Parto anche io da una riflessione di carattere filosofico suscitata da quel passo della Genesi.
La religione giudaica e poi cattolica fondata sul peccato originale, cioè la condanna al lavoro, duro e portatore di sofferenza, per avere i mezzi di sostentamento, come contrappasso per la conoscenza.
Penso che tale editto biblico sia figlio del suo tempo. Un tempo in cui l'uomo, passa da essere un cacciatore raccoglitore, nomade e riunito in piccole bande, a scoprire l'agricoltura e il commercio, incomincia a fondare le città e con esse scopre il principio di autorità che struttura il potere.
Così il lavoro diventa strumento di dominio e non estrinsecazione di capacità ed emancipazione, purtuttavia in quel tempo ritengo che tale impostazione fosse obbligata, poichè allora l'umanità era in una fase di sviluppo necessario.
Al contrario ora l'esigenza primaria è quella di una coesistenza ecologica con l'intero ambiente, con i vincoli, ormai messi a dura prova, imposti dal pianeta Terra.
Penso che una misura come il Reddito Universale, che libererebbe dalla necessità del lavoro, potrebbe contribuire ad abbassare una pressione antropica eccessiva perchè, nei grandi numeri, ridurrebbe le aspettative indotte dal sistema consumistico senza tuttavia reprimere la voglia di scalata sociale in quegli individui che ne sentirebbero l'esigenza. Rilancerebbe la componente di emancipazione e crescita personale, poichè eliminerebbe la componente di necessità per il sostentamento, sminuendo così il potenziale di ricatto, sul piano libertario ed economico, dell'offerta di lavoro. Praticamente se uno vuole che io lavori per lui mi deve convincere che valga la pena di farlo. Limiterebbe anche gli appetiti di accumulo del sistema capitalistico.
In poche parole sarebbe utile per rallentare uno sviluppo ormai insostenibile e magari reindirizzarlo verso valori che valgano veramente la pena di essere perseguiti.