News intervista a favuzzi
Exprivia/ Da Molfetta al listino
Scritto il 4 Febbraio, 2010 in
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Da solo, Domenico Favuzzi di
Exprivia riesce a dimostrare due cose: che l’Italia è in grado di produrre tecnologia di alto livello; e che al Sud possono nascere imprese competitive a livello mondiale. Imprese, come la sua, capaci di generare un Ebitda di 15 milioni su ricavi 2008 di 95,9, con una crescita del 50,84% sul margine operativo lordo del 2008. E di quotarsi: Exprivia, specializzata in tecnologie software e servizi di Information technology per la Pubblica amministrazione, il mercato bancario, sanitario, amministrativo, è la terza azienda di informatica approdata al listino italiano. Ormai una capogruppo che controlla otto aziende.
Vi siete quotati in un modo atipico. Anzi, vi siete ritrovati sul listino…
Sì, acquisendo una società già quotata, la AiSoftware, che dal 2000 era sul Nuovo mercato di Borsa Italiana. Dal 2007 invece siamo sullo Star, il segmento Mta ad alti requisiti.
Approdare al mercato ha cambiato il vostro modus operandi?
Eravamo già organizzati in modo tale da performare bene. Certo, quando sei al vaglio del mercato a volte sei costretto a marciare più forte.
E voi, la quinta, quando l’avete ingranata?
Il potenziale l’abbiamo sempre avuto, anche prima che fosse creata Exprivia, quando la società ancora si chiamava Abaco information service, che poi è confluita con AiSoftware nella nuova entità, Exprivia appunto.
Cioè?
Giovani laureati molto in gamba, provenienti dal Politecnico di Bari o da altre università di primario livello. E software specialistici per il mercato professionale.
Ci fa qualche esempio?
Realizziamo programmi che consentono lo scambio dei dati tra soggetti della Pubblica amministrazione; o che gestiscono il riconoscimento vocale in radiologia, solo per fare un paio di esempi. Al nostro attivo abbiamo avuto sempre grossi clienti, aziende del calibro di Olivetti, Ibm, Poste italiane e Terna.
C’è un settore privilegiato?
L’ambizione è diventare referenti per l’ambito sanitario: a questo scopo abbiamo acquisito, nel maggio 2009, il ramo d’azienda di una società, Aurora, presente sul mercato dal 1995 e con al suo attivo un parco clienti di trenta aziende ospedaliere e sanitarie in tutta Italia.
La dimostrazione che al Sud si può riuscire a eccellere. Ma lei il progetto lo aveva chiaro sin dall’inizio?
Io ero un laureato in informatica delle Puglie che si ritrovava a scegliere: o migrare in qualche azienda del Centro-Nord, oppure attivare qualche piccolo progetto nella mia regione.
Tanto piccolo non è stato, visti i quasi 100 milioni di euro di ricavi…
Non pensavo che avrei fatto l’imprenditore. All’inizio eravamo io e un socio ingegnere del Politecnico di Bari, con due partner finanziatori alle spalle.
E ora la vostra sede di Molfetta controlla aziende in tutta Italia.
Sì, ne abbiamo rilevate otto, con business complementari o integrativi al nostro. E riusciamo a massimizzare i risultati grazie a soluzioni one to one, progettando per i nostri clienti o trovando soluzioni applicative su piattaforme di terzi, per esempio di Sap.
Avete anche partecipazioni in laboratori di ricerca e start up…
Nel nostro ambito la ricerca è diventata un tassello fondamentale: nel 2008 abbiamo speso circa 3,8 milioni di euro per questo. E tra le nostre acquisizioni c’è il 60% della scuola di formazione di Confindustria di Bari.
Ma i software li progetta anche lei?
Lo facevo, fino al 2001. Poi ho dovuto occuparmi della crescita aziendale. Ho solo spostato la complessità da un ambito all’altro!
Siete diventati un punto di riferimento nazionale. Ma all’estero come siete posizionati?
Iniziamo a espanderci. A fine 2009 abbiamo venduto dei software medicali in Messico, ora stiamo trattando col Brasile. L’obiettivo è di aprirci anche all’Europa.
Avete sempre avuto marginalità così alte?
No, fino al 2004, pur con prodotti ottimi, non riuscivamo a crescere di molto. Per una ragione semplice: il personale, dopo qualche anno con noi, se ne andava in gruppi più grandi.
E come avete risolto il problema?
Semplice: facendo entrare una parte di esso nell’azionariato.
I vostri risultati nell’ultimo triennio sono sorprendenti, soprattutto per quanto riguarda l’utile netto, cresciuto del 149%: come li spiega?
Sul piano della clientela siamo cresciuti molto nei settori medicale e della Pubblica amministrazione. Sul piano organizzativo i nostri asset sono un minore costo del lavoro, personale qualificato e con un basso turnover; infine, un modello di business a matrice che consente di ottimizzare le risorse.
L’informatica corre veloce: come si sta al passo?
Si formano i giovani. Dalla nostra nascita siamo passati attraverso evoluzioni come il passaggio da Dos a Windows, ai database relazionali, alle tecnologie richieste per il Millennium bug…
Ma l’assunto che l’Italia sia indietro nell’It è vero o è un luogo comune?
Le aziende italiane innovano e in questo sono bravissime. Il problema non è l’offerta, è la domanda di basso livello. Negli Stati Uniti alcuni ministeri, come quello della Difesa, hanno sempre espresso una richiesta di tecnologia di prima qualità. Qui non è la stessa cosa…
E sconfessate anche il luogo comune che al Sud non si trovi manodopera intellettuale qualificata…
Il Politecnico di Bari è un’università eccellente, collaboriamo anche con Roma Tor Vergata. E ogni tanto andiamo a pescare qualche giovane laureato anche al Nord, per esempio in Liguria.
Gestire 1.200 persone non è facile…
Vero, ma è anche un grosso stimolo avere collaboratori giovani, come i nostri. E ottimi manager. Ogni anno assumiamo oltre 100 persone.
Anche quest’anno lo farete?
Sì, anche quest’anno.
Acquisizioni seriali, un mercato azionario a cui riferire: come si rilassa, lei?
Come prima cosa ho smesso di fumare, tanto per cominciare. E sto facendo un corso di barca a vela.