Sole 24 ore. Prospettive industria in Italia
Nei settori energivori si diffonde la preoccupazione di rialzo dei prezzi, nuove speculazioni e impatti sociali dopo lo stop del gas russo attraverso l’Ucraina
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Dalla chimica all’acciaio, passando per le fonderie, le ceramiche e le cartiere. Nell’industria il nuovo anno si apre tra molte preoccupazioni per il caro energia, alimentate anche dallo stop del gas russo attraverso l’Ucraina, dopo la rottura dei contratti tra la
russa Gazprom e l’ucraina Naftogaz. E si rievoca lo spettro dell’anno più nero, il 2022.
La chimica è senz’altro tra i settori più sensibili in quanto utilizza le fonti fossili, petrolio e gas naturale, sia a fini energetici sia come materie prime e, «alla luce delle tecnologie disponibili attualmente, la loro integrale sostituzione non è praticabile», riflette il presidente di Federchimica, Francesco Buzzella, preoccupato dalla situazione che sta venendo avanti sul piano geopolitico.
La questione dei prezzi e della filiera
La situazione appare «critica non per i quantitativi - osserva Buzzella - perché siamo più attrezzati rispetto al passato, ma per i prezzi. Già 50 euro al megawattora sono un prezzo carissimo, un aumento fino a 60 70 80 euro per un’industria così energivora come la chimica diventa un grande problema che si trasferirebbe a tutta la manifattura a valle. L’energia è alla base di tutto, anche della nostra crescita economica. Come ci mostrano gli Stati Uniti la cui crescita degli ultimi 20 anni si deve in larga misura alle politiche sull’energia». E non ci si può dimenticare che anche la chimica è alla base della pressoché totalità dei manufatti. Il vero rischio è quello di «vedere una nuova fiammata dell’inflazione». Buzzella in particolare critica «la scelta della Ue di bandire le fonti fossili per una scelta ideologica e politica quando ne abbiamo evidentemente bisogno. La sensazione è che siamo in balia dei venti, non abbiamo una linea chiara. Semmai ne abbiamo una teorica di puntare sulle rinnovabili che, però, non bastano. Ecco perché dobbiamo continuare a sfruttare le fonti fossili e investire nel contempo sulle nuove materie prime alternative che però ancora bastano. E la bolletta dobbiamo pagarla a gennaio e febbraio di quest’anno, non nel 2036, a cui auspichiamo di arrivare vivi». I nostri prezzi del gas si mantengono su livelli pari a oltre il quadruplo di quelli statunitensi e rimangono soggetti a rischi al rialzo alla luce delle persistenti tensioni geopolitiche e della «speculazione che è già iniziata lo scorso dicembre - rileva Buzzella -. Quello che temiamo è che fino alla fine del freddo si possa innescare una speculazione, come accaduto nel 2022. E se è vero che gli stoccaggi sono pieni, questo non basta perché vanno reintegrati giorno dopo giorno».
L’impatto sociale
Grande preoccupazione sui prezzi anche per «le acciaierie che dovrebbero applicare aumenti ai clienti per fare fronte all’incremento del costo energetico, ma questo farà perdere competitività e produzione a tutta la filiera», spiega Giovanni Marinoni Martin, presidente del settore metallurgico di Confindustria Brescia e vicepresidente di Ori Martin, acciaieria a forno elettrico per acciai speciali destinati ad automotive e meccanica. «Questo significa – aggiunge - che vedremo un incremento della cassa integrazione, sia per noi produttori che per i nostri clienti, e anche licenziamenti, chiusure di aziende. Il problema a valle riguarda il Green deal europeo, che va ripensato. Mi aspetto problemi sociali nel breve: i sindacati si stanno muovendo per organizzare una protesta a Bruxelles il 5 febbraio, mi auguro che anche la politica reagisca velocemente».
L’incremento della regolamentazione
Il contesto vede «un’economia europea – prosegue l’imprenditore – che sta affrontando difficoltà mai viste prima. L’incremento della regolamentazione e dei costi ambientali, imposti dal Green deal, ha reso la produzione industriale in Europa troppo onerosa, mentre i prezzi delle auto hanno raggiunto i 30mila euro e i prodotti metalmeccanici di provenienza cinese, indiana e turca entrano in Europa a prezzi inferiori del 40-50% rispetto a quelli del mercato. Ma d’altronde in molti paesi extra Ue non esistono normative ambientali da rispettare e anche i costi energetici sono inferiori grazie al carbone. Personalmente – conclude - agirei con dazi all’import su tutti i paesi extra Ue privi di un Green deal. Il nucleare, poi, è una risorsa importante ma non partirà prima di 10-12 anni. Per questo bisogna lavorare al rilancio della produzione di gas in e offshore e vanno semplificate le regole per le rinnovabili: oggi servono 7 anni per una minicentrale idroelettrica e mesi per l’allaccio al fotovoltaico. Infine va bloccata la speculazione sul Ttf».
La carta chiede di attuare la gas release
Anche il settore della carta è in allarme. Da ottobre ad oggi le imprese pagano il gas il 30% in più, e si tratta peraltro di un aumento che non accenna a calare. Anzi: il timore della speculazione, legata ai rischi geopolitici, fa temere un’impennata dei prezzi già vista negli anni passati. Nel 2022 molte aziende scelsero “chiusure tecniche” proprio perché i costi non erano più sostenibili; adesso a inizio 2025 il dilemma si ripropone e la valutazione verrà fatta nelle prossime settimane. Nel frattempo Assocarta chiede con forza al Governo di attuare la “gas release”, per cui già esiste un decreto ma che non è mai nei fatti partita.
Per la ceramica nuova erosione dei margini
Per l’industria ceramica italiana quotazioni del gas sopra i 50 euro/MWh si traducono in extra costi di oltre 200 milioni di euro, rispetto al prezzo medio di un anno fa, quando il gas viaggiava attorno ai 25-30 euro. «Il problema è che abbiamo già iniziato a ridurre i listini delle piastrelle ceramiche, dopo i rialzi introdotti per reggere i picchi dei costi energetici del 2022 (che hanno poi trascinato verso l’alto tutte le voci di costo, dalle materie prime alle manutenzioni) perché dobbiamo affrontare una concorrenza estera sempre più agguerrita e questo comporterà un’ulteriore erosione delle nostre marginalità». Così Vittorio Borelli, vicepresidente di Confindustria Ceramica, commenta lo scenario che si prospetta per un settore hard-to-abate che dipende dalle esportazioni per oltre l’80% dei volumi e compete con prodotti cinesi, indiani, turchi, brasiliani che piazzano sul mercato i loro prodotti a prezzi con cui i ceramisti italiani non coprono neppure i costi vivi, per un terzo legati proprio alle bollette. Non ci sono però oggi alternative efficienti e sostenibili al gas metano per cuocere a oltre 1.200 gradi le piastrelle ceramiche.
Se i 50 €/MWh sono un valore che i ceramisti italiani sono ancora in grado di reggere, «ciò che non possiamo sostenere sono le speculazioni sui prezzi del gas, perché oggi gli stoccaggi sono pieni - sottolinea il vicepresidente di Confindustria Ceramica - nonché il silenzio del Governo sul Gas release, perché dopo due anni e tre leggi finanziarie ancora nulla si muove in questo Paese su un tema strategico per l’autonomia energetica». L’auspicio di Borelli è che si trovi innanzitutto una soluzione per il transito del gas attraverso l’Ucraina – per motivi ben più importanti del prezzo del gas - e che l’Ue faccia la sua parte non solo nel ruolo di mediatore ma di attore protagonista di «una nuova politica energetica europea e di una transizione verde pragmatica in grado di correggere meccanismi come l’Ets (la tassa sulle quote di CO2) che sta minando la sopravvivenza delle fabbriche ceramiche».
La protezione dei contratti coi clienti delle fonderie
Tra i settori più attenti alle oscillazioni dei prezzi dell’energia vi è senza dubbio quello delle fonderie (900 aziende, 7,6 miliardi di ricavi), comparto che nel passato recente ha vissuto lo shock in presa diretta. Se nel 2019 il peso dell’energia sui costi totali di produzione valeva per un getto standard il 19%, nel 2022 si è arrivati ad una media del 25%, con un picco del 29% nel mese di settembre, periodo in cui i prezzi del gas e a cascata dell’energia elettrica erano andati fuori controllo. Situazione che almeno in parte ora si rischia di rivivere, all’interno di una situazione di mercato peraltro già complicata, che vede le fonderie cedere quasi 14 punti di produzione nel terzo trimestre. Una parziale protezione nell’immediato è offerta dai contratti con i clienti, che dopo lo shock del 2022 prevedono con maggiore frequenza adeguamenti collegati alla variazione degli indici ufficiali di mercato, in particolare del Pun. «Protezione comunque parziale e temporanea - spiega il presidente di Assofond Fabio Zanardi - perché se, come prevedibile, rispetto ad altri paesi gli aumenti in Italia saranno superiori, allargando ancora il forte gap già esistente, i clienti saranno progressivamente spinti ad acquistare altrove, da fonderie di altri paesi. In Italia è prevedibile che gli aumenti del gas avranno ricadute pesanti sull’energia elettrica, che per noi è un input fondamentale: il rischio di perdere competitività, commesse e mercato purtroppo è concreto».