Merkel rischia la sind rome Mary Pop pins
Il pericoloso autocompiacimento di chi pensa: abbiamo fatto tutte le riforme tranne quella degli spazzacamin i
LA MACCHINA ELETTORALE Non ci sono molte idee originali o irrinunciabili nella visione della cancelliera. Del resto le maggiori decisioni le ha prese sulla scia degli eventi
Il confronto televisivo di domenica tra i due sfidanti alla cancelleria ha rivelato uno dei caratteri meno evidenti ma più importanti di Angela Merkel: un’intelligenza forte ma ancorata alla rassicurante piattezza dei ragionamenti, riluttante ad approfondire le cause dei fatti o a ricercarne la responsabilità. Una «unidimensionalità» che ha purtroppo segnato negativamente anche il suo ruolo nella crisi europea.
Lei vuole capire, un passaggio dopo l’altro, problema per problema e trovare soluzioni lineari. Ma il mondo non è né piatto, né lineare.
Che non siano le grandi visioni ad appassionarla lo hanno capito presto anche nel suo partito. Le tre anime che rendevano vitale il dibattito interno della Cdu di Helmut Kohl – l’anima nazional-conservatrice, quella cristiano-sociale e quella liberista – sono scomparse dopo che Merkel ne ha soffocato gli esponenti. Il partito si è trasformato in un’unica macchina elettorale per garantire la vittoria della cancelliera. La vendita dell’anima in cambio della preservazione non è un inedito nella cultura tedesca.
Il programma della Cdu riflette infatti una visione piuttosto limitata della realtà. Il “futuro” che il testo del programma promette è solo quello “digitale”, per fare che cosa non è spiegato. Anche in questo caso a dettare il tema è un fenomeno esterno: l’autonoma trasformazione dell’industria verso la digitalizzazione dei processi, che farà coincidere produzioni di massa e servizio personalizzato al cliente. Un’evoluzione che darà altri dieci, forse venti anni di vantaggio competitivo della produzione tedesca su quella degli altri. Quindi un surplus della bilancia dei pagamenti ancora più alto a danno d’altri. Competitività e riduzione dei debiti sono la ricetta della superiorità tedesca.
La competitività spiega tutto ed è ragione di se stessa. Nel grafico si vede la variazione della produttività (Total Factor Productivity) tra il ’98 e il 2008, come indicatore della capacità dei paesi europei di fare riforme. La classifica mostra come i paesi dell’euro-area più in difficoltà siano gli stessi in cui la politica non è capace di realizzare riforme utili alla competitività. Questa logica è diventata prevalente per Merkel. Ma in questa visione unidimensionale della politica, i paesi in difficoltà hanno inevitabilmente meno capacità politica e quindi meno valore. È nota la battuta berlinese: «Volevamo fare l’euro con un marco e un franco e ci siamo trovati anche quindici silvio».
L’azione della Cdu si basa infatti su un pregiudizio di inaffidabilità politica dei partner. Tutti gli aiuti sono condizionati all’adempimento di programmi di aggiustamento e riforma, mirati a solidità finanziaria e competitività, imposti ai paesi da autorità esterne; gli aiuti inoltre sono erogati solo quando tutta l’euro-area è in pericolo e vanno limitati quantitativamente per non deresponsabilizzare il paese assistito, ma anzi tenerlo sotto la pressione educativa dei mercati. La responsabilizzazione – uno dei principi fondanti dell’economia di mercato – va portata in primo piano attraverso le regole di bail-in che impongono ai creditori privati le perdite di banche e stati. Anche se questi principi corrispondono a orientamenti ideologici più vicini ai liberali – la Cdu vorrebbe almeno estenderli a un’Europa integrata – Berlino li ha messi al sicuro con il potere di veto su tutte le decisioni fondamentali (in particolare sui fondi di assistenza) che vanno prese o all’unanimità o con maggioranze che garantiscono alla Germania un voto decisivo. Inevitabilmente prevale un criterio intergovernativo di decisione anziché comunitario. Questo almeno fino a quando tutti i paesi dell’euro-area non saranno ugualmente competitivi e privi di debiti.
C’è una tradizione pietista nell’esercizio educativo degli altri attraverso severi controlli, ma ci sono anche la prevalenza di una logica economica e il vuoto di passione per la politica che affliggono il progetto europeo.
Nell’era Merkel è la stabilità dei propri interessi a coincidere con l’esercizio del potere e a prevalere sulla morale. E questo genere di passione fredda piace agli elettori
La questione dei valori viene soffocata dalla relativa sicurezza dell’economia tedesca rispetto a quelle che la circondano: relativismo economico appunto. Progressivamente questa lettura dei fatti ha creato un senso di estraneità ingiustificato dalla crisi e dalle sue origini. La convinzione di aver fatto tutto giusto tocca livelli paradossali. Nel piano di riforma nazionale presentato alla Commissione europea quest’anno, il governo tedesco commenta che tutte le riforme necessarie sono state compiute tranne forse la liberalizzazione della professione di spazzacamin o. A Bruxelles, dove si aspetta e spera un rilancio della domanda interna tedesca attraverso le riforme del mercato dei servizi, qualcuno ha pensato che Angela Merkel, convinta di aver messo in ordine ogni cosa schioccando le dita, fosse ormai affetta dalla sindrome di Ma ry Pop pins.
Una forma di miopia che corrisponde a un sentimento di Innerli_chkeit, di sguardo rivolto al proprio interno, che fa parte della cultura tedesca. Non c’è campo in cui questo sentimento di introversione sia più evidente che nella politica estera dove Berlino spicca per mancanza di condivisione di responsabilità con la comunità internazionale.