Banche centrali in azione sul rischio bolle
Boom di titoli speculativi dopo anni di stimoli monetari: ora per Fed e BoE il nodo è come uscire
«I rischi sistemici non cadono comemeteoriti, masi formano con un lento accumulo». Ora che la Fed Usa e la Bank of England devono decidere quando e come ridurre le politiche monetarie ultraespansive, questa pungente frase dell’economista della Bri Claudio Borio assume un significato molto concreto. Perchédi rischi, nel mondo, ormai se ne sono accumulati tanti: sei anni di iniezioni globali di liquidità hanno infatti gonfiato troppe bolle speculative. Esagerazioni finanziarie di cui le stesse banche centrali, nei loro documenti, parlano: quella delle obbligazioni, quella degli immobili, quella dei mercati emergenti. In alcuni casi, quella delle Borse.
Fin che le banche centrali pompano liquidità e tengono i tassi bassi vatutto bene, maquandodovranno fare marcia indietro (e presto o tardi accadrà almeno in Gran Bretagna e Usa) rischiano di far crollare tutto come un castello di sabbia. Le due banche centrali che prima di tutte si troveranno a fronteggiare il tema della exit strategy sono di frontea undilemma: se non riducono gli stimoli monetari in fretta, rischiano di gonfiare ulteriormente le bolle speculative; se invece riducono gli stimoli troppo presto e troppo in fretta, rischiano di creare un cataclisma finanziario.
I rischi sistemici
Dall’inizio della crisi le banche centrali di tutto il mondo hanno pompato liquidità in abbondanza: secondo i dati di Bloomberg sull’aggregato monetario M2, dal 2007 ad oggi la quantità di moneta in circolazione nel mondo è passata da 35mila miliardi di dollari a 59mila miliardi. Inondati da questa manna dal cielo, a costo quasi zero, gli investitori di tutto il mondo hanno comprato di tutto. Questo ha avuto l’effetto di abbassare i rendimenti ovunque, spingendo gli investitori a dover rischiare sempre più pur di guadagnare qualcosa con i loro investimenti.
Il mercato obbligazionario è emblematico. I grandi flussi di acquisto sono andati abbondanti sui bond aziendali ad alto rischio (i cosiddetti «junk bond»), su quelli dei Paesi emergenti e – di recente – su quelli dei Paesi del Sud Europa. Questo ha abbassato i loro rendimenti ai minimi storici, inducendo sia le aziende sia i Paesi emergenti a sfruttare i bassi tassi per emettere tonnellate di nuovi debiti sul mercato. Ma anche questo non basta più a soddisfare i famelici investitori, che chiedono maggiori rendimenti. Accettando sempre più rischi.
Così – rileva la Bce – quest’anno c’è stato il boom di emissioni di bond strutturalmente iper-rischiosi: il mercato Usa delle obbligazioni «covenant-lite» (cioè con basse garanzie contrattuali per chi le compra) è tripicato nel 2013 a 280 miliardi; il mercato di leveraged loans è raddoppiato; i bond «payment-in-kind» (quelli cioè che non pagano interessi in denaro) hanno raggiunto i livelli pre crisi. Il tutto in un contesto di volatilità molto bassa: questo significa che gli investitori si muovono tutti nella stessa direzione. Tutti comprano. Caricando la "molla" dei rischi sistemici.
C’è poi la bolla immobiliare in molti Paesi, soprattutto nel Nord Europa. Nella città di Londra ad aprile i prezzi delle case – secondo la National Statistic – sono saliti del 18,7% su base annua: era dal luglio 2007 che non si vedeva nulla di simile. Nell’intera Gran Bretagna la corsa dei prezzi è stata, ad aprile, del 9,9%: cifre che spaventano la stessa Banca centrale. E in alcuni paesi scandinavi la corsa dei prezzi è ancora più forte.
I rischi della exit strategy
Tutto questo è stato creato dall’abbondanza di liquidità mondiale, che ha generato immensi flussi di capitali speculativi («hot money») che si sono mossi da una parte all’altra del mondo in cerca di guadagni. Sono andati sui bond dei Paesi emergenti, su quelli delle aziende, ma anche sui nostri BTp. Il problema è qui: se un giorno la liquidità dovesse calare, o i tassi dovessero iniziare a salire inducendo i capitali a ritirarsi, molti Paesi si troverebbero senza più inondazioni di denaro a fare i conti con i loro squilibri strutturali. Probabilmente non accadrà a breve (anche perché per due banche centrali che si ritirano, ce ne sono altre che continuano a pompare), ma in vista delle exit strategy di Fed e BoE i rischi aumentano.
È il Presidente della Banca centrale indiana, Raghuram Rajan, a lanciare l’allarme. «Molti degli Stati che hanno beneficiato di afflussi di capitali hanno oggi alti indebitamenti e ampi squilibri: sono dunque vulnerabili ai deflussi». Poi aggiunge: «Persino gli Stati forti come Irlanda e Spagna non sono immuni». Potremmo aggiungere l’Italia. Il Fondo Monetario lancia lo stesso allarme: «Il rischio estremo – scrive – sarebbe causato da uscite precipitose di capitali da certi mercati».
Per capire i possibili effetti, basta guardare un paio di numeri. Come si vede nella grafica a fianco elaborata dalla Bce, le aziende dei Paesi emergenti si troveranno nei prossimi anni a rimborsare debiti come mai avevano fatto: due, tre o quattro volte più della media storica. La domanda è ovvia: se l’interesse della speculazione verso i loro bond dovesse scemare, riusciranno a rifinanziare tutti questi debiti? È la stessa Bce a parlare di un «rischio di rollover del debito».
Maanche lo scoppio di una delle bolle immobiliari potrebbe avere conseguenze serie. Se la Bank of England portasse i tassi d’interesse al 2% – calcola Rbs –, il reddito disponibile delle famiglie inglesi diminuirebbe di 170 sterline al mese: considerando che (dati della BoE) i cittadini britannici hanno solo 300 sterline mensili residue dopo aver pagato le rate dei mutui e le spese fondamentali, si capisce che il margine di sopravvivenza è stretto. Dunque anche quello delle banche. Insomma: staccare la spina sarà dura per le banche centrali. Ma lasciarla attaccata rischia di peggiorare la situazione. Forse ha ragione Rajan: affinché la exit strategy sia indolore, serve un coordinamento serio tra le banche centrali.