ecco perchè l'Ucra non mi piace. Forse che la Russia ha mai sospeso le forniture energetiche? Dopo il NS queste esplosioni dovrebbero far riflettere i fanatici pro ucra.
Se fossero attentati, le esplosioni a Ploietsi e Szazhalombatta somiglierebbero molto agli attentati anti-europei al gasdotto Nord Stream.
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nergia,
Politica /
Fulvio Scaglione
22 Ottobre 2025
Non molte ore fa due esplosioni parallele hanno scosso due raffinerie di Paesi dell’Unione Europea ma in qualche modo legate alla Russia: quella di
Ploiesti, in Romania, e in quella di
Szazhalombatta, in Ungheria. La prima di proprietà di Lukoil Europe, filiale della società russa Lukoil, la più grande azienda petrolifera privata russa; la seconda alimentata da petrolio russo attraverso l’oleodotto Druzhba.
Signorilmente ignorate dalla “stampa di qualità”, impegnata a prevedere per la centesima volta il crollo del rublo o la morte per fame dei soldati russi, le esplosioni ci mettono di fronte a un’ardua scelta: fare gli scemi o fare i complottisti? Ma sembrerebbe da scemi
pensare che sia fortuito il fatto che vengano danneggiate due raffinerie legate alla Russia proprio mentre l’Ucraina sviluppa con missili e droni l’assalto al sistema petrolifero russo, la Ue decreta l’interruzione totale dell’acquisto di prodotti energetici russi, diversi Paesi europei (Francia, Danimarca, Svezia) danno la caccia alle petroliere della flotta-ombra russa, i contatti tra Usa e Russia riprendono, l’Ungheria si dice disposta a ospitare un eventuale summit Trump-Putin e annuncia che comunque non eseguirà il mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale contro il leader russo,
l’Unione Europea e l’Ucraina presentano un piano di pace alternativo e via via tanti altri indizi. Segno dei tempi. Una volta si diceva “meglio rossi che morti”. Adesso siamo ridotti a “meglio complottisti che scemi”.
Lukoil e Druzhba, i precedenti
Sia il caso rumeno sia quello ungherese meritano un brevissimo riassunto delle puntate precedenti. La raffineria di Ploiesti fu riattivata nel 2014 e nel 2015 il Governo rumeno aveva ordinato il sequestro di 2 miliardi di depositi Lukoil in banche olandesi e inglesi, oltre all’arresto di diversi dirigenti della compagnia, accusati di bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Da allora le autorità rumene hanno tenuto d’occhio Lukoil che infatti, nel 2022, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, attraverso il Consiglio di amministrazione il Consiglio di amministrazione aveva espresso “solidarietà per tutte le vittime colpite da questa tragedia” e chiesto “un cessate il fuoco durevole”. Subito dopo
Vagit Alekperov, proprietario della compagnia e uno dei massimi oligarchi russi, sanzionato dalla Ue, si era dimesso dalla carica di presidente.
Per quanto invece riguarda l’Ungheria e la raffineria di
Szazhalombatta, occorre ricordare che per tre volte i droni ucraini hanno colpito l’oleodotto Druzhba, quello che appunto rifornisce la raffineria, provocando una durissima polemica tra i ministeri degli Esteri di Ungheria e Ucraina. La ragione è questa: il Druzhba a un certo punto si divide in due rami. Uno va verso la Bielorussia e poi la Polonia, e guarda caso non è mai stato toccato. Quello attaccato è il ramo che va verso l’Ungheria e la Slovacchia, Paesi notoriamente dissidenti (per necessità e per volontà politica) rispetto alle politiche europee di confronto duro con la Russia. Il ministro degli Esteri ungherese
Péter Szijjártó rimproverò all’Ucraina di sapere che quegli attacchi danneggiavano più l’Ungheria e la Slovacchia della Russia e chiese (ovviamente senza alcun risultato) alle autorità Ue di intervenire. Il suo collega ucraino
Andrij Sybiha rispose: noi colpiamo la Russia, se poi voi continuate a comprare il suo petrolio sono affari vostri.
Attacchi all’Europa, non alla Russia
Ed è proprio qui il punto. La strategia Ue di tagliare i ponti con le forniture energetiche russe ha certamente ridotto la capacità economica russa ma non sarà decisiva finché grandi clienti come Cina e India continueranno ad approvvigionarsi alle risorse di Mosca. E quella ucraina di colpire l’infrastruttura gasiera e petrolifera russa, che ha di certo ottenuto buoni risultati (secondo
il quotidiano economico russo Kommersant la produzione di carburanti si è ridotta del 20%), non è tale da fermare o rallentare nel breve periodo le operazioni militari.
Come si vede da ciò che avviene al fronte.
Ma se le esplosioni in Romania e Ungheria non sono state accidentali ma frutto di sabotaggio, vuol dire che
vanno annoverate nella stessa categoria degli attentati ai gasdotti Nord Stream (di cui ormai conosciamo bene i responsabili) e peraltro anche dei bombardamenti sul ramo dell’oleodotto Druzhba che porta verso Ungheria e Slovacchia (e non quello che sbocca in Polonia). In altre parole, non sono attentati contro la Russia (che ne soffre ma in misura non decisiva) ma contro l’Europa. Tentativi di riorientare gli equilibri politici continentali attraverso un riorientamento delle politiche energetiche,
ridimensionando così nella Ue il peso dei Paesi fondatori (a cominciare dalla Germania, che con il gas russo aveva un collegamento diretto appunto attraverso il Nord Stream) e aumentando invece quello dei Paesi di più recente adesione, quelli con il più stretto legame con gli Usa.
L’anti-Ue dentro la Ue
Davvero qualcuno ha creduto che gli Usa spingessero così tanto contro il Nord Stream per “liberare” l’Europa dal ricatto energetico russo? Che finanziassero i gasdotti e gli oleodotti polacchi (
ne abbiamo già parlato e ne parleremo ancora) per fare un favore a noi poveri consumatori? Guarda caso tutta la storia è finita con noi europei che
abbiamo costi per l’energia di 3,5 volte superiori a quelli Usa, con uno svantaggio competitivo a livello di produzione industriale e di export che non è difficile immaginare.
Subito dopo le esplosioni in Romania e Ungheria,
gli ambienti dei servizi segreti russi hanno messo sotto accusa l’Ucraina e il Regno Unito. Tutti danno per scontato che tutto ciò che arriva da Mosca sia una colossale bugia, un inganno, comunque qualcosa cui non prestare attenzione. È in generale un errore. E in questo caso una logica c’è. Non bisogna dimenticare, infatti, che nel febbraio del 2022, prima dell’invasione russa,
Regno Unito, Ucraina e Polonia sottoscrissero a Kiev una formale alleanza che Dmytro Kuleba, allora ministro degli Esteri ucraino, così descrisse: “Varsavia, Kiev e Londra non hanno solo una realistica consapevolezza della sicurezza e una strategia per contrastare le sfide della Federazione Russa, ma anche il grande potenziale della cooperazione trilaterale nei settori del commercio, degli investimenti, dell’energia, comprese le energie rinnovabili”. L’alleanza non aveva, ovviamente, ragioni geografiche ma molte evidenti ragioni politiche. In primo luogo
creare una sorta di anti-Ue dentro la Ue, una Ue alternativa tenuta insieme dalla postura filo-americana, capace di legare a sé, proprio attraverso un reticolo di oleodotti e gasdotti, i già tradizionalmente atlantisti Paese del Nord Europa (ne parleremo prossimamente) e del Baltico. Allora il premier del Regno Unito era Boris Johnson che, come sappiamo, si batte molto, pochi mesi più tardi, contro ogni ipotesi di trattativa tra Russia e Ucraina.
E quindi non ci sarebbe da stupirsi se, ormai realizzata la torsione politica che
nella Ue ha portato alla ribalta i “nuovi” Paesi che aderirono a metà degli anni Duemila, si passi a consolidarne i risultati provando a chiudere le residue “sacche” di resistenza. Come diceva Giulio Andreotti: a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.