Tbond Bund (VM69) 2014: 2014 il ritorno di Smaug (1 Viewer)

gipa69

collegio dei patafisici
Senza fiducia l'Abenomics rischia grosso... probabilmente gli aumenti salariali del shunto non servono a compensare l'aumento del costo della vita complessiva...

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f4f

翠鸟科
Senza fiducia l'Abenomics rischia grosso... probabilmente gli aumenti salariali del shunto non servono a compensare l'aumento del costo della vita complessiva...

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goooood morbing bbbanda

senza la terza freccia delle riforme, Abe rischia di far collassare il jappone sotto una montagna di carta

euruzz sotto di 90pts dopo yellen: vediamo oggi gli europei, se sono i mercati (inglesi?) a rimettere pressione su Draghi


per la EU è Merkel che deve fare quakkosa, e il qualcosa è la crescita tramite stimoli alla doada interna teteska (come richiesto da tutti e come politicamente spendibile a fronte della crisi ucraina)


interessanti i sondaggi su eurozona per le elexioni
ma sono curioso anche di quelli del referendum scozzese; ne sai qualcosa?
 

f4f

翠鸟科
gente che crede in sè stessa (e un sistema suisero , diggiamolo, che aiuta a fare impresa)


Mercuria rileva da Jp Morgan attività nelle materie prime



La società svizzera entra nella Serie A del trading

Fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori sono in pochi ad averla mai sentita nominare. E forse Mercuria non diventerà famosa nemmeno in futuro. Eppure da ieri è una vera e propria potenza, capace probabilmente di condizionare l’andamento dei mercati di molte materie prime e di rivaleggiare con le maggiori case di trading indipendentei del mondo: big del calibro di Glencore Xstrata, Vitol e Trafigura.
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BLOOMBERG Una carriera insieme. I fondatori di Mercuria, Marco Dunand e Daniel Jaeggi La società svizzera, battezzata in onore di Mercurio, il dio romano del commercio, ha ora in mano le attività di Jp Morgan sui mercati fisici delle commodities: le ha acquistate, come da anticipazioni di stampa che circolavano dall’inizio di febbraio, per 3,5 miliardi di dollari in contanti. Portando a casa asset strategici importantissimi, soprattutto per il trading di petrolio e prodotti raffinati in Nord America – mercato sempre più interessante grazie allo shale – e per le operazioni nei metalli industriali. Tra questi figurano stoccaggi da 6 milioni di barili di greggio nell’Alberta, provincia nel cuore delle oil sands canadesi, un contratto di fornitura per la maggiore raffineria della costa orientale degli Usa e la Henry Bath, che gestisce un centinaio di magazzini metalli del London Metal Exchange, che Jp Morgan aveva a sua volta assorbito solo nel 2010 attraverso l’acquisizione di Rbs Sempra, ma che si era ben presto rivelata un grattacapo, come del resto tutte le operazioni sulle commodities fisiche.
Soprattutto, ma non solo, negli Stati Uniti è cresciuta moltissimo l’attenzione dei regolatori verso i possibili conflitti di interesse e i rischi finanziari per le banche che non solo operano sui future su materie prime, ma possiedono anche asset come stoccaggi di combustibili o di metalli, pipelines, centrali elettriche e in qualche caso addirittura petroliere. La Federal Reserve, in particolare, sollecitava fin dal 2012 Jp Morgan a vendere la Henry Bath, mentre di recente ha avviato una consultazione pubblica in vista di un irrigidimento delle norme che regolano le attività delle banche nelle commodities (si veda Il Sole 24 Ore del 15 gennaio).

Jp Morgan resterà attiva sui mercati finanziari delle materie prime (compreso quasi certamente l’Lme, di cui è membro di prima categoria e market maker). Inoltre conserverà la gestione dei caveaux per la custodia di metalli preziosi. L’operazione di ieri segna tuttavia un radicale disimpegno dalle materie prime, settore in cui nel giro di pochi anni era diventata uno dei leader indiscussi, con una potenza di fuoco simile a quella di Goldman Sachs e Morgan Stanley: una fortuna costruita in gran parte rilevando "pezzi" di colossi crollati per ragioni diverse: da Enron a Bear Sterns.
Anche altre grandi banche – alle prese con regole più severe e mercati meno generosi – hanno ridimensionato nei mesi scorsi la presenza nelle materie prime: tra queste la stessa Morgan Stanley (che ha ceduto il trading fisico di petrolio alla russa Rosneft), Deutsche Bank e Bank of America-Merrill Lynch. E in molti casi ad approfittare della situazione sono state proprio le società di trading, che sono sottoposte a una vigilanza molto meno severa, specie se non sono quotate in Borsa. Proprio come Mercuria, che è tuttora controllata (con un 30% complessivo) dai due fondatori: Marco Dunand e Daniel Jaeggi, due cinquantenni svizzeri che si sono conosciuti sui banchi dell’Università di Ginevra e che prima di mettersi in proprio, nel 2004, hanno percorso insieme tutte le tappe di una strepitosa carriera di traders, passando attraverso Cargill, Phibro, Sempra e Goldman Sachs.
In soli dieci anni la loro creatura, Mercuria, ha aumentato il numero dei dipendenti da 10 a 1.200 (cui potrebbero ora aggiungersene altri 600 da Jp Morgan) e ha allargato il suo raggio di azione a tutto il mondo, espandendosi dal trading di petrolio a quello di tutte le materie prime. Chi ne ha visto i bilanci (documenti riservati, come ogni altra cosa in Mercuria) riferisce che il suo giro di affari nel 2013 ha superato per la prima volta 100 miliardi di dollari, con profitti oltre a 400 milioni. Le operazioni di Jp Morgan, la cui acquisizione sarà completata già nel terzo trimestre, ne hanno generati per 750 milioni.
 

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