Onde di Kondratief (1 Viewer)

Soraya2

Forumer attivo
Sig. Ernesto ha scritto:
Modellizzare dei cicli economici in assenza di contemporenaità rischia di trasformare teorie concettualmente valide se rapportate allo specifico contesto in esercizi di precognizione alla Nostradamus.

Ed é questo che le rende così affascinanti ma così terribilmente inutili.

Opnione personale ovviamente.

Saluti,

Sig.E
sig ernesto premetto che non ho posizioni ribassiste in essere (se non un minifib ) per cui credo di avere la giusta serenita :-D

x ribadire che questo non è sicuramente 1 argomento

x trading ... ma x delle serie riflessioni ...

<si!!!!




lei investirebbe a questi prezzi accontentandosi degli y%?

<non x speculare ci mancherebbe <.

anche se non esiste nulla oggettivamente parlando x stabilirlo
solo l'unica legge universale < dom/off< difficile da prevedere




buona serata
 

Carlo Tonini

Forumer attivo
io l'ho trovato molto interessante per una riflessione e mi pare
che non si scosti molto dalla realtà

al di la di essere in 3 o 4, cinicamente non mi interessa
ma le fasi cicliche,....... pare esistano veramente ..........

bye, ;)
 

alan1

Forumer storico
Carlo Tonini ha scritto:
io l'ho trovato molto interessante per una riflessione e mi pare
che non si scosti molto dalla realtà

al di la di essere in 3 o 4, cinicamente non mi interessa
ma le fasi cicliche,....... pare esistano veramente ..........

bye, ;)

Sul solito raccomandatissimo Pring trovi le principali scomposizioni cicliche, questa compresa.
 

Sig. Ernesto

Guest
La domanda che ognuno di voi dovrebbe porsi prima di dare eccessivo credito alle modellizzazioni cicliche é:

"E' possibile prevedere con sufficiente precisione gli effetti dell'innovazione, o più in generale, di elementi "perturbanti"?"

Il buon Kondratieff, nelle sue 4 stagioni, avrà previsto tutti gli avvenimenti innovativi che hanno radicalmente modificato la nostra economia? O si é limitato a scomporre temporalmente un fenomeno quantitativo\qualitativo come la crescita, basandosi sulle conoscenze disponibili all'epoca?

E questo ragionamento, nel caso fosse corretto, non sarebbe il caso di applicarlo in maniera estensiva a tutte le "fantascoperte" "datate" che ancora oggi vengono propinate come chissà quali eccezionali teorie?


Ricordate che le mulattiere sono divenute autostrade.

Saluti,


Sig.E
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
alcuni indizi dell'inverno prossimo venturo ( dalla solita usemlab):

Il dollaro nella lotta tra deflazione e inflazione

(12/11/02) Analogamente al percorso già seguito dal Giappone lo scenario peggiore che si starebbe profilando per l’economia USA è quello della deflazione. A nostro avviso è alquanto improbabile che il destino dell’economia americana possa seguire le orme nipponiche secondo le modalità sempre più chiacchierate e date quasi per scontate da diversi analisti tra cui Robert Prechter, autore del libro “Conquer the Crash”.

Ci sono infatti delle differenze sostanziali tra i due paesi che aprono per gli USA un percorso differente e sicuramente peggiore. Due ottimi articoli usciti di recente ci aiutano a illustrare meglio le prospettive del caso deflazionistico. Il primo, di autore anonimo, intitolato “Inflation vs Deflation” e il secondo, ad opera di Jim Willie, dal titolo “The vicious circle behind the US Dollar decline” .

A livello macroeconomico le differenze principali che caratterizzano l’economia nipponica da quella americana possono essere riassunte come segue:

1) il Giappone gode di un tasso di risparmio tra i più elevati al mondo mentre gli USA uno tra i più bassi;
2) grazie al fattore di cui al punto 1) il debito pubblico giapponese è finanziato quasi esclusivamente con capitali interni laddove quello americano è finanziato in buona parte da capitali stranieri;
3) il Giappone gode di un surplus costante della bilancia commerciale, mentre l’America è sulla soglia di un deficit del 5% del GDP;
4) il Giappone non ha un debito con l’estero di rilevanti dimensioni mentre gli USA dipendono strettamente dall’afflusso di capitali stranieri;
5) i consumi della società nipponica sono basati più sull’utilizzo del contante che del credito, come invece avviene negli USA.

E’ grazie alla combinazione di questi cinque elementi di differenziazione che l’economia giapponese, terminato l’impatto dello stimolo monetario, è caduta nella trappola deflazionistica della liquidità.

Il credito abbondante ancora offerto dalla politica monetaria nipponica non riesce più a sollecitare i consumi. La liquidità, invece, continua a ristagnare nella banche ed ha alimentato nel corso degli anni l’esplosione del debito pubblico e degli investimenti improduttivi che hanno ingessato il sistema bancario e che pesano sui bilanci dell’intero sistema economico. I debiti sono stati ben assorbiti, finora, dall’elevato tasso di risparmio e da iniezioni di liquidità sempre più massicce. La situazione non ha ancora trovato soluzione e gli sviluppi futuri, ancora molto incerti, a questo punto sono legati alle sorti dell’economia americana e di quella mondiale.

Negli USA la situazione è diversa: la politica monetaria espansiva ha alimentato e continua ad alimentare facilmente il credito ad ogni livello macroeconomico, fino al punto che il credito stesso, ancora più della moneta cartacea circolante o degli aggregati monetari primari, rappresenta oramai la moneta principale utilizzata dal sistema.

A differenza del caso giapponese, negli USA il credito ha stimolato in maniera oltremodo eccessiva i debiti personali e l’aumento del debito verso l’estero. Universalmente accettato da un sistema monetario mondiale basato sul dollaro e non più su un asset reale, il credito creato in America viene oramai confuso con la ricchezza reale secondo un circolo vizioso e illusorio: tassi di interesse più bassi, più credito disponibile, più capacità di spesa, più ricchezza reale.

La nostra fonte quotidiana di buonumore economico fornita nella newsletter del Daily Reckoning riassume questo semplicistico e pericoloso ragionamento in una proposizione dal sapore cartesiano “spendo quindi sono… ricco”. Tuttavia, come scrivemmo tempo fa, i consumi non stimolati da risparmio e da investimenti produttivi non creano ricchezza, la distruggono. Ed è quello che sta avvenendo negli USA sotto lo stimolo monetario, mettendo a repentaglio non solo la ricchezza di una nazione intera ma, per il ruolo che gli USA hanno nel panorama globale, anche la stabilità economica e finanziaria del mondo intero.

Dal 1995 gli stranieri hanno aumentato il possesso di asset cartacei americani. Essi detengono oltre un terzo del debito pubblico, buona parte del debito corporate e circa il 15% delle azioni USA. Anche il debito delle agenzie governative Fannie Mae e Freddie Mac, che finanziano il mercato immobiliare americano, trova negli stranieri ottimi acquirenti. Il possesso estero dei titoli emessi da queste istituzioni è salito dal 5.7% del 1994 al 14.4% del 2001. Indirettamente buona parte della housing bubble americana è finanziata quindi dal resto del mondo.

L’abnorme espansione del credito americano basata sull’afflusso di capitali stranieri ha creato una situazione di fragili e delicati equilibri. La dipendenza da quei capitali, di cruciale importanza per sostenere l’economia, pone il rischio paese americano in una posizione di estrema vulnerabilità, a causa della quale gli USA non avranno il potere di schiacciare tutta la curva dei tassi di interesse verso lo zero come invece è avvenuto in Giappone.

Prima o poi l’appetito degli stranieri verso i debiti americani, non compensato da rendimenti adeguati, diminuirà. Forse, come dimostrerebbe la debolezza del dollaro degli ultimi mesi, il processo è già in corso anche se il fenomeno non è confermato e ravvisabile nei tassi di lungo periodo. A nostro avviso, infatti, questi ultimi sono ancora guidati dai meccanismi speculativi resi possibili dai bassissimi tassi di interesse a breve termine.

Qualora l’appetito degli stranieri dovesse trasformarsi in avversione, la pressione sul dollaro aumenterà innescando tutta una serie di instabilità finanziarie suscettibili di avere notevoli ripercussioni sui tassi di interesse a lungo termine e di conseguenza sulle altre variabili economiche e finanziarie.

L’esito della politica monetaria americana, finora sulle orme di quella giapponese, va incontro a un pericolo piuttosto serio: il prolungarsi della stagnazione economica rischierebbe di deviare in maniera repentina il corso deflazionistico stile Giappone seguito dagli USA verso un corso inflazionistico stile Argentina.

Riprendiamo gli elementi inflazionistici e deflazionistici presenti nel sistema americano:

Elementi inflazionistici
Stimolo e deficit fiscale
Stimolo monetario
Discesa del dollaro

Elementi deflazionistici
Fallimenti
Rallentamento / recessione economica
Discesa asset azionari

Tra questi sei elementi c’è ne uno che non ricalca l’esperienza giapponese ed è l’andamento della valuta.
Lo yen, dopo l’esplosione della bubble, si rafforzò ulteriormente mentre il dollaro, dopo avere completato nel marzo 2002 un pattern rialzista, ha ceduto ed è sulla strada di una ulteriore svalutazione. La differenza di comportamento è data proprio dalle diverse caratteristiche evidenziate prima: il Giappone non ha avuto bisogno del credito estero per stimolare l’economia e ha basato la politica monetaria espansiva sulle proprie risorse interne.

Il fallimento degli stimoli monetari, tipico di ogni post-bubble, ha portato in Giappone alla spirale deflattiva e a un lungo periodo di stagnazione economica. Il fallimento degli stimoli americani ,che finora ha seguito lo stesso modello, potrebbe portare nel prossimo futuro, proprio a causa della dipendenza dai capitali stranieri, a un percorso molto diverso, che nel migliore dei casi sarà di stagnazione economica ma che difficilmente sarà caratterizzato da una spirale deflattiva.

L’elevato ammontare di debiti personali e nei confronti dell’estero preclude agli USA di percorrere questo sentiero. La debolezza del dollaro sta assumendo delle connotazioni di instabilità e questa instabilità coinvolge le economie dell’intero pianeta. E’ la peggiore conseguenza riconducibile all’errore di cui sopra: confondere la carta per riserva di valore e l’aumento del credito per creazione di ricchezza. Entrambe queste errate percezioni rischiano di far crollare il dollaro e l’economia mondiale, avviando un processo di risanamento degli squilibri macroeconomici senza dubbio traumatico.

Il dissolversi di quelle percezioni potrebbe portare a una massiccia distruzione di valore e di ricchezza e, qualora il processo sfuggisse al controllo delle autorità monetarie e governative, potrebbe avviare una reazione a catena configurabile in un credit crunch piuttosto esteso, assimilabile appunto al caso sperimentato recentemente dall’Argentina.

I primi segnali di credit crunch si sono già avuti nel settore delle obbligazioni corporate i cui tassi, divergenti da quelli dei titoli di stato, hanno dato luogo a spread molto elevati. Ma il credit crunch è suscettibile di estendersi, interessando sia i crediti personali per sostenere i consumi che i crediti forniti dagli stranieri per sostenere la bubble economy nella sua interezza.

Il risultato di questo scenario non è sicuramente la deflazione nipponica. Con maggiore probabilità potrebbe essere una crisi finanziaria di vasta portata, tra le più violente dell’ultimo secolo, per rimediare alla quale si rischia piuttosto il pericolo di iperinflazione. Gli sviluppi dipenderanno dall’interazione con gli altri sistemi economici mondiali ai quali gli USA sono legati dallo stesso rapporto che unisce, in maniera simbiotica e vitale, le sorti di una banca con quelle del suo più grosso debitore.

Lo staff
 

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