Chi guadagna nella fusione
Chi guadagna nella fusione
Tim-Telecom
di ALESSANDRO PENATI
DOPO mesi di voci, la fusione tra Telecom e Tim è arrivata. Era inevitabile. Sono passati tre anni e mezzo, ma l'investimento di Pirelli in Telecom, attraverso Olimpia, è ancora lontano dal produrre un profitto decente: quindi è necessario aumentare il valore di Telecom, grazie alla solita leva finanziaria. Così, Telecom si indebiterà per comprare una parte del 43,9% di Tim sul mercato. Quel che resterà della quota di minoranza verrà acquistato offrendo in cambio titoli Telecom, con una fusione delle due società. Con il 100% del ricco cash flow di Tim, Telecom potrà pagare più dividendi ai vertici della piramide (Olimpia, Pirelli, Camfin, Gpi), sempre alle prese con i debiti accumulati.
L'operazione non ha logica industriale. Il grado di sinergia tra telefonia fissa e mobile ha poco o nulla a vedere con la struttura societaria del gruppo; o con la presenza di azionisti di minoranza. La fusione ha una valenza meramente finanziaria, ed è concettualmente identica a un leverage buyout.
Controllata da Telecom, Tim non poteva indebitarsi perché doveva pagare dividendi alla controllante. Senza debito, Tim non poteva usufruire dello scudo fiscale degli interessi passivi: una distruzione di valore pagata dagli azionisti di minoranza - visto che Telecom consolida i conti di Tim - che ora dovrebbero essere ricompensati da Telecom almeno per l'incremento di valore che la società avrebbe potuto facilmente ottenere, di qui in avanti, se si fosse potuta indebitare.
Con un margine operativo lordo di 6,5 miliardi atteso per il 2005, Tim potrebbe assumere fino a 16 miliardi di debiti (2,5 volte il margine, limite fisiologico per il settore). Ipotizzando un'aliquota fiscale effettiva del 34% e un tasso di interesse a lungo termine del 5%, il valore attuale scontato del beneficio fiscale sottratto agli azionisti Tim dalla fusione è di 5,5 miliardi: il 13% della capitalizzazione.
È il premio che Telecom dovrebbe riconoscere nell'offerta per cassa e nel concambio: 5,9 euro per azione Tim, rispetto alla chiusura di 5,18.
Ma il prezzo di mercato di Tim potrebbe non riflettere il suo vero valore relativo. Difficile sostenere che il prezzo in Borsa di Tim incorpori già un premio per l'Opa. È possibile il contrario: da tempo si parla della fusione, e molti investitori, nel dubbio, potrebbero essersi spostati dalla parte dell'azionista di controllo (regola infallibile in Italia), rivalutando il titolo Telecom rispetto a Tim.
Sul mercato, le attività Tim valgono 44 miliardi e producono un free cash flow prospettico di circa 4,1 miliardi. Il rapporto tra le due cifre (9,6%) è una stima approssimativa di quanto il costo del capitale di Tim supera il tasso di crescita atteso del cash flow, implicito nei prezzi di mercato. Rifacendo gli stessi calcoli per Telecom Italia, esclusa Tim, si ottiene un valore di circa 13%. La differenza tra i due rapporti, quasi 4%, misura la maggiore crescita attesa di Tim rispetto a Telecom (tenuto conto di un costo ponderato del capitale per Telecom di poco inferiore, a causa del debito) che il mercato implicitamente sconta: una valutazione relativa che non premia né penalizza troppo Tim.
D'altronde, negli ultimi tempi entrambi i titoli telefonici si sono mossi grosso modo in linea con il settore in Europa. Un premio del 13% (ovvero 5,9 euro) è dunque quanto gli azionisti Tim dovrebbero aspettarsi.
Olimpia ha interesse a pagare gli azionisti Tim in contanti, per aumentare il più possibile l'effetto leva e non diluire la sua quota in Telecom. Ma non può esagerare, perché con un debito pari a 2 volte il margine lordo del 2004, Telecom è la società telefonica più indebitata d'Europa dopo France Telecom ed Eircom.
Immaginando che voglia arrivare a 2,5 volte il margine atteso per il 2005 post-fusione (circa 15,5 miliardi), Telecom potrebbe finanziare un'Opa da 10 miliardi con nuovi prestiti: a 5,9 euro per azione, quasi il 20% di Tim. Con gli stessi parametri, il concambio per il restante 24% di Tim dovrebbe avvenire a 1,97 azioni Telecom per ogni Tim, e produrre una diluizione di Olimpia dal 17% al 12%. Una leva finanziaria più elevata sarebbe dannosa e dovrebbe trovare l'opposizione degli azionisti di minoranza Telecom (compresi quelli di risparmio).
Comunque strutturata, l'operazione andrà in porto: Telecom controlla l'assemblea straordinaria, e l'approvazione della fusione sarà una formalità. Sarebbe auspicabile che in quell'occasione l'azionista di maggioranza si astenesse, lasciando la decisione alle minoranze. O che Telecom optasse per un'offerta pubblica di scambio, alla quale si possa non aderire: con la fusione di fatto già approvata, l'offerta diventa obbligatoria; salvo vendere prima, al prezzo dell'Opa, deciso da Telecom. Ma questa è fantascienza. Le minoranze Tim possono solo sperare nella reputazione di Tronchetti Provera sul mercato, e nel suo interesse a non rovinare il momento fortunato della telefonia in Borsa. Che la festa continui.
Da Repubblica.it