Si E' VISSUTO ABBASTANZA QUANDO SI HA AVUTO IL TEMPO DI CONQUISTARE L'AMORE DELLE

Certo che quello stronzetto dell' sp500 poteva brekkare 1700 (dove lo shortavo) e poi sfracellarsi come sta facendo ora :rolleyes:
 
C'era una volta lo stake-holder value, e poi, dagli anni ottanta, è arrivato lo share-holder value. Con la prima espressione si sostiene che un'impresa ha più interessi da servire – gli azionisti, i dipendenti, i clienti, la comunità, eccetera -, con la seconda si sostiene che, se un'impresa serve solo gli interessi dei propri azionisti, ecco che serve gli interessi di tutti.
Gli azionisti – questa è l'assunzione base dello share-holder value – hanno come interesse la crescita stabile e per un periodo prolungato del prezzo delle azioni, e dunque è nel loro interesse che gli stake-holders siano soddisfatti. Perciò, soddisfacendo gli azionisti, si soddisfano tutti. In più, si ha una misura oggettiva del buon andamento dell'impresa, che è il prezzo delle azioni. Se l'ascesa stabile del prezzo delle azioni, che, si noti, è giudicata da terzi, ossia dai mercati finanziari, è la misura oggettiva della buona conduzione d'impresa, allora l'incentivo dei dirigenti sarà quello di lucrare sul buon andamento delle azioni. In conclusione, allineando gli interessi dei dirigenti a quello degli azionisti, si saranno allineati anche gli interessi degli altri stake-holder, il tutto sotto il riflettore dei prezzi delle azioni, che è un giudizio di terzi. Messo in questi termini, il ragionamento dello share-holder value sembra privo di punti oscuri. Così però non è.
 
Immaginiamo, infatti, che il prezzo dell'azione non si formi sulle aspettative di lungo termine. Immaginiamo, in altre parole, che i buoni andamenti di breve termine non siano spalmati nel tempo, ma considerati duraturi, ossia che i mercati finanziari siano “miopi”, oppure “entusiasti”, invece che “scettici”. Se un'impresa “pompa” con la leva – sotto certe condizioni, indebitandosi molto, i profitti aumentano molto - i risultati di breve termine, e se questi ultimi sono considerati dai mercati finanziari come duraturi, ecco che il prezzo delle azioni dell'impresa sale parecchio, con i dirigenti e gli azionisti che guadagnano tanto. I dirigenti, diventati ricchi, sono incentivati a ritirarsi, e gli azionisti sono incentivati a vendere le azioni, perché hanno lucrato un profitto straordinario. I dirigenti saranno tentati dai risultati straordinari di breve termine, e gli azionisti altrettanto.
Quel che è accaduto nel settore bancario mostra bene i limiti dell'approccio del share-holder value. Il capitale di rischio per una banca è una fonte minore di finanziamento, perché contano molto di più le obbligazioni e i depositi. Se si riesce ad alzare l'attivo (i crediti alle imprese e alle famiglie, e quelli finanziari, come l'acquisto di obbligazioni ad alto rendimento) con una quota molto modesta di capitale di rischio, allora i profitti cresceranno molto. L'attivo può però rivelarsi di cattiva qualità, come è stato il caso le obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari, ed ecco allora che una flessione anche molto modesta del valore dell'attivo “brucia” il capitale di rischio. Se il rapporto fra attivo e mezzi propri è di 50 volte, allora anche una modesta caduta pari al due per cento del valore dell'attivo brucia il patrimonio.
Quel che è accaduto nel settore finanziario mostra bene i limiti dell'approccio dello share-holder value. Una volta alcune imprese finanziarie avevano la forma della partnership. Solo i dirigenti erano soci, perciò non si avevano azionisti terzi, e di conseguenza la società non era quotata. Il reddito dei dirigenti era volutamente compresso, perché il loro gran guadagno si sarebbe manifestato al momento del ritiro, con la vendita della loro quota ai nuovi partner. I dirigenti erano così interessati ai guadagni di lungo periodo, non a “pompare” quelli di breve, mentre l'acquisto delle quote poteva avvenire solo a credito – con il credito erogato dall'impresa ai nuovi soci, in modo che anche chi non avesse avuto alle spalle una ricchezza famigliare sarebbe potuto diventare socio. Alcune finanziarie organizzate in questo modo si sono poi quotate, e perciò è venuto meno il meccanismo di allineamento degli interessi dei dirigenti al lungo termine.


Leggi il resto: ?Pompare? le azioni funziona se il mercato ci crede | Linkiesta.it
 
Qualcuno (a caso, ma proprio a caso caso) ha la percezione di seguire la retta verde, ma la dura realtà lo porta alla retta rossa. :D:lol::lol:
 

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Altro che crisi d’identità europea.
In Italia si torna a credere nell’Ue e ci si sente più cittadini europei che un anno fa.
A dirlo è Eurobarometro, la consueta ricerca che due volte l’anno tasta il polso degli europei.
I dati sono chiari: se un anno fa il 45% degli italiani dichiarava di sentirsi europeo, oggi la percentuale è salita al 52 per cento.
Un risultato che non era scontato, specie dopo l’incredibile ascesa del populismo in salsa italica, che ha trovato sfogo tanto contro le istituzioni comunitarie quanto contro l’eurozona.

Di contro, è in costante aumento l’euroscetticismo.
Il fascino dell’euro non è mai stato così basso come nella prima metà del 2013: solo il 51% degli europei è a favore della moneta unica e la percentuale dei contrari, il 42%, è cresciuta di 11 punti percentuali rispetto al 2007.
Un fenomeno che non potrà essere dimenticato alle prossime elezioni europee del 2014.
 
Erano tutti pronti a chiusura mercati all'apice della crisi



ROMA (WSI) - A quasi cento giorni dal suo insediamento, il governo Letta è tanto fragile quanto necessario. L'assenza di un'alternativa non lo autorizza a coltivare l'arte del rinvio, lo obbliga a un sano pragmatismo. Le necessità di famiglie e imprese, il lavoro dei giovani, i timidi segnali di ripresa da non soffocare dovrebbero essere le sole priorità. La strada imboccata è giusta, ci vorrebbe un po' di coraggio nel tagliare le spese per abbassare le tasse, come hanno scritto sul Corriere Alesina e Giavazzi. Una strategia per ridurre il debito, al record storico del 130%, è urgente. Di cessioni pubbliche non si parla, nemmeno di quell'1% annuale del Pil, come promesso nell'era Monti.

A proposito del leader di Scelta civica: le troppe critiche offuscano i non pochi meriti. L'Italia, grazie al suo governo, ha evitato la catastrofe alla fine del 2011. L'episodio è inedito ma, nelle ore più drammatiche di quel tardo autunno, un decreto di chiusura dei mercati finanziari era già stato scritto d'intesa con la Banca d'Italia. Quel decreto rimase in cassaforte - e speriamo che vi resti per sempre -, ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico.

Nei prossimi giorni si parlerà molto di una sentenza della Cassazione e di un anniversario. Non il 25 luglio del '43 ma, più modestamente, del 5 agosto del 2011, quando il governo Berlusconi ricevette la contestata lettera della Banca centrale europea, allora a guida Trichet, controfirmata da Draghi, ancora Governatore. Il Cavaliere considera quella missiva, che conteneva una serie di impegni immediati, alla stregua di un golpe europeo.

In realtà il governo, dopo il vertice di Cannes, nel quale si prese l'impegno del pareggio di bilancio, non stava più in piedi. La lettera della Bce rappresentò un ultimo atto di fiducia, preceduto da acquisti di titoli italiani per 160 miliardi. L'enfasi era sulle riforme per la crescita. Che, a parte le pensioni, sono ancora oggi da fare. La situazione precipitò poi in novembre favorendo il traumatico cambio a Palazzo Chigi.

Oggi, per fortuna, il Paese è uscito da una procedura europea di deficit eccessivo. È tornato tra i membri virtuosi. E lo è molto di più di altri, la Francia per esempio. Ma non può assolutamente rivelarsi, ancora una volta, né instabile né inaffidabile. Deve proseguire lungo il sentiero della crescita e della creazione di lavoro. L'ultimo declassamento di Standard & Poor's è una coda velenosa del caos successivo alle elezioni di febbraio. Quella bocciatura era già stata decisa in primavera e poi rinviata dopo la rielezione di Napolitano.

Ora è giusto criticare le agenzie di rating. Sbagliano, sono preda di pregiudizi. Ma ancora due piccoli gradini in giù nel voto sull'affidabilità del debito e, con la perdita del cosiddetto investment grade , molti investitori internazionali sarebbero costretti, per regole interne, a liberarsi delle attività italiane. E un serio imbarazzo lo avrebbe anche la Bce di Draghi, che non potrebbe più accettare come collaterali titoli italiani nel finanziamento del sistema bancario.

Ne farebbero le spese le famiglie e le imprese proprio nel momento in cui qualche segnale di ripresa è visibile. L'anniversario del 5 agosto, che coincide con i cento giorni di Letta, dovrebbe far riflettere governo e forze politiche sull'estrema fragilità di un Paese dalla memoria corta, che mostra ogni giorno al mondo un volto litigioso e inconcludente, così diverso dalla sua pur inquieta laboriosità.
 

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