Tbond Bund (VM69) 2013: Bandits Unchained tra Krug bubbles and balls

gooood uikkèn bbbanda!!

azz ho scoperto una delle fonti del Gipa :D:D

per il finesettimana, ti chiamo appena ho una idea :) :up: thanks :)
 
In Europe, Only Berlin Follows the American Path

Carlo Basta-sin



In recent days, positive signs regarding employment have come in from Germany and the U.S. These very different systems have found an identical path in creating jobs.
It is possible that the similarities are not only statistical and that the transformation of the German model was underestimated in a social system in which, unfortunately, inequality is tolerated as in the U.S., with serious consequences for the euro area.

The good news about the decline of American unemployment goes beyond the gray data distributed yesterday: 7.5 percent, the lowest since the end of 2008. Economists from Brookings predict in fact that the rate could go down to 7 percent before the end of 2013. But the real good news is that for the first time the drop does not depend on the small number of discouraged workers who stop looking for work, removing themselves from unemployment statistics.
Before being reassured about the American recovery, it is necessary to wait a few months. Manufacturing investments are weak. The Federal Reserve wants to understand if it is only about a normal use of stockpile or a reluctance to invest. If, as is likely, the positive signs are confirmed, a political dilemma will open up: recovery happens regardless of the public budget being paralyzed by political disputes, and the markets could worry about the start of an exit strategy by the Federal Reserve from the unlimited liquidity policy conducted in the last few years. It is probable that the compromise will depend on the merging of two policies: a credible strategy of reentry of U.S. debt would allow a prolonging of the monetary agreement—more or less the same strategy that is being utilized, with many difficulties, in the euro zone.
This difficulty, looking superficially at unemployment data, does not affect Germany. However, it is a part of the new cynicism to consider Germany close to full employment—a way of thinking that just 20 years ago would have been unimaginable in the culture of that country. It is true that, while in Mediterranean Europe unemployment affects all levels without precedence, in Germany it is at its lowest since the 1990s. But to the 3 million people who are unemployed, there has not been added 1 million workers engaged in retraining or so-called “one-euro jobs.” Another 7 million Germans work in “mini-jobs,” paid less than 400 euros a month. The number of underemployed is extremely high. If you take into account this army in reserve in the reduction of labor costs, the history of the German industrial renaissance would be rewritten in less heroic tones. That recent history continues to lack the true testimony of every economic policy of success: domestic investments, at the lowest level of all of Europe for 10 years.


But another explanation is that among 10 million unemployed workers, or ones poorly paid, there is the more than proportional presence of foreigners or of Germans of recent immigration, who do not have the right to vote or do not have a political affiliation. Only this explains the silence of German politicians, including Social Democrats, on the issue of inequality, a silence that is coupled with the silence of the industrial and financial elite on the reality of the European crisis. A country which had more distinct social sensibility than the whole Western world is not seen or heard today and does not speak anymore.

Should we conclude that, as in the U.S., inequality will reduce unemployment in Europe? Thankfully the explanation is different. But not much more reassuring: German unemployment benefits from a current account surplus that is the consequence of another form of inequality, that is consistent with the rest of the world. That also has powerful redistributive effects on income. That also goes unrecognized.
 
quanto sopra mi ricorda la questione dele 'turbo-mucche',
le mucche drogate dai tedeschi per produrre più latte per un anno, l'anno in cui si decisero le quote latte, e poi così rovinate che dovettero essere abbattute e manco mandate sul mercato alimentare, tanto erano dopate ....

eeeeh i teteschi hanno recepito l'essenza del weber, non c'è che dire :rolleyes:
 
Se il debito è contro la crescita

Il dibattito su austerità e crescita economica rischia nuovamente di avviarsi verso il binario sbagliato. Nell’Eurozona, in particolare, la Germania e una pattuglia di Paesi del Nord rimasti a presidiare la linea del rigore tornano ad essere oggetto di aspre critiche da parte di Paesi super indebitati, nonché di economisti secondo i quali l’austerità è il nemico della crescita. La «colpa» della Germania e dei suoi ormai pochi alleati è quella di puntare a conti pubblici in ordine. Un «peccato» commesso fuori dall’Eurozona anche dalla Svizzera, con il suo freno all’indebitamento che è stato deciso prima di molti altri e che ha dato peraltro frutti positivi.
La nuova offensiva contro la riduzione dei debiti pubblici ha risvolti sia teorici sia pratici. Sul piano della teoria, sono sotto accusa soprattutto gli economisti americani Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, autori di un lavoro in cui si indica che debiti pubblici al di sopra del 90% del PIL portano mediamente ad un azzeramento o quasi della crescita. Economisti dell’Università di Amherst, negli USA, hanno rilevato un errore statistico nel lavoro ed hanno fatto notare che l’effetto negativo dell’indebitamento è molto minore. Rogoff e Reinhart hanno ammesso l’errore, ma hanno ribadito la sostanza delle loro conclusioni: sopra il 90% il debito pubblico danneggia seriamente la crescita economica. Come ha ben spiegato sul «Corriere della Sera» l’economista italiano Francesco Daveri, anche con le cifre riviste dal gruppo di Amherst la crescita deve rinunciare mediamente a oltre l’1%, il che significa che in 20 anni di debito eccessivo si hanno in pratica oltre 20 punti in meno di crescita. Non si tratta di numeri di poco conto. E infatti neppure gli economisti di Amherst predicano l’aumento del debito.
Dunque la disputa teorica è in realtà meno ampia di quanto venga ora da molti indicato.

In questo quadro confuso occorre ricordare alcuni punti centrali. Per una crescita solida nel lungo periodo, il rigore nei conti pubblici va attuato sempre, mettendo fieno in cascina nelle fasi positive e serrando i ranghi nelle fasi negative. L’austerità, se applicata in modo ragionevole e se inquadrata in una politica di rigore di lungo termine, serve a superare i passaggi difficili e ad aiutare il ritorno alla crescita. Quando l’indebitamento pubblico supera addirittura, e non di poco, quota 100% (la Grecia è al 156%, l’Italia al 127%, il Portogallo al 123%, l’Irlanda al 117%) non serve a molto dire: spendiamo per aumentare il PIL, così cresciamo e si riduce la percentuale dell’indebitamento. L’inflazione derivante da moneta e liquidità abbondanti è un falso rimedio, parziale e di corto respiro. Prima o poi i mercati, non vedendo una reale riduzione del debito, tornano a chiedere interessi più alti e il Paese super indebitato deve pagare questi ultimi, sottraendo risorse alla crescita. Nell’ambito dell’Eurozona, la Germania ha in realtà già accettato molti compromessi, tra cui l’allungamento dei tempi di riallineamento dei conti di alcuni Paesi, tra questi anche la Spagna e la stessa Francia. Andare troppo in là, demolendo ciò che resta della linea del rigore, significherebbe non soltanto far tornare in alto mare l’euro
 
Se il debito è contro la crescita

Il dibattito su austerità e crescita economica rischia nuovamente di avviarsi verso il binario sbagliato. Nell’Eurozona, in particolare, la Germania e una pattuglia di Paesi del Nord rimasti a presidiare la linea del rigore tornano ad essere oggetto di aspre critiche da parte di Paesi super indebitati, nonché di economisti secondo i quali l’austerità è il nemico della crescita. La «colpa» della Germania e dei suoi ormai pochi alleati è quella di puntare a conti pubblici in ordine. Un «peccato» commesso fuori dall’Eurozona anche dalla Svizzera, con il suo freno all’indebitamento che è stato deciso prima di molti altri e che ha dato peraltro frutti positivi.
La nuova offensiva contro la riduzione dei debiti pubblici ha risvolti sia teorici sia pratici. Sul piano della teoria, sono sotto accusa soprattutto gli economisti americani Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, autori di un lavoro in cui si indica che debiti pubblici al di sopra del 90% del PIL portano mediamente ad un azzeramento o quasi della crescita. Economisti dell’Università di Amherst, negli USA, hanno rilevato un errore statistico nel lavoro ed hanno fatto notare che l’effetto negativo dell’indebitamento è molto minore. Rogoff e Reinhart hanno ammesso l’errore, ma hanno ribadito la sostanza delle loro conclusioni: sopra il 90% il debito pubblico danneggia seriamente la crescita economica. Come ha ben spiegato sul «Corriere della Sera» l’economista italiano Francesco Daveri, anche con le cifre riviste dal gruppo di Amherst la crescita deve rinunciare mediamente a oltre l’1%, il che significa che in 20 anni di debito eccessivo si hanno in pratica oltre 20 punti in meno di crescita. Non si tratta di numeri di poco conto. E infatti neppure gli economisti di Amherst predicano l’aumento del debito.
Dunque la disputa teorica è in realtà meno ampia di quanto venga ora da molti indicato.

In questo quadro confuso occorre ricordare alcuni punti centrali. Per una crescita solida nel lungo periodo, il rigore nei conti pubblici va attuato sempre, mettendo fieno in cascina nelle fasi positive e serrando i ranghi nelle fasi negative. L’austerità, se applicata in modo ragionevole e se inquadrata in una politica di rigore di lungo termine, serve a superare i passaggi difficili e ad aiutare il ritorno alla crescita. Quando l’indebitamento pubblico supera addirittura, e non di poco, quota 100% (la Grecia è al 156%, l’Italia al 127%, il Portogallo al 123%, l’Irlanda al 117%) non serve a molto dire: spendiamo per aumentare il PIL, così cresciamo e si riduce la percentuale dell’indebitamento. L’inflazione derivante da moneta e liquidità abbondanti è un falso rimedio, parziale e di corto respiro. Prima o poi i mercati, non vedendo una reale riduzione del debito, tornano a chiedere interessi più alti e il Paese super indebitato deve pagare questi ultimi, sottraendo risorse alla crescita. Nell’ambito dell’Eurozona, la Germania ha in realtà già accettato molti compromessi, tra cui l’allungamento dei tempi di riallineamento dei conti di alcuni Paesi, tra questi anche la Spagna e la stessa Francia. Andare troppo in là, demolendo ciò che resta della linea del rigore, significherebbe non soltanto far tornare in alto mare l’euro

l'articolo sopra, riportato parzialmente, è una parziale indiretta incompleta ma insomma una risposta alla riflessione su Takahashi

il problema è che la politica di rigore serve imho ad evitare la crisi, ma non necessariamente ( anzi..) ad uscirne
quindi una saggia politica di compromessi, allungando i tempi ma mantenendo i principi, potrebb essere la soluzione per una crescita solida
btw, come detto, le scelte monetariste mi sembrano prima o poi 'aiutate' da conflitti militari che non ne hanno permesso la verifica , se successi o fallimenti: e io non mi sento keynesiano abbastanza per avere un bias sulla ipotesi dei successi
 
l'articolo sopra, riportato parzialmente, è una parziale indiretta incompleta ma insomma una risposta alla riflessione su Takahashi

il problema è che la politica di rigore serve imho ad evitare la crisi, ma non necessariamente ( anzi..) ad uscirne
quindi una saggia politica di compromessi, allungando i tempi ma mantenendo i principi, potrebb essere la soluzione per una crescita solida
btw, come detto, le scelte monetariste mi sembrano prima o poi 'aiutate' da conflitti militari che non ne hanno permesso la verifica , se successi o fallimenti: e io non mi sento keynesiano abbastanza per avere un bias sulla ipotesi dei successi

Si infatti anche in giappone le iniziative del nuovo governo che ricordiamolo è composto dalle tre freccie ; politica monetaria politica fiscale e efficentamenti strutturali riusciranno forse ad avere successo ma per le condizioni macro favorevoli quali la riduzione massiccia della forza lavoro visto il trend demografico che potrebbe permettere a redditi di crescere in linea con l'inflazione dopo anni che i redditi si deflazionavano piu velocemente della deflazione dei prezzi impoverendo i consumi.
 

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