"Ci sono quattro alternative, che possono anche naturalmente mischiarsi e sovrapporsi tra loro.
La prima via è quella dell’austerità volontaria. Ci sia l’euro o meno, le finanze pubbliche nazionali vanno rimesse in linea secondo il principio della più bassa spesa socialmente efficiente compatibile con un fisco più leggero, favorevole alla crescita. La via seguita dalla Polonia fuori dall’euro, dai Paesi baltici Estonia Lituania Lettonia. Occorre una forte e motivata leadership politica, per reggere alla protesta che si scatena prima che i benefici della maggior crescita si manifestino.
La seconda è quella dell’austerità imposta. Fino a questo momento, quella imposta da Bruxelles e Berlino non si mostra capace di consensi. Ma poiché se la Grecia esce dall’euro l’uscita di altri eurodeboli non è questione di giorni ma di mesi, allora bisogna stipulare un nuovo euroaccordo capace di unire il vincolo esterno a un meccanismo cooperativo tra eurodeboli ed euroforti. Tradotto: se esce l’Italia la Germania ci perde troppo, e bisogna negoziare su questa base.
La terza è la via del ripudio dei debiti. Chi volesse seguirla, deve sapere che la botta per redditi e patrimoni è bestiale. Può essere obiettivo di forze antisistema che mirino ad addossarne la colpa a chi ha governato prima, per tagliargli sotto i piedi ogni possibilità di consensi futuri. Ma esporrebbe comunque ciò che resterebbe dell’euroarea a fughe di capitali e attacchi speculativi che non risparmierebbero la Francia, per dirne una.
La quarta via è quella dell’impotenza. Nuovi ribaltamenti di governi oltre a quelli già avvenuto in due terzi d’Europa, nuovi rinviii di decisioni invece indilazionabili.
La via preferita da chi qui scrive per l’Italia è la prima. Ci sia l’euro, oppure no. La nostra spesa pubblica e il nostro fisco rendono la loro difesa improponibile, da un punto di vista logico. Ma sinora, nella stanza dei bottoni italiana o meglio in quel che ne resta,destra sinistra e tecnici l’hanno sempre pensata diversamente."