è la gestione dei quotidiani.
Cairo ha sempre sognato, almeno dal 2003, il quotidiano popolare.
Ma in Italia è un prodotto che non tira perché manca un direttore in tale senso.
Potrebbe esserlo Enrico Mentana ma un quotidiano nuovo oggi costa troppo.
Cairo non ha mai fatto multimedialità. Aveva lanciato negli anni della New Economy il portale Il Trovatore ma è stato un flop (come le sue Pagine gialle).
Sviluppare questo business per lui non sarà facile tanto più che Repubblica è avanti di parecchio nello sviluppo 2.0.
Dovrà affidarsi a qualche esperto del settore e per lui potrebbe essere una novità assoluta.
Cairo non conosce l’estero. I suoi prodotti sono italianissimi. Mentre c’è da gestire al meglio e rilanciare la Spagna aprendo al bacino del Sud America.
Anche in questo caso avrebbe bisogno di un manager di compravata esperienza. O di un partner strategico.
Che gli possa dare una mano anche per la crescita dell’area Sport (eventi sportivi e manifestazioni).
Qua è in pole il gruppo Dalian Wanda che sta comprando l’impossibile (Paramount l’ultima preda dopo il circuito cinematografico e Infront). Sarebbe una alleanza perfetta.
In definitva: Cairo è bravo a fare il suo mestiere, ha i numeri dalla sua parte, ci capisce e ha fiuto per gli affari.
Dovrà solo delegare compiti e impegni. E per lui questa sarà una svolta epocale.
Ma ce la può fare perché ha dalla sua parte il primo istituto di credito del Paese, Intesa Sanpaolo, la vera banca di sistema italiana.
Soldi non ne mancheranno. Partner finanziari li potrà portare Gaetano Micciché, l’uomo che ha inventato questa opas e ha vinto la battaglia contro Mediobanca.
Con alle spalle il ceo di Intesa, Carlo Messina, che voleva tutelare a ogni costo il suo credito, enorme (162 milioni) nei confronti di Rcs. Ci sono riusciti, assieme.
Entriamo nel dettaglio e analizziamo ancora altri aspetti specifici delle due parti in causa nella sfida per Rcs.
Innanzitutto per fortuna la partita è durata alcuni mesi e non si prolungherà per tutta l’estate per cause legali e ricorsi inutili: i manager sono bloccati anche se gestiscono l’ordinario.
E anche i giornalisti spesso sono stoppati o limitati nel loro lavoro, questo almeno si dice ai piani alti di Rcs e del Corriere della Sera
 
BONOMI: il finanziere milanese, erede di una storica famiglia blasonata a alquanto ricca, proprio venerdì nel giorno della conclusione delle due offerte ha dimostrato che il suo interesse è ben altro: faceva conf call per la vendita di Stroili Oro quando le banche e gli intermediari stavano gestendo gli ultimi pacchetti di azioni.
Ha venduto la catena di gioiellerie e ha incassato 300 milioni. La cifra che pro-quota avrebbe dovuto spendere, largo circa, se avesse rilevato il controllo di Rcs tra spesa per opa e aumento di capitale proposto.
La sua è giustamente una visione da finanziere puro. I fondi di private equity sono concentrati solo su un target: l’IRR, il ritorno dell’investimento.
L’editoria non li garantisce come altri business. Da qua l’uscita immediata dopo la sconfitta, come vi abbiamo raccontato sabato su Milano Finanza.
E quindi, nonostante si sia schierato con i soci forti di Rcs e la principale merchant bank italiana, non ce l’ha fatta. Un motivo ci sarà…

CAIRO: l’editore cresciuto alla corte di Berlusconi ha fatto un bel balzo in avanti. Forse bello lungo. Ma ne aveva bisogno.
Perché i conti del suo gruppo sono solidi e non presentano “ostacoli”, ma la marginalità sta rallentando da alcuni anni. Segno che qualche cosa bisognava fare.
Del resto comprare (coi soldi di Telecom) La7 era un impegno gravoso: le tv richiedono investimenti abnormi per sostenere la concorrenza tanto più ora che oltre a Rai e Mediaset ci sono due colossi quali Sky e Discovery che stanno conquistando fette delle tv free generalista.
E che siano forti lo dimostrano i dati della raccolta pubblicitaria, nettamente più alti di quella di La7 che fa solo il 3% di share poco più.
Ecco il nodo vero di Cairo. Non poteva più stare da solo. Doveva aggregarsi, per rafforzare l’offerta editoriale del canale.
Ha comprato un mux per risparmiare 6 milioni all’anno di affitti delle frequenze, ha spazio libero da affittare, ma deve rafforzare la sua presa sulla tv.
Un vecchio adagio del mondo televisivo racconta che per avere successo in questo mercato ci vogliono almeno 3 canali free rilevanti (Rai ne ha 3, Mediaset ne ha 3, Sky ne ha 3, Discovery idem o anzi 4).
La7 è ferma a due, ma La7D fa lo 0,5% di share o poco più. Serve altro, servono contenuti nuovi, servono idee, servono volti noti.
Dal Corriere della Sera e dalla Gazzetta dello Sport ne possono arrivare.
Ecco perché Cairo ha fatto questo sforzo enorme.
E poi non dimenticate che a lui interessa la partita della raccolta pubbblicitaria.
Con la tv che fagocita il 61% degl investimenti totali (di questa fetta il 58% va a Mediaset e il 22% a Rai), la carta stampata è stritolata e all’angolo.
Fare economie di scala e fare massa non potrà che aiutare Cairo che è bravo ma ha periodici che dal 2008 perdono un botto di raccolta.
Lui come detto vende molto in edicola e quindi mitiga questo problema

SOLE24ORE: C’è poi un effetto indiretto di questa partita che segue la fusione (in arrivo nel 2017) della Itedi di Fca in Gruppo L’Espresso, tradotto Stampubblica.
Il mercato vuole concentrazioni. Ne arriveranno altre. E’ per questo che Bonomi indirettamente stava lavorando su Rcs.
Per arrivare a un merger con il Sole24Ore guidato da Gabriele Del Torchio, storico ex manager delle società di Bonomi e Investindustria.
Del Torchio è indipendente e valido. Ma ha un problema: il gruppo editoriale di Confindustria brucia cassa e lui deve drenare le perdite.
L’ideale sarebbe stata, come voleva Rocca di Assolombarda se avesse vinto Vacchi di Ima la corsa a Confindustria,
la fusione tra Rcs e Sole24Ore per unire Corsera e il quotidiano salmonato e avere la leadership assoluta nella comunità finanziaria, economica e politica italiana e rappresentare la vera alternativa a Stampubblica.
Ora il merger non si farà e Del Torchio dovrà tagliare costi e studiare un piano B.
Ps: per la cronaca e la memoria. A quotare in borsa il Sole24Ore era stata Mediobanca che probabilmente è vicina alla casa editrice e come azionista di Rcs magari avrebbe visto di buon grado la fusione.
Dal mio punto di vista sarebbe stato un bel progetto editoriale.
 
Immedesimatevi nel padre che vede il figlio dal vetro ....e poi provate a pensare a quale sarebbe la Vs. reazione.


PARIGI – Secondo alcune recenti indiscrezioni, dopo l‘attentato al Bataclan, il 13 novembre 2015, il governo francese avrebbe tentato di insabbiare le orribili notizie dei media sulle torture inferte dai terroristi Isis agli ostaggi.
Un investigatore ha riferito alla commissione del governo che i poliziotti, giunti quella notte sul luogo dell’attentato, vomitarono poco dopo aver visto le vittime torturate dentro al locale.
Affermarono che alcuni uomini erano stati castrati, con i genitali infilati in bocca, e donne accoltellate al ventre e alle parti intime.

Sembrerebbe che proprio le torture, invece, siano il motivo per cui alcuni corpi non sono stati restituiti alle famiglie delle vittime, in quanto impresentabili, come riporta il quotidiano HeatStreet.

Il presidente della commissione, Georges Fenech, nel corso dell’indagine ha ricevuto la drammatica lettera di un padre: una volta giunto all’obitorio per riconoscere il corpo del figlio,
gli venne detto che il lato destro del volto era stato totalmente asportato. L’occhio destro era stato cavato, i genitali mutilati e infilati nella bocca.

“Una volta arrivato all’istituto medico-legale di Parigi, i medici mi dissero (e che shock fu per me in quel momento) che i suoi testicoli gli erano stati tagliati e messi in bocca, e che era stato sbudellato. Quando lo vidi dietro al vetro con me c’era uno psicologo, mio figlio era steso sul tavolo, aveva un lenzuolo bianco fino al collo. Lo psicologo mi disse che l’unica parte presentabile del corpo era quella sinistra. Scoprii che non aveva più l’occhio destro e che gli era stata asportata una parte del viso, dove era rimasto un grande ematoma”.
 
NIZZA – Svanite le speranze, sale a cinque il bilancio delle vittime italiane dell‘attentato di Nizza.

Nella notte è stato formalizzato il riconoscimento di Carla Gaveglio, Maria Grazia Ascoli, Gianna Muset e Angelo D’Agostino, che vanno ad aggiungersi a Mario Casati, identificato lunedì.
Resta disperso solo l’italo-americano Nicolas Leslie.

Angelo D’Agostino (71 anni) e Gianna Muset (68 anni), di Voghera (Pavia), erano amici ed erano insieme sulla Promenade des Anglais per assistere ai fuochi d’artificio del 14 luglio.
Mario Casati
era un novantenne residente a Milano ma originario della Brianza e si trovava a Nizza con Maria Grazia Ascoli, 79 anni.

Carla Gaveglio, 48 anni, era di Piasco (Cuneo). Il marito, Pietro Masnardi, e la figlia sono ricoverati all’ospedale Pasteur.

Resta ancora disperso il ventenne italo-americano Nicolas Leslie, che si trovava in Francia nell’ambito di un programma di scambio universitario.

E’ invece ricoverato in rianimazione Andrea Avagnina, 53 anni, di San Michele Mondovì (Cuneo).
Ritrovata viva anche sua moglie Marinella Ravotti, infermiera di 55 anni, data inizialmente per dispersa.
Ora è in coma farmacologico ma non in pericolo di vita. Aveva il volto tumefatto ed è stata riconosciuta grazie agli anelli che aveva al dito.
 
ROMA – Cinque euro per un selfie col centurione il quale, non pago, spesso allunga anche le mani sulle turiste.
Succede a Roma, da quando il provvedimento del commissario Tronca che vietava a queste figure di fare i loro affari in centro è scaduto il 30 giugno scorso.

Il sindaco Raggi deve rinnovarlo ma nel frattempo i centurioni “lavorano” indisturbati.
Peccato che alcune foto pubblicate da Leggo mostrino come spesso si facciano audaci con le giovani turiste: allungando le mani, cingendo la vita, pretendendo baci e abbracci.

E guadagnano fino a 12mila euro al mese, rigorosamente in nero.
Una leggenda dell’illecito a Roma: tollerata da decenni, da tutti i sindaci del recente passato, tanto da farsi potente lobby. E una delle migliore cartoline del degrado della capitale.

I centurioni conquistano i turisti approcciandoli in modo simpatico. Qualche battuta, una foto rigorosamente in cambio di una mancia.
Una mancia che però, che se è pari o meno di 5 euro, li fa scaldare. Così chiedono di più, a volte passano alle minacce, come è successo a due turiste inglesi qualche mese fa.
I vigili chiudono un occhio perché, incredibile ma vero, anche se si tratta di un illecito non c’è una norma specifica che vieta questo “lavoro”.
 

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