Euro a rischio nella «guerra tra valute»
La politica ultraespansiva delle banche centrali in Usa e Giappone rafforza la moneta unica
Per lui, insieme alla discussione in corso in Giappone su quanti yen possono essere stampati senza troppo irritare Washington, «sottolinea quanto sia degenerato il discorso sulla politica economica nel mondo». La sua proposta, provocatoria, è quella di far acquistare le monete Usa dalla Nippon Ginko, la banca centrale giapponese. E il gioco è fatto. La situazione è però seria. «Una delle banche centrali storicamente più prudenti, la Bns svizzera, gestisce ora un bilancio superiore al 100% del Pil, la Fed si è lanciata nella creazione illimitata di moneta, la Bank of England potrebbe adottare come target il Pil nominale senza sapere quale sia il nuovo tasso di crescita potenziale, e il Giappone raddoppierà il suo obiettivo di inflazione proprio mentre ha difficoltà di raggiungere il suo attuale target e c’è una bolla sui bond di Tokyo pronta a scoppiare», spiega l’economista che salva solo Cina ed Eurolandia, che hanno intrapreso riforme strutturali.
Al centro di questo scenario, in modo diretto o indiretto, ci sono le valute, lo strumento preferito da governi e aziende per rivitalizzare un’economia, pericoloso però come l’alcool per i suoi strascichi: debolezza delle imprese e inflazione. È la scelta di tener basso il franco che ha spinto la Banca nazionale svizzera a comprare valute straniere, che ora gonfiano il suo bilancio. È (anche) il desiderio di far scivolare lo yen che spinge il governo giapponese a fare pressioni sulla banca centrale. Chi può negare, poi, che l’effetto prevedibile - e quindi quantomeno accettato - delle politiche ultra-ultraespansive adottate o studiate a Londra e a Washington possa essere l’indebolimento del cambio? Non è una guerra delle valute, che si combatte quando i cambi sono fissi e le svalutazioni decise per decreto, ma non può sorprendere che qualcuno abbia usato questa etichetta.
Anche perché i mercati vanno "oltre". Accade sempre così, con i cambi, e questo rende difficile per le banche centrali adottare un obiettivo valutario. È bastata così l’elezione di Shinzo Abe a Tokyo perché si sbloccasse l’effetto di una serie di fattori economici reali, fondamentali, già esistenti: i fondamentali giapponesi giustificano un moderato deprezzamento. La quota di mercato sul commercio internazionale - ricorda Kit Juckes di Société Générale - si sta riducendo da tempo; e persino la chiusura degli impianti nucleari, nel lungo periodo, alimenterà la flessione. «Se l’espansione fiscale del nuovo governo non riuscirà a rivitalizzare la domanda domestica», aggiunge Juckes, gli esportatori soffriranno molto di più di oggi, e il mondo politico non potrà permetterlo.
Il rischio è che le nuove pressioni giapponesi si scarichino sulla valuta con la politica monetaria meno "estrema", l’euro. La Bce, ha ripetuto Mario Draghi, «non commenta sui cambi»: non lo ha mai fatto e a ragione. Il presidente Draghi ha sottolineato però che il cambio dell’euro, reale ed effettivo, è al livello della media di lungo periodo; e ha in ogni caso ricordato l’impegno politico del G-20 di tenere le valute in linea con i fondamentali (un cattivo argomento, forse, se l’obiettivo è il Giappone...).
Il punto è proprio questo: l’euro potrebbe sganciarsi ulteriormente dai fondamentali. Se si pensa alle prospettive di crescita, dovrebbe perdere terreno, soprattutto sul dollaro. Le tensioni finanziarie però calano, la volatilità è ai minimi, i rendimenti italiani e spagnoli scendono: i rischi, insomma, si sgonfiano, le operazioni a breve termine sembrano dover cambiare direzione e i flussi di capitale tornano verso Eurolandia. L’euro/dollaro, allora, potrebbe tornare, per un po’, a salire.