SPECIALE E' CHI ASCOLTA LE TUE PAURE E LE TRASFORMA IN CORAGGIO

Per qualcuno, a Genova, ancora “fischia il vento”. Chi pensa che il 25 Aprile sia una festa volta ad esaltare i valori patriottici è bene che rifletta su quanto è accaduto oggi al governatore della Liguria Giovanni Toti durante la manifestazione celebrativa della Liberazione. Non appena Toti ha ricordato i due Fucilieri di Marina Girone e La Torre una salva di fischi e “buuu” si è levata da una parte della piazza.

Toti comunque non si è scomposto.”I fischi sono stati una cristallina espressione di democrazia”, ha detto il governatore ligure commentando la contestazione subita. “Magari non sono stati espressione di buona educazione ma diciamo che rappresentano bene le idee”. Secondo Toti, il problema di manifestazioni come queste “è che scivola sempre un po’ la frizione, qualche scatto c’è sempre”. “Quando la sinistra che mette la giacca delle istituzioni saprà riconoscere che non ci sono politici e politicanti ma che le idee quando hanno il voto dei cittadini hanno tutte una legittimità – ha detto ancora Toti – allora saremo una grande democrazia e un grande Stato. Tornando ai fischi – ha detto Toti – ci sta tutto. Ma quando si fischiano due Marò che sono figli e nipoti dei ragazzi che dopo l’8 settembre hanno garantito la possibilità di essere in piazza oggi, ci si resta male”. Insomma, da Toti è venuta una lezione di stile e di civiltà politica
 
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile di 30 anni fa scoppiò il reattore numero 4 nella centrale dell’allora Urss.
Gran parte del continente venne sorvolato dalla nuvola tossica e da quella che Umberto Veronesi definì "congiura del silenzio" da parte delle autorità.
Per mesi gli europei rinunciarono a latte fresco e verdura. Racconta nei commenti il tuo ricordo del disastro e di quei giorni
 
Alla fine di marzo, in quel 1986, la cometa di Halley si avvicinò abbastanza alla Terra. Fu un presagio?
Un mese dopo, in una notte tiepida, durante il lungo week-end del Venticinque aprile di trent’anni fa, il Day-After divenne realtà.
Chernobyl: 26 aprile 1986. Kiev le sta sotto, a 130 chilometri. Ecatombe. Non subito.
Alla centrale erano in servizio 176 tecnici, fisici e ingegneri più 268 operai e assemblatori del turno di notte.
I morti iniziali, dissero sfrontatamente le autorità, furono appena due. Mentivano. Furono decine.
Poi, col passare delle ore, dei giorni, delle settimane, divennero centinaia.
Nei mesi, e negli anni, la radioattività falcidiò la popolazione: dopo sofferenze indicibili. Milioni di malati.

Ma qualcuno, più passa il tempo, più la memoria si affievolisce, più vuole ridimensionare le immani dimensioni della tragedia.
 
Pigliamo la sessantesima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu che si svolse il 24 ottobre 2005, cioè diciannove anni dopo l’incidente:
“Ottimizzazione degli sforzi internazionali per studiare, mitigare e ridurre al minimo le conseguenze del disastro di Chernobyl”.
Stralcio dal rapporto del Segretario Generale, in conformità con la Risoluzione 58/119 dell’Assemblea Generale del 17 dicembre 2003, due piccole ma significative righe:
“Centinaia di migliaia di persone continuano a soffrire le conseguenze del disastro”.

I danni immediati, subito dopo e oggi
Peccato che la stessa Onu, in altri precedenti rapporti, avesse dato altre cifre ben più inquietanti.
Nel 2001 e nel 2003 attesta a 2 milioni le persone colpite dalle radiazioni soltanto in Bielorussia; 1,5 in Ucraina; 2,7 in Russia. Totale: 6,2 milioni.
Andando più indietro, nel rapporto Onu del 1995, i conti hanno dimensioni decisamente più impressionanti: 2,5 milioni di persone in Bielorussia; 3,5 in Ucraina; 3 in Russia. Cioè, 9 milioni.

E non si tiene conto dei danni collaterali, nel senso degli altri Paesi “sorvolati” dalle nubi radioattive di Chernobyl.
Una nota giornalista bolognese, pochi giorni fa, mi ha detto che sua figlia soffre di problemi tiroidei, probabilmente per colpa di Chernobyl.
La bimba aveva due anni al tempo dell’incidente; nella zona di Bologna c’è stato un aumento del 25 per cento di questo tipo di patologie
(lo iodio 131, secondo il centro radiochimico dell’università di Bologna, era aumentato tre volte).
 
Oh, quella notte tra il 25 e il 26 aprile, tuttavia, dormimmo tranquilli e ignari: nessuno, in Italia, ma anche nel resto d’Europa, sapeva dove fosse questa Chernobyl – salvo chi lavorava nel settore – tantomeno che lì fosse in funzione una centrale nucleare con quattro potenti reattori RBMK-1000 (allora in servizio presso 14 centrali Urss, dotati di una tecnologia “discutibile”, secondo gli scienziati occidentali).
Nessuno fu svegliato di soprassalto perché il reattore numero 4 aveva preso fuoco, e subito dopo c’erano state due violente esplosioni che avevano distrutto l’edificio in cui era insediato quel reattore.
I sovietici si guardarono bene dall’avvisare l’Occidente, pensavano di risolvere il “problema” evacuando tutti gli abitanti che risiedevano in un raggio di 30 chilometri, obbligando ingegneri e tecnici a intervenire per estinguere l’incendio e stoppare le fughe radioattive.
Era un’impresa disperata, e lo sapevano: “L’uomo ha una tale passione per il sistema e la deduzione astratta che è disposto ad alterare deliberatamente la verità, è disposto a non vedere e a non sentire pur di giustificare la propria logica”, aveva scritto Fjodor Dostoeveskij in Memorie del sottosuolo.
 
Fu soltanto dopo qualche giorno che i nostri incubi atomici si concretizzarono, come per la crisi di Cuba.
La paura si insinuò nelle nostre menti, lo choc emotivo divenne razione quotidiana quando la Protezione Civile emise una sorta di decalogo quale “ulteriore precauzione” consigliata per far fronte alla nube radioattiva che ormai aveva raggiunto il Belpaese: non bere acqua piovana, né latte fresco ma dare ai bimbi solo latte in polvere a lunga conservazione confezionato prima del 2 maggio; lavare accuratamente la frutta, non mangiare verdura fresca a foglia.
Agli allevatori fu ingiunto di nutrire il bestiame con foraggio secco.
Il giorno dopo il ministero della Sanità proibì la vendita di verdure fresche a foglie larghe per quindici giorni e vietò il latte fresco ai bambini di meno dieci anni e alle donne incinte.
Fu bloccata l’importazione dei prodotti di origine animale e vegetale dall’Ucraina, dal resto dell’Urss bisognava che ci fosse un’attestazione governativa di merce prodotta e confezionata prima del 20 aprile 1986.
 
Ma questo era niente. L’istituto di fisica sanitaria ci disse di non arieggiare troppo gli ambienti, di evitare l’uso dei condizionatori, di non portare a spasso i bambini per troppo tempo, anzi, che sarebbe stato meglio tenerli al coperto, e lo stesso valeva per le donne incinte.
I motivi di preoccupazione aumentavano col passare del tempo.
L’ombra maligna dei tumori e di chissà quali misteriosi cancri si allungava alle nostre spalle.
Si era frantumato il sogno dell’energia “pulita”, “sicura”, “eterna”.
Era crollata l’utopia di un mondo scientificamente controllabile. La punizione di Prometeo, la nostra sconcertante fragilità.
Guardammo con sospetto cielo, acqua, terra. Cominciammo a chiederci se quello che respiravamo, quello che mangiavamo, quello che coltivavamo era stato contaminato, avvelenato, perduto.
A Milano, qualcosa di simile l’avevamo già provato, dieci anni prima, per Seveso.
 
Di cosa successe per davvero, quella notte in cui fummo ignari, ce ne saremmo resi conto solo anni dopo.
Ancora oggi, non sappiamo tutto. Una consapevolezza latente – come vivere e pensare nella società del rischio? – prese posto in un piccolo angolo del nostro animo: quando forse era già troppo tardi.
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Fatalità ? Il caso ?........in quel periodo mia moglie era in Romagna......ci restava per settimane ........spensierati...andavamo avanti e indietro .......la nube passò d quelle parti per via delle correnti.......4 anni dopo un tumore.
Chi lo può dire......sarebbe successo ugualmente ?
 
Umberto Veronesi, allora direttore dell’Istituto dei Tumori di Milano, mi disse in un’intervista che ci fu la “congiura del silenzio”.
Non solo in Russia. Ma pure da noi.
Si chiedeva perché non vennero diffusi tempestivamente i dati raccolti dalle 1500 stazioni di rilevamento radioattivo che coprono il territorio nazionale:

“Dicono di non preoccuparsi e però suggeriscono di non bere latte, di stare attenti all’alimentazione. Ci pigliano per cretini?”.

Sì, professore: continuano a farlo. E continuano a ripeterci: Vse pod kontrolem. Tutto è sotto controllo.

Da Il Fatto Quotidiano del 4 Aprile 2016
 
Di cosa successe per davvero, quella notte in cui fummo ignari, ce ne saremmo resi conto solo anni dopo.
Ancora oggi, non sappiamo tutto. Una consapevolezza latente – come vivere e pensare nella società del rischio? – prese posto in un piccolo angolo del nostro animo: quando forse era già troppo tardi.
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Fatalità ? Il caso ?........in quel periodo mia moglie era in Romagna......ci restava per settimane ........spensierati...andavamo avanti e indietro .......la nube passò d quelle parti per via delle correnti.......4 anni dopo un tumore.
Chi lo può dire......sarebbe successo ugualmente ?
Impossibile saperlo.
 

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