Psicologia e mercati pacco doppiopacco&contropaccotto..sig.e sig:il Bund-vm18 (1 Viewer)

aldiladellaldiqua

THE REAL MATRIX is ECONOMIC
ditropan ha scritto:
aldiladellaldiqua ha scritto:
caio ditropan,

in piùun pronto contro termine rende circa l'1.9% cioè circa l'1.7% bho

:(


io non ho più parole .... toccato oggi 120.01 ...... lo 0.01 (ovvero 1 tick) oltre i massimi storici assoluti del 16/06/2003 .... sò depresso !!! :( :( :( :cry: :rolleyes:

(per ora non aumento la posta, perchè i pazzi non sono mai abbastanza pericolosi)

non ho mai partecipato a nessun incontro, ma se organizzate una mangiata vengo volentieri, per il funerale del bund tutto a base di mare :-D
 

f4f

翠鸟科
aldiladellaldiqua ha scritto:
agli attauali valori l'eurex-bund dovrebbe rendere il 3.33% cioè il 2.6% netto di tasse, lo 0.0 netto di inflazione :eek:

molto interessante
come hai fatto il calcolo del 3.33% ?

grazie
 

aldiladellaldiqua

THE REAL MATRIX is ECONOMIC
f4f ha scritto:
aldiladellaldiqua ha scritto:
agli attauali valori l'eurex-bund dovrebbe rendere il 3.33% cioè il 2.6% netto di tasse, lo 0.0 netto di inflazione :eek:

molto interessante
come hai fatto il calcolo del 3.33% ?

grazie

avrei fatto così,
a scadenza prendo 100+60 di interessi fanno 160 in tutto

ora 160 su 120 sono il 33.3% in 10 anni, quindi in 1 anno il 3.33%
 

f4f

翠鸟科
aldiladellaldiqua ha scritto:
f4f ha scritto:
aldiladellaldiqua ha scritto:
agli attauali valori l'eurex-bund dovrebbe rendere il 3.33% cioè il 2.6% netto di tasse, lo 0.0 netto di inflazione :eek:

molto interessante
come hai fatto il calcolo del 3.33% ?

grazie

avrei fatto così,
a scadenza prendo 100+60 di interessi fanno 160 in tutto

ora 160 su 120 sono il 33.3% in 10 anni, quindi in 1 anno il 3.33%


grazie
 

ditropan

Forumer storico
... dalla rivista soldi sette ....



Reddito fisso


INVESTIMENTI IN EURO


· Il periodo natalizio ha fatto bene all'economia statunitense, durante il quale i consumatori americani hanno continuato a spendere, sostenendo così la loro economia. Al di là dell'oceano, le attese per il futuro sono quindi positive – anche la fiducia dei consumatori ha registrato un incremento, balzando a dicembre a 102,3 da 92,6 del mese precedente – e i tassi, in linea con l’operato fino ad oggi seguito dalla Fed, dovrebbero continuare a salire. Che i tassi Usa saliranno, lo ha fatto intendere anche la stessa Fed, quando ha dichiarato che il loro attuale livello è inferiore a quello ritenuto necessario per mantenere l'inflazione americana – minacciata dal caro petrolio e dalla debolezza del dollaro – sotto controllo.

· Se le cose vanno bene nel Nuovo continente, l'economia del Vecchio continua invece a vivacchiare, penalizzata anche da un euro forte che rende i nostri prodotti meno competitivi di quelli denominati in dollari. In Germania – la principale economia dell'area euro – il numero di disoccupati è inoltre cresciuto più del previsto, alimentando i timori che ciò possa riflettersi in minori consumi e frenare la già debole crescita economica. I tassi, riflettendo i timori del mercato, hanno quindi chiuso la settimana su livelli inferiori di quelli rilevati a fine dicembre.

· Se l'economia dell'area euro non brilla, le cose, nel giro di qualche mese, dovrebbero però migliorare e quantomeno i tassi a lunga scadenza, trainati anche dalla correlazione esistente con quelli statunitensi, riprendere a salire. Una nota di ottimismo, fra i diversi dati poco incoraggianti, giunge, per esempio, dagli industriali europei: l'indice Pmi, a dicembre è salito a quota 51,4 da 50,4 del mese precedente.

Le nostre aspettative sono dunque per una risalita dei tassi su entrambe le sponde dell’oceano, al più ci aspettiamo una stabilità dei tassi a breve europei. Viste le aspettative e l’attuale livello dei tassi euro, vi consigliamo di impiegare buona parte dei vostri soldi in titoli a medio termine e di evitare i titoli a lunga scadenza. Destinate comunque qualcosina all'investimento in euro a breve, per dare equilibrio al vostro portafoglio. Anche per l’investimento in dollari privilegiate le medie scadenze.

· Dopo la pausa natalizia, troviamo il biglietto verde a quota 1,32 dollari per un euro (1,36 dollari per un euro il cambio di fine dicembre). La valuta americana ha beneficiato del dato positivo – migliore delle attese – dell'indice Ism manifatturiero, che, salito a quota 58,6 contro 57,8 di novembre, lascia sperare in un miglioramento delle condizioni dell'industria Usa e dei buoni dati occupazionali: invariata al 5,4% la disoccupazione a dicembre. Per contro, l'euro ha sofferto per i dati occupazionali tedeschi, tutt'altro che brillanti.

· L’euro resta un’ottima scelta per investire i propri risparmi, ma l'atteso apprezzamento del biglietto verde sulla moneta unica ci porta ancora una volta a consigliarvi di acquistare obbligazioni denominate in dollari per approfittare del loro recupero. In base all'attuale quotazione, il dollaro è infatti penalizzato nei confronti dell'euro e chi dovesse acquistare obbligazioni in valuta americana, nel medio periodo dovrebbe veder crescere il rendimento complessivo del proprio investimento. Non escludiamo però che, a breve, il dollaro possa ancora soffrire: gli speculatori, maggiormente propensi al rischio, possono quindi attendere prima di acquistare, nella speranza di realizzare maggiori guadagni. Vi ricordiamo che investire in una valuta diversa dalla propria – oggi, domani o dopodomani – comporta sempre un grado di rischio: siatene consci.

· Se la valuta americana, dopo i ribassi degli ultimi mesi, è diventata più appetibile, non meno interessanti sono il dollaro australiano, canadese e la corona svedese – questa più che altro per ragioni di diversificazione. Nel giro di qualche anno dovrebbero apprezzarsi. Per approfittarne, investite qualcosa in titoli denominati in queste valute. Oggi ci vogliono 1,73 dollari australiani, 1,62 dollari canadesi e 9,03 corone svedesi per acquistare un euro, contro 1,76 dollari australiani, 1,67 dollari canadesi e 9,03 corone di fine dicembre.

· Interessanti anche le obbligazioni in sterline inglesi a tasso variabile. L'interesse è, in questo caso, per i tassi d'oltremanica nettamente superiori a quelli dell'area euro.
 

aldiladellaldiqua

THE REAL MATRIX is ECONOMIC
f4f ha scritto:
aldiladellaldiqua ha scritto:
f4f ha scritto:
aldiladellaldiqua ha scritto:
agli attauali valori l'eurex-bund dovrebbe rendere il 3.33% cioè il 2.6% netto di tasse, lo 0.0 netto di inflazione :eek:

molto interessante
come hai fatto il calcolo del 3.33% ?

grazie

avrei fatto così,
a scadenza prendo 100+60 di interessi fanno 160 in tutto

ora 160 su 120 sono il 33.3% in 10 anni, quindi in 1 anno il 3.33%


grazie

di niente :)
 

ditropan

Forumer storico
IL RISVEGLIO DELLE MATERIE PRIME



Fiammata del petrolio e forte domanda di metalli non preziosi: le materie prime sono state al centro dell’attualità per tutto il 2004.



Leggi di mercato, speculazione e prezzi


· Anche se sul lungo periodo i prezzi reali (senza l’inflazione) delle materie prime sono scesi fortemente – grazie ai guadagni di produttività e all’intensificarsi della concorrenza – oggi assistiamo a forti salite dei prezzi in questo settore. Tre fattori sono alla base di questo movimento: un disequilibrio strutturale, una componente ciclica e una speculativa.

· A livello strutturale, il persistente calo dei prezzi durante gli anni ’90 e l’euforia per la new economy e per le nuove tecnologie hanno provocato un disinteresse per le materie prime, ritenute un settore chiave della “vecchia” economia. E in un momento in cui il greggio si scambiava a meno di 20 dollari il barile, le imprese non erano certo invogliate a investire in questo campo. Di conseguenza, le loro capacità produttive si sono ridotte, tanto che oggi sono diventate insufficienti. Senza contare che, anche se le miniere sono dislocate un po’ in tutto il mondo, la produzione si concentra in un numero limitato di Paesi dove i giacimenti sono più facilmente sfruttabili. Il Cile, ad esempio, assicura da solo il 35% della produzione mondiale di rame, mentre nel caso del petrolio, non è tanto il numero dei Paesi produttori a essere limitato, quanto quello degli esportatori. Una concentrazione geografica che rende molto vulnerabile il settore delle materie prime. Basti pensare al forte impatto delle tensioni in Medio Oriente sui mercati petroliferi.

· Il consumo globale di materie prime dipende in primo luogo dall’andamento dell’economia mondiale. Oggi, con la sola eccezione dell’Europa, c’è una netta ripresa a livello mondiale e per lo più i Paesi con la crescita più pronunciata, come la Cina, sono quelli che hanno anche più bisogno di materie prime. Basti pensare che il consumo di petrolio per unità di produzione è nettamente più elevato in Cina, piuttosto che negli Stati Uniti o in Germania.

· In un momento in cui i rendimenti obbligazionari sono bassi, i prezzi immobiliari alle stelle e i mercati borsistici in preda all’incertezza, non sorprendono i movimenti speculativi sui mercati delle materie prime. Il fatto che i gestori dei fondi, in particolare, impieghino una parte dei loro investimenti nelle materie prime, crea una domanda “anomala” che aumenta anche quando i prezzi salgono, perché si specula proprio sul proseguimento della loro crescita. E le esigue scorte alla Borsa dei metalli di Londra – la più importante al mondo – spingono a tentare questo tipo di sfida. Solo per fare un esempio, il rame quotidianamente messo in vendita è ora solo un settimo rispetto a quello di inizio 2004.



La forte domanda cinese

La domanda di materie prime, depressa dalla recessione mondiale del 2001, ha cominciato a aumentare con la ripresa iniziata nel 2002-2003. E la forte crescita della domanda asiatica, particolarmente quella cinese, ha concorso a rendere molto più dinamici i mercati internazionali.

· Se infatti un tempo la Cina era autosufficiente per le materie prime (nel suo sottosuolo c’è circa il 12% delle riserve minerali del pianeta), oggi è diventata il secondo importatore al mondo, alle spalle degli Usa. Questo Paese, che ha sofferto poco della crisi asiatica del 1997-98, ha attirato molte imprese estere alla ricerca di manodopera a basso costo. E grazie anche all’assenza di rischi monetari (lo yuan cinese è ancorato al dollaro), dal 2000 gli investimenti esteri in Cina hanno realizzato una crescita a due cifre.

· Ma per accelerare lo sviluppo economico del Paese si è dovuto investire molto nelle infrastrutture. Tra il 1997 e il 2002 sono stati creati, ad esempio, oltre 500.000 km di strade, mentre in vent’anni i bisogni energetici cinesi sono raddoppiati. Il che ovviamente ha fatto accelerare la domanda di materie prime.

· Il caso del minerale di ferro è emblematico. Pur essendo il terzo produttore al mondo di questo metallo, la Cina assorbe anche il 15% delle esportazioni mondiali di ferro, mentre è il principale importatore di cemento (55% della produzione mondiale), carbone (40%), acciaio (25%), nickel (25%) e alluminio (14%). In breve, nel 2003 la Cina ha contribuito per quasi il 60% alla crescita della domanda mondiale di metalli.



Il petrolio, un caso a parte

· Il suo posto chiave nelle nostre economie conferisce al petrolio una straordinaria valenza strategica. Le riserve sono geograficamente concentrate (2/3 in Medio Oriente) e l’Opec, il cartello dei Paesi esportatori, limita la concorrenza. In più, diversamente da quelle di ferro o alluminio, le riserve di petrolio sono limitate.

· Il 2004 è stato un’annata record per i mercati petroliferi e i prezzi sono volati alle stelle. La domanda di petrolio è aumentata infatti di 27 milioni di barili al giorno, contro la crescita di appena 1 milione di barili al giorno anticipata dai produttori. Ciò ha obbligato l’industria petrolifera a produrre a oltre il 99% della sua capacità, condizioni in cui bastano le difficoltà di un produttore a minacciare l’approvvigionamento mondiale.

· I mercati petroliferi, oltre a scontare la penuria di investimenti del decennio passato, sono stati turbati dalla guerra in Iraq, dalle tensioni in Medio oriente, dai conflitti etnici in Nigeria, dagli uragani nel Golfo del Messico e dal caso Yukos in Russia. Elementi che hanno finito per rafforzare anche la speculazione.



Più tranquillità all’orizzonte, almeno a breve

· Anche se l’offerta dovrebbe gradualmente adeguarsi alla domanda e i prezzi molto elevati potrebbero lentamente modificare l’andamento, non è detto che in futuro non si ripeta lo scenario attuale.

· La mondializzazione e l’accelerazione degli scambi commerciali, infatti, fa sì che i cicli economici siano sempre più sincronizzati (i momenti di crisi o di sviluppo sono più o meno contemporanei in tutto il mondo), mentre l’emergere di nuovi attori di peso può influire fortemente sulla domanda mondiale, con conseguenze molto pronunciate in un settore come quello delle materie prime, dove l’offerta è poco elastica. Quindi, anche se l’attuale fiammata dei prezzi sembra destinata a finire, questi mercati resteranno preda di alti e bassi.
 

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