Siamo – per fortuna – tutti diversi.
Nessuno è uguale all’altro:
biondi e bruni,
alti e bassi,
grassi e magri,
belli e brutti,
giovani e vecchi e, per finire,
uomini e donne.
Solo che questa ultima differenza non è come le altre:
è una differenza rilevante, mentre le altre sopra elencate di solito non sono rilevanti.
Dico “di solito” perché può capitare che a volte anche quelle differenze possano essere rilevanti
e che perciò sotto uno specifico riguardo esser alto o basso, bello o brutto possa essere sommamente dotato di significato:
per esempio, se si partecipa ad una gara di salto in alto, è evidente che la statura sia rilevante,
in quanto gli atleti alti e longilinei sono per natura avvantaggiati rispetto a quelli bassi e tarchiati;
allo stesso modo, se si partecipa ad un concorso di bellezza, prevarranno i belli di natura,
rispetto ai meno belli o addirittura ai brutti e via di questo passo.
Si tratta in ogni caso di differenze relative,
in quanto ciascuna di esse è appunto “relativa” ad un aspetto particolare, contingente,
che può esserci o non esserci, come appunto può esserci o non esserci una gara di salto in alto o un concorso di bellezza:
in tutti gli altri casi, tali differenze saranno del tutto irrilevanti.
Invece, la differenza fra uomini e donne non è mai relativa, ma sempre assoluta,
in quanto del tutto indipendente dalla situazione di cui di volta in volta si tratti.
È una differenza a suo modo intrascendibile, in quanto ciascuno di noi porta incisa sulla propria carne
la propria identità sessuale, senza che si possa né ignorarla né eliminarla.
Inoltre, essa orienta e condiziona l’intera visione del mondo,
in modo tale che la visione delle cose da parte dell’uomo è spesso diversa da quella delle donne
e ciascuna è complementare rispetto all’altra.
Prova ne sia che “sexus” indica solo una polarità – da “secare”, che vale tagliare –
rinviando immediatamente alla polarità opposta, eguale e contraria:
eguale perché anch’essa sessuata, contraria perché di segno opposto.
Tutto ciò non veicola affatto e in alcun modo una superiorità di un sesso rispetto all’altro,
ma una differenza certamente sì.
E si tratta, a ben vedere, non di una differenza qualsiasi, ma – come dicevo – a suo modo assoluta e che dà da pensare.
In particolare, al di là delle sesquipedali sciocchezze del femminismo ideologico del nostro tempo,
secondo il quale, per un verso, non vi sono differenze fra uomini e donne,
ma, per altro verso, le donne devono sempre essere tutelate nella loro differenza specifica
(con tanti saluti al principio di non contraddizione),
va detto che la più vera identificazione della differenza fra uomini e donne
si trova nel pensiero di Lou von Salomé, non a caso capace di intrattenere relazioni durature
prima con Friedrich Nietzsche e poi con Rainer Maria Rilke,
cosa che non sarebbe stata evidentemente possibile se in lei avesse fatto difetto uno spiccata capacità intellettuale.
Per la Salomé, mentre l’uomo è un essere tendenzialmente specializzato
– il cacciatore, lo scienziato, l’economista, il soldato –
al contrario, la donna è un essere, per così dire, non specializzato e precisamente in questo risiede la sua vera natura.
Essa, infatti, potendosi raffigurare idealmente come una circonferenza
– mentre l’uomo sarebbe un vettore che da un punto ne raggiunge un altro –
non è mai al principio e non è mai alla fine, per il semplice motivo che principio e fine, per lei e soltanto per lei, coincidono.
Per questo, la donna è sempre presso di sé, non avendo bisogno di altro, è tendenzialmente autosufficiente, davvero libera,
mentre l’uomo non lo è mai, avendo sempre bisogno di una donna alla quale fare riferimento:
la donna sa sempre come organizzarsi nella vita, l’uomo mai o quasi mai e, se lo fa, vi riesce con maggior difficoltà.
La donna è, per usare questa terminologia gravida di significato anche filosofico, “simmetrica”,
come attesta, fra l’altro, il dato biologico del cromosoma femminile configurato come doppia X;
l’uomo, al contrario, è “asimmetrico”, come attesta, fra l’altro, il dato biologico del cromosoma maschile configurato come XY
(e, detto per inciso, l’elemento femminile in lui presente, la X, lo salva probabilmente dal ridursi ad uno scimmione primitivo).
La donna, avendo bisogno di nulla e di nessuno, può dunque riposare quietamente in sé,
mentre l’uomo, sospinto da irredimibile inquietudine, mai davvero libero, deve sempre andare oltre.
Sta qui, per Salomé, il vero genio femminile che l’uomo non potrà mai eguagliare.
Ecco perché Salomè raccomanda alle donne di non imitare mai gli uomini:
perché sa bene che imitandoli la donna si perde e, perdendosi, si mescola agli uomini,
in mezzo ai quali il suo destino è soccombere come donna.
Sicché, assistere oggi allo spettacolo del femminismo ideologico suona grottesco e falso,
perché una tale imitazione piega la natura della donna, disperdendone il carattere proprio.
Queste femministe evidentemente non hanno mai letto o meditato una sola pagina di Salomé,
non hanno mai studiato insomma in cosa consista lo specifico femminile,
rimanendo vittime inconsapevoli di un assoluto ideologico in forza del quale – nel nome di un cieco egualitarismo –
tutto è sessualizzato (cioè ricondotto alla dimensione sessuale),
ma nulla è sessuato (perché i due sessi svaniscono nella liquidità delle teorie del “gender”).
Queste femministe non comprendono dunque ove risieda la grandezza della donna.
Non a caso, per un verso, biblicamente, l’opera della creazione di Dio trova il suo culmine e la sua perfezione
non nell’uomo – Adamo – ma nella donna – Eva – creata dopo di lui, per vincere la sua solitudine.
Per altro verso, teologicamente, li trova in Maria, madre di tutto il genere umano.
Senza Eva, anche se in compagnia di un altro uomo a lui eguale,
Adamo sarebbe rimasto come prima: in chiave biblica, solo.
Senza Maria, anche se figli della nostra madre biologica,
ciascuno di noi sarebbe rimasto come prima: in chiave teologica, orfano.