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CI PAGHERANNO TUTTI IN BIT. CI PIACCIA O NO.
Maurizio Blondet 5 maggio 2016 3
CI PAGHERANNO TUTTI IN BIT. CI PIACCIA O NO. - Blondet & Friends

Un lunedì dello scorso aprile un centinaio di altissimi capi di banche d’affari e “delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo” si sono riuniti in un ufficio del Nasdaq a Times Square. In gran segreto. Lo scopo: una esercitazione, una simulazione riguardante trasferimenti finanziari con un nuovo metodo. Che ha avuto successo. Come ha notificato giuliva Bloomberg:

“Alla fine della giornata, tutti loro avevano visto qualcosa di straordinario: dollari americani trasformati in veri attivi digitali, utilizzabili istantaneamente fin dall’apertura di una transazione commerciale. Il sistema attuale (di trasferimenti e bonifici, ndr.) complesso, pesante, soggetto ad errori, ci mette dei giorni per trasferire denaro nella città o nel mondo, è sostituito istantaneamente da un nuovo sistema quasi sicuro e che risponde in tempo reale”. Un software “che trasformerà la finanza”, era quello che i massimi capintesta del totalitarismo finanziario.

Inside the Secret Meeting Where Wall Street Tested Digital Cash

E’ un incontro che ricorda molto da vicino quello di Jekyll Island, in cui nel 1910 i banchieri d’affari cospirarono per creare la Federal Reserve come loro banca privata di emissione (1).

Il sistema è fondato “sulla tecnologia blockhain”: la stessa su cui si fonda il bitcoin, la cosiddetta criptovaluta digitale, che ci è stata gabellata come la “moneta libertaria” e anarchica, perché esistente “sulla Rete” (cosa di più democratico? Chiedete ai 5 Stelle) sottratta alla dittatura delle banche centrali, le quali non posson svalutarla, eccetera.

Il punto è che il sistema è piaciuto ai signori riuniti a Times Square. I quali dice Bloomberg, “non erano lì solo per parlare della tecnologia”, ma di adottarla e di applicarla nel proprio interesse. Fra di loro c’erano i massimi responsabili di “Nasdaq, Citigroup, Visa, Fidelity, Fiserv e Pfizer”. E’ un’accelerazione decisiva verso l’abolizione completa del contante fisico e la materializzazione del denaro, come denuncia l’economista Michael Snyder (direttore di The Economic Collapse).

I signori sono interessati, come spiega Bloomberg, al fatto che questa che viene creata è moneta spendibile, o gli somiglia molto. “I pagamenti elettronici attuali sono in realtà dei messaggi che avvertono che del denaro deve passare da un conto all’altro, un sistema che prende tempo, anche dei giorni, perché le banche attendono delle conferme. Per contro, i dollari digitali sono pre-caricati nel sistema blockchain; così possono essere spesi quasi all’istante contro qualunque attivo”.

Insomma sarebbe un borsellino elettronico pre-pagato, quello che vi darà il vostro salario, pensione, o altro pagamento; che saranno versati ovviamente sul “vostro” borsellino elettronico. “Vostro” fra virgolette, perché ce l’ha la vostra banca, non voi in tasca.



Naturalmente ve la vendono come passo decisivo contro “l’evasione fiscale, il riciclaggio, il crimine organizzato”, propaganda utilissima a conquistare l’immediato favore delle masse di moralisti giustizialisti e manettari, e farne il corpo elettorale (sono legione) che dirà sì, anzi pretenderà il passaggio al sistema (“così nessuno può nascondere niente”) e se ne farà psico-polizia volontaria. Anzi hanno già cominciato. In significativa coincidenza con l’incontro segreto di Times Square, Mario Draghi ha annunciato l’abolizione della banconota da 5000 euro, e tutti i media: “Bella misura anti-riciclaggio”, raccontando che “Il Lussemburgo ha stampato l’anno scorso il doppio del suo Pil in banconote” per lo più da 500 euro, “il che è sospetto secondo Euroactiv”.

Certo che è sospetto. Ma non per i motivi che vi spiegano. Anzitutto: come mai la Banca Centrale Europea consente al Lussemburgo di continuare ad essere un paradiso fiscale, non esige l’adeguamento delle sue leggi allo standard europeo (che a noi viene imposto)?
E peggio: come mai permette al Lussemburgo di stampare banconote per due volte il suo Pil?
A quanto ne sapevo (o credevo di saper) ogni paese dell’euro può fabbricare in proprio solo la moneta metallica; le banconote, le stampa la BCE che se ne incamera il signoraggio (in pratica, anche se sono le banche centrali locali a stamparle concretamente, lo fanno su mandato BCE e coi limiti del mandato).

Invece di porre fine a questo scandalo, ecco la soluzione di Draghi: “Fuorilegge le banconote da 500 euro” entro il 2018. Applausi giustizialisti.

Mica si fermano qui.

Già Svezia e Norvegia vogliono la sparizione di banconote di taglio minore.
In Usa è stata allestita una campagna per l’abolizione della banconota da 100 dollari.
Il governo della Danimarca ha posto “la soppressione del denaro fisico” come suo programma. In Norvegia è la più grossa banca del paese a reclamarne l’abolizione totale. Il sistema testato a Times Square fornisce lo strumento ideale.

Quale miglior regalo per le banche? Possono andare in bancarotta, senza temere la corsa agli sportelli dei correntisti e risparmiatori per ritirare il loro denaro: quale ‘denaro? Quale “loro”? Il deposito in banca è – come è scritto – non più “vostro”, ma della banca: è l’esproprio, per ora solo virtuale, di tutte le ricchezze che non siano in contanti o in oro. La quale lo usa come briciola per creare tutto il denaro dal nulla su cui lucra gli interessi, indebitandoci tutti. Adesso nessuno potrà sottrarsi alla frode bancaria fondamentale tenendo i suoi risparmi sotto il mattone. Né pagare in contanti le bollette. Dovrà pagarle attraverso transazioni bancarie, che alla banca costano nulla (grazie a blockchain) ma su cui lucrerà le “commissioni” applicate ad ogni uso di carte di credito o di debito (i bancomat, borsellini elettronici pre-pagati).

Pensate a un Potere Grillo con il Bit
Nel 2014 il sistema bancario ha risucchiato commissioni da 417 miliardi di transazioni elettroniche, tante ne sono avvenute quell’anno. Domani, il numero di transazioni si moltiplicherà per 3 o per quattro. O più. E di tanto si moltiplicheranno i lucri delle banche.

Sì, perché sono commissioni ingigantite dal fatto che una società dove il contante fisico è abolito obbliga letteralmente tutti – “piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” (Apocalisse 13) – a diventare clienti forzati delle banche. Naturalmente non vi accorgerete che questo si chiama Totalitarismo. Lo chiameranno Trasparenza, e voi ci crederete. Se non voi, il vostro vicino: quello che vi denuncerà a Europol. Per psico-reato.

Avete già visto: Italia e Francia vietano pagamenti in contanti sopra i mille euro; la Spagna sotto i 2500. E’ una tendenza che avrà un’accelerazione, dopo il successo dell’esperimento a Times Square.
litarismo.
Lo chiameranno Trasparenza, e voi ci crederete. Se non voi, il vostro vicino: quello che vi denun
Il governo, qualunque governo, non solo sarà lieto perché ogni minima evasione fiscale verrà resa impossibile. Sarà ancor più lieto di sapere, in ogni istante, a chi avete pagato qualcosa e perché. Avete pagato una stanza d’albergo: eravate con l’amante? Già adesso in USA pagare un hotel in contanti è un dato “sospetto” e l’FBI pretende dagli albergatori che glielo segnalino. Avete dato 50 euro alla parrocchia? Ai “tradizionalisti di Lefèvre”? Al Movimento per la Vita? Dunque siete cattolici forse contrari alla Cirinnà, magari all’imposizione del gender nelle scuole, e poco contenti delle nozze gay. Europol vi ha già iscritto nei suoi registri elettronici: siete “omofobi”, o sospetti tali. Oppure avete contribuito a un partito di quelli che stanno crescendo, e già vengono criminalizzati come “xenofobi”, “identitari”, nazionalisti, razzisti. Questi partiti che Bruxelles e Berlino e Parigi vogliono tanto dichiarare illegali e proibiti perché “dalla parte sbagliata della storia”, e “privi di misericordia” verso gli immigrati. Non riceveranno più un bit. Niente più idee sbagliate. Solo una avrà diritto da esistere, quella Giusta.

Il potere potrà controllare e sorvegliare ogni minimo particolare delle nostre vite. Non ci sarà più vita privata alcuna. Naturalmente con l’imperiosa ingiunzione delle masse manettare, che gridano “Fatelo! Non abbiamo niente da nascondere, NOI!”. Ovviamente sono quelli che, in realtà stanno dicendo: “Abolite la libertà di parola, tanto NOI non abbiamo niente da dire”. E questi sono la maggioranza assoluta, cari lettori.

Quando Grillo si lascia scappare che vuole “il cento per cento dei voti”, ossia del potere, provatevi ad immaginare un potere tipo Cinque Stelle nel regime di abolizione del contante. Il Potere totale (Totalmente Trasparente, Assolutamente Morale) si ergerà a giudice ed arbitro di quelli che saranno autorizzati a utilizzare il sistema senza contanti; e di quelli che, avendo idee “sbagliate”, o peggio compiendo azioni “disapprovate dalla Rete”, devono essere sbattuti fuori. Il Potere si darà leggi per rendere legale questa esclusione selettiva degli avversari ideologici e degli altri. Già abbiamo visto l’inizio di una campagna – assolutamente liberticida – contro i medici che (in grande maggioranza) si rifiutano di praticare aborti. Gli si potrà bloccare lo stipendio pubblico, perché “l’aborto è una legge dello Stato” e bisogna obbedirle. Inoltre la libertà di coscienza non prevale quando viola “i diritti delle donne”. I medici fermi nell’obbedire alla loro coscienza saranno ridotti alla fame.

E’ possibile immaginare che il Potere Morale imponga, per consentire ai cittadini di esser parte del sistema di pagamenti digitali, un giuramento di fedeltà alle “regole” che sono “le sole giuste e morali”. Il resto lo sapete, perchè ne siete stati preavvertiti:

“… obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome (Apocalisse 13:16-18)
 
Da blockchain alla Brexit, passando per BPVi: intervista a tutto campo con Davide Serra
6 maggio 2016 · di Diana Bin · 1 Commento
Da blockchain alla Brexit, passando per BPVi: intervista a tutto campo con Davide Serra | AdviseOnly Blog


Abbiamo fatto due chiacchiere con Davide Serra, CEO di Algebris Investments, in occasione del FinTech Stage di Milano. Ecco che cosa ci ha raccontato sul mondo del FinTech, sulle banche italiane e sul referendum del 23 giugno nel Regno Unito.
In occasione della seconda tappa italiana del FinTechStage, in scena a Milano il 5 e il 6 maggio 2016 presso il Talent Garden di via Calabiana, abbiamo intercettato Davide Serra, CEO di Algebris Investments e keynote speaker dell’evento dedicato al mondo FinTech. A margine del suo intervento abbiamo parlato con lui di FinTech e blockchain, ma anche di banche, aumenti di capitale e Brexit. Ecco che cosa ci ha raccontato.

La tecnologia blokchain è davvero il futuro delle transazioni finanziarie?
Io credo di sì. Blockchain è un po’ come un catasto che però – invece di essere fatto come da noi, ancora come ai tempi dei romani – è digitale, non può essere alterato, ha costi bassissimi ed è distribuito in tutto il mondo, così chiunque potrà avere accesso immediato alla certezza della proprietà dei dati. È una tecnologia che consentirà di abbattere immediatamente i costi che attualmente gravano sulle banche per proteggere i dati. Oggi, per esempio, il rischio di trasferimento del denaro passa da banca a banca. Domani avremo un registro pubblico, che si chiama public ledger, dove le informazioni saranno disponibili per chiunque abbia accesso allo stesso public ledger, distribuito a livello globale. Vedo la blockchain come una sorta di Wikipedia: uno shared asset a costo zero, gestito nell’interesse pubblico, che abbatterà sensibilmente i costi di gestione delle istituzioni finanziarie . E non stiamo parlando di briciole: oggi i costi IT delle banche e delle assicurazioni nel mondo sono pari a circa 800 miliardi di dollari l’anno. È quasi l’1% del PIL globale.

Questa trasformazione avrà un impatto già nel breve termine?
La trasformazione non avverrà presto, ma sicuramente ci sarà. Il primo vero test parte in Australia, con il mercato azionario ASX che rimpiazzerà la sua piattaforma attuale con una tecnologia blockchain, ma anche in Estonia, dove sono già partite diverse iniziative in questo senso. Secondo me comunque, l’impatto inizierà a sentirsi nel giro di cinque-dieci anni. Attenzione però, qui è importante fare una distinzione: quando parlo di blockchain non parlo di Bitcoin. Il Bitcoin secondo me è il valore quotato del money loundering (riciclaggio di denaro, ndr): se tu chiedi “Quanto costa riciclare denaro?”… ecco, c’è un prezzo ufficiale e si chiama Bitcoin. La tecnologia sottostante invece, blockchain appunto, è evolutiva e trasformativa e ha un grande potenziale.



Quali settori in ambito finanziario saranno più interessati dalla trasformazione?
Blockchain avrà impatto sui costi di tutti i settori – assicurazioni, banche, Borsa… – dal momento che permetterà di avere la certezza della proprietà. Ma le più interessate saranno le banche retail, che hanno costi di distribuzione troppo alti, e le assicurazioni, che grazie alla nuova tecnologia saranno in grado di prezzare i rischi in modo molto più preciso.

Quali sono gli ostacoli specifici alla diffusione del FinTech in Italia?
La tecnologia aumenta la trasparenza e abbassa i costi, e questo è sempre positivo per il consumatore. Poi però è necessario che lo stesso consumatore sia in grado di capire l’informazione che si trova di fronte, e questo non sempre succede. Non a caso in Italia ha preso piede il FinTech applicato ai mutui e alle assicurazioni, perché in questi ambiti è facile capire: tra una Rc auto che costa 1.000 euro e una che ne costa 900 è senz’altro meglio quella che costa meno. Le cose cambiano quando si parla di investimenti, perché qui il ritorno non è certo. E gli italiani in particolare hanno un rapporto molto forte con l’intermediario che si occupa del loro denaro, a maggior ragione in un momento come questo il cui il tasso d’interesse risk free è a zero o addirittura negativo. Comunque anche questa industria si dovrà adattare prima o poi, è solo questione di tempo: io penso che a livello globale l’impatto della digitalizzazione farà scendere i margini per gli asset manager. E allora l’unica via d’uscita sarà “fare scala”, cioè aumentare le dimensioni dell’attività per non erodere troppo i margini.

Cambiando completamente discorso, come vede la mancata quotazione della Banca Popolare di Vicenza?
Ah beh, lì c’era poco di FinTech, parliamo piuttosto di Prosecco e un aumento di capitale finto… Il problema fondamentale è che le banche in Europa sono oggi esattamente allo stesso prezzo del 1991. È un’industria che in 25 anni non ha creato valore. E poi l’Italia è l’ultimo Paese a riformare il sistema bancario: tutti gli altri Paesi europei hanno ristrutturato il proprio sistema bancario dopo il 2009, mentre qui si continuava a dire che andava tutto bene. Poi però i nodi sono venuti al pettine tutti in un colpo.

Per concludere, cosa pensa del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’UE, in agenda il prossimo 23 giugno?
Io abito a Londra da 21 anni, i miei bambini sono inglesi e io… quasi. Il problema è che, come in tutti i referendum, anche nel caso della Brexit non sono stati spiegati bene gli impatti economici, né cosa succederebbe con l’uscita della Gran Bretagna dall’UE: la decisione è lasciata molto alla pancia della popolazione, quindi imperversano la disinformazione e il populismo. Alla fine, secondo me, il Paese voterà di rimanere nell’UE, o almeno me lo auguro. Spero che prevalga la scelta di contare di più nel mondo e in Europa, di avere accesso a un mercato molto importante e di avere maggior rilevanza geopolitica ed economica. Il tutto pur mantenendo una valuta e una banca centrale indipendenti. Buttare via tutto questo sarebbe un peccato. Non a caso, nessun Paese importante, dagli Stati Uniti alla Cina, ha detto che per il Regno Unito sarebbe meglio lasciare l’Unione Europea. Ecco, l’unica che forse sarebbe contenta è la Russia, che non vede l’ora di vedere l’Europa disintegrata.
 
Undernet e Skynet
L’arrembaggio
del flash-capitalismo

Sei millesimi di secondo possono fare la differenza fra un profitto e una perdita
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18 APRILE 2016 – Qualcuno ha investito 300 milioni di dollari per posare un cavo sottomarino che consente di guadagnare sei millisecondi di velocità nella trasmissione dei dati fra Londra e New York. Basta questo per comprendere come la rivoluzione tecnologica stia mutando le regole del gioco dei mercati finanziari. Qui ed ora, nel mondo meraviglioso dell’hi-tech applicato alla finanza, la latenza – ossia il tempo di risposta fra un input e un output nella trasmissione dei dati – è l’autentica variabile indipendente dalla quale finiscono col dipendere i prezzi di ciò che si scambia.

Questi ultimi finiscono con l’essere in gran parte determinati da orde di robot automatici che processano migliaia di operazioni al secondo seguendo algoritmi predittivi pseudo-intelligenti. E questo spiega perché l’ordine di grandezza del millisecondo, al di fuori della portata gnoseologica degli umani, sia ormai la misura standard dell’efficacia di un sistema di trasmissione dati e, per conseguenza, di un trading system.

Questa mutazione sintetica del vecchio turbo-capitalismo nel neonato flash-capitalismo vive all’ombra delle cronache che solo di recente hanno preso a interessarsene, mentre viene osservato con preoccupata costernazione da diversi regolatori. Di recente la Bce ha presentato un paper che analizza gli effetti economici del viluppo di cavi che, sotto gli oceani o le montagne, costituisce il sistema nervoso del flash-capitalismo. Questa sorta di Undernet rappresenta i binari sui quali terabyte di informazioni viaggiano a velocità impensabili da un capo all’altro del mondo, finendo col concentrarsi in pochi centri finanziari – Londra, New York e Tokyo – e così consolidando il dominio di queste piazze sul circuito finanziario globale.

Una volta arrivate a destinazione, queste informazioni vengono digerite da sistemi di trading complessi, per lo più piattaforme proprietarie di poche entità, e da lì indirizzati verso i desk di utilizzatori più o meno grandi che trasformano questi bit in ordini di acquisto e vendita. Il tutto accade altrettanto istantaneamente, 24 ore al giorno, sotto l’egida di tecnici iper specializzati dove un master in fisica, statistica o in matematica vale assai di più di uno in finanza, materia ormai obsoleta nell’universo dei big data. E in questa differenza di skill risiede forse l’unica differenza fra il flash-capitalismo e quello che l’ha preceduto. Perché per il resto si somigliano. Entrambi sono basati su un oligopolio di giganti che vede, relativamente alla Undernet, grandi aziende di telecomunicazioni accanto alle quali nel tempo hanno iniziato a sorgere entità private che nessuno ha mai sentito nominare fuori dai circuiti specializzati, come la Hibernia la società che nel 2015 ha battezzato il cavo da 300 milioni fra Londra e New York per guadagnare frammenti infinitesimali di istanti che nel capitalismo hi-tech fanno la differenza fra un profitto e una perdita. E, soprattutto, il flash-capitalismo, pur favorendo l’emersione di nuovi corsari, consolida vecchie posizioni di potere, ottenendo così il risultato di favorire un inusitato matrimonio fra il nuovo e il vecchio che fa di questa evoluzione un fatto pacifico. E ciò spiega pure perché sia così poco osservato.

Il caso della piazza di Londra, che grazie alla Undernet ha consolidato il suo dominio sul mercato dei cambi è icastico. L’analisi della Bce, che proprio su tale mercato è focalizzata, (“Cables, Sharks and Servers – Technology and the Geography of the Foreign Exchange Market”) ci fa capire sostanzialmente due cose. La prima è che la liberalizzazione dei capitali, che la vulgate annovera fra le cause principali dell’esplosione di ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza registrata negli ultimi trent’anni, difficilmente avrebbe potuto essere così invasiva se nel frattempo la tecnologia non le avesse fornito un’infrastruttura via via più efficace per compiersi. “”Il mercato dei cambi – dice il paper – è stato trasformato sin dal finire degli anni ’80 con l’avvento del broking e del trading elettronici, potendo contare su tecnologie dell’informazione meno costose e più efficienti. Oggi il trading elettronico domina i mercati dei cambi”.

Oggi il trading elettronico domina i mercati dei cambi

La seconda evidenza è che la tecnologia, “ha importanti implicazioni economiche, riduce le frizioni spaziali fino all’80% e aumenta, in termini netti, la quota di trading offshore del 21%”. E non solo: “La tecnologia ha anche effetti economici importanti per la distribuzione delle transazioni finanziarie nel mercato dei cambi fra i vari centri finanziari, facendo crescere la quota del turnover globale nel mercato di Londra, la più grande sede di negoziazione, di quasi un terzo”. Questo vantaggio competitivo, ipotizzano gli studiosi, dipende parecchio anche dalla posizione geografica. Le città che sorgono accanto al mare sono candidate naturali all’interconnessione sottomarina. Una volta le città sorgevano lungo i fiumi, oggi serve l’oceano per essere candidate al ruolo di centro finanziario. Zurigo e Singapore, ad esempio. Negli anni ’90 le transazioni off shore di Singapore erano circa il 60% in più di quelle di Zurigo. Oggi il mercato asiatico è quasi due volte più grande di quello svizzero. Cosa è successo nel frattempo? Singapore è diventato un hub di cavi sottomarini, mentre la Svizzera, che è lontana dal mare, no. Tutto ciò mentre sin dal 1990 a Londra, Tokyo e New York trovavano ospitalità i server dell’Electronic Broking Services (EBS) e della Thomson Reuters. “Ne segue che la connessione di un paese con l’UK, gli Usa e il Giappone, riduce i tempi di latenza e aumenta la larghezza di banda”. Ecco i luoghi di residenza del flash capitalismo.

Sappiamo più o meno chi siano i nuovi padroni delle ferriere, conosciamo per grandi linee chi siano i provider dei dati, e chi siano i proprietari di molte delle piattaforme di negoziazione che materializzano questi flussi istantanei in azioni di trading. Conosciamo meno la fisionomia degli “utilizzatori finali”. Anche se sappiamo come agiscono.

Sull’HFT (High frequency trading) sta fiorendo tutta una letteratura insieme a studi degli osservatori internazionali che ci consentono di sbirciare dal buco della serratura nel cuore della macchina. Qualche tempo fa se ne è occupato il Fmi, in uno dei suoi ultimi rapporti sulla stabilità finanziaria. Ma soprattutto se ne sono occupati alcuni regolatori prendendo a pretesto alcuni eventi, denominati flash crash – anche i crash in questo nuovo capitalismo sono fulminei e violenti – accaduti nel 2010 e, più di recente, il 15 ottobre 2014, che vide come protagonista il mercato obbligazionario americano, un ecosistema finanziario fra i più delicati, visto che sottostà come collaterale alle transazioni finanziarie di mezzo mondo.

Il 15 ottobre 2014 lo yield sul benchmark dei titoli a dieci anni, che influenza significativamente i prezzi di altri asset, sperimentò un trading range di 37 punti base, per poi chiudere a 6 punti base dal suo prezzo di apertura. Fino ad allora un livello così elevato di oscillazione intraday si era registrato solo in tre occasioni, a partire dal 1998. Ma a differenza di quanto accaduto il 15 ottobre, tale oscillazione trovava giustificazione in significanti annunci di politica economica.
L’evento fu talmente traumatico che le autorità americane giudicarono necessario organizzare una indagine che coinvolgesse tutte le autorità di regolazione e controllo, dalla Fed alla Sec, passando per il Dipartimento del Tesoro, la Fed di New York e la Commodity futures trading commission (CFTC). L’analisi condusse alla conclusione che fra le 8.50 e le 9.33 A.M. il book di negoziazione si fosse assottigliato drammaticamente. Nello stesso arco di tempo si scatenavano le armate algoritmiche. Si registrò un’impennata delle attività di HFT. Nell’arco di 12 minuti la liquidità evaporò e pochissime negoziazioni, ma molto ampie, generarono un flash-event, ossia un picco. Il picco spinse le compagnie di HFT a un trading molto aggressivo per ridurre i rischi a cui si erano esposte, ma poiché la liquidità era evaporata, i prezzi divennero estremamente volatili, conducendo a ulteriori trade di copertura, veloci e microistantanei. Come infiniti robot, gli algoritmi massimizzavano i profitti sconvolgendo il mercato dei titoli di stato americani, che per loro (ma non per noi) erano semplici numeri di codice.

Risultò pure che nel flash-event la quota di trading svolta dagli HFT avesse raggiunto l’80% del totale, a fronte di una media storica del 50%. E che gli HFT avessero comprato aggressivamente durante la salita dei prezzi e venduto furiosamente durante il crollo. Il rapporto sottolineò la predominanza delle armate HFT su quelle umane. Mentre i vecchi broker-dealers si ritiravano dal campo, le armate automatiche avanzavano veloci e compatte.

Non è un film dell’orrore. E’ solo l’alba di Skynet sui mercati finanziari.

SCHEDA – I PADRONI DELLE FERROVIE DIGITALI
Era il 1842 quando Samuel Morse, il papà che ha intitolato il codice usato nelle telecomunicazioni, interrò il suo primo cavo nel porto di New York. Il cavo era ricoperto di canapa e gomma e, incredibilmente, funzionò. Otto anni dopo, nel 1850, si iniziò a posare il primo cavo ricoperto di guttaperca che doveva connettere il Regno Unito con il continente europeo. Ma servirono altri 16 anni per avere il primo cavo transatlantico per collegare Londra con New York. Da lì la ragnatela di Undernet iniziò a dipanarsi. L’evoluzione si interruppe nei decenni fra le due guerre per riprendere solo nel 1955, quando fu posato il primo cavo sottomarino moderno, il TAT-1 (transatlantic 1), costruito con materiali e tecniche moderne. TAT-1 connesse le propaggini del Regno Unito con quelle del Nord America. All’impresa parteciparono la At&T, la Canadian overseas telecommunications corporation e l’UK general Post office. Fu inaugurato a settembre del 1956 e consentiva di gestire simultaneamente 35 telefonate. Nel 1960 si iniziarono a posare cavi di maggiore portata e affidabilità e questo processo durò fino agli albori del 1980, quando la tecnologia coassiale fu sostituita da quella della fibra ottica. Il primo cavo in fibra, il TAT-8, entrò in servizio nel 1988, finanziato da un consorzio con dentro AT&T, France Telecom (l’attuale Orange) e British Telecom. Il cavo collegava Regno Unito, Francia e Usa. Gli alfieri di questa rivoluzione furono le compagnie telefoniche, più o meno pubbliche a quel tempo. Tat-T 8 consentiva di gestire simultaneamente 40 mila telefonate.
Il problema era che questi cavi attiravano gli squali. I predatori erano attratti dalla corrente elettrica che correva nei cavi, e tendevano a distruggerli. Ciò originò un’altra generazione di cavi. Il PTAT-1 fu schermato per evitare di attrarre gli squali. PTAT-1 fu il primo cavo ottico interamente finanziato dai privati. Nella fattispecie, una compagnia americana, la TelOptik, e da una inglese, la Clabe&Wireless plc, che si proposero niente meno di generare traffico telefonico in concorrenza con i vecchi padroni delle nuove ferrovie, ossia AT&T e British Telecom. Fu l’inizio dello sviluppo furioso di Undernet. Fiutando l’affare, molti si avventarono sui fondali per piazzarvi i loro cavi. Questo boom si verificò fra il 1989 e il 2002. Qui trovate l’elenco dei cavi posati fino ad oggi oltre a chi ne siano i proprietari: i nuovi padroni delle ferrovie digitali. E tuttavia, all’inizio, questi collegamenti non erano pensati per facilitare il trading elettronico. Servivano a telefonare, mandare fax e, più tardi, le e-mail.
L’anno di svolta fu il 2010. Un’altra società, la Spread Networks, svelò di essere proprietaria di un cavo terrestre lungo 827 miglia che percorreva le viscere delle montagne e sotto il fiume di Chicago (a Chicago ha sede il mercantile exchange, dove si smerciano derivati) fino ad arrivare nel New Jersey. Questo cavo riduceva la latenza da 17 a 13 millisecondi. Fu allora che gli altri squali, quelli della finanza, fiutarono la preda. Utilizzare l’accelerazione dei dati sulla fibra per “arrivare prima degli altri” – il verbo eterno degli speculatori, parve irrinunciabile. Ciò condusse a uno sviluppo esponenziale del trading automatico, che esaltò le potenzialità offerte dal trading elettronico, ormai sviluppatissimo nei mercati finanziari.
Anche questo processo fu il frutto di una lunga preparazione. “Il trading elettronico – spiega la Bce in un suo paper – si è sviluppato anche perché le infrastrutture di mercato (i servers di EBS e della Thomson Reuters) potevano finalmente gestire (grazie alla velocità di connessione, ndr) un grande numero simultaneo di ordini e questa possibilità non era disponibile prima del 1990 perché richiedeva grande capacità di deposito di dati di elaborazione”. Sicché nel 1992 EBS e Thomson Reuters divennero “padroni” dell’infrastruttura di mercato, spiazzando tutti i sistemi concorrenti ancora basati su traffico voce. Il computer divenne lo strumento dell’inter-dealer market. Fuori dall’inter-dealer market i normali partecipanti del mercato continuarono ad usare il telefono per tutti gli anni ’90. La spaccatura si sanò progressivamente. Nel 1999 fu lanciato Currenex, una piattaforma multibancaria associata a un trading system che consentiva ai clienti di consultare le quotazioni dei cambi su una singola pagina. Quindi seguirono altre due piattaforme: FXall e Hotspot. Ma gli squali più grossi si fecero avanti fra il 2001 e il 2006, quando grandi dealer lanciarono i loro sistemi proprietari di bank trading system. Fra questi colossi si annoverano Barclays’BARX, Deutsche Bank’s Autobahn and Citigroup’s Velocity. Ciò convinse anche EBS e Thomson Reuters, a partire dal 2005, ad aprire i propri sistemi di brokeraggio non più soltanto ai dealer, ma anche agli hedge fund e agli altri trader. Sicché anche le loro piattaforme evolsero in modo tale da adattarsi alle esigenze delle compagnie di High frequency trading che, incoraggiati dall’accelerazione di Undernet, fiorivano come funghi lungo l’ultimo lustro del primo decennio del XXI secolo e ancor di più dal lustro successivo.
Oggi attorno a cavi sempre più “portanti” ci sono torme di squali sempre più affamati.
Noi siamo la loro bistecca.
 
La digitalizzazione della finanza parte dal blockchain e arriva alla consulenza

di Marco Liera


Il Financial Times ha svelato un progetto segreto di cinque tra le principali case di gestione inglesi (Aberdeen, Aviva, Schroders, Henderson e Columbia Threadneedle) che mira a verificare se la tecnologia del blockchain sia in grado di far risparmiare miliardi di sterline di costi di transazione.
Il blockchain è un gigantesco registro pubblico online, che secondo i proponenti potrebbe rivoluzionare la finanza.
Uno degli obiettivi del progetto è quello di dare agli asset manager la possibilità di trasferire direttamente tra di loro la proprietà di titoli illiquidi, un processo che attualmente può richiedere giorni. In caso di successo, gli intermediari tradizionali come le banche sarebbero tagliate fuori da questo business.
Ma le stesse banche come Goldman Sachs, Barclays, UBS e Deutsche Bank stanno lavorando sulla nuova tecnologia allo scopo di rendere istantanea l’esecuzione e la compensazione delle negoziazioni di azioni e obbligazioni.

E’ ancora presto per dire quale impatto potrà avere il blockchain, ma appare abbastanza chiaro che come è già avvenuto in passato le nuove tecnologie digitali potranno ridurre notevolmente costi, tempi e processi di transazione dei valori mobiliari. In questo modo si minimizzano parecchie rendite di posizione, e il valore aggiunto si concentra su quelle attività come la consulenza finanziaria che dipende soprattutto dalla qualificazione dei professionisti. I quali, restando al centro del rapporto con i clienti (privati ma anche imprese) possono a loro volta beneficiare delle nuove tecnologie, digitalizzando il processo di consulenza.
Digitalizzazione che infatti riguarda non solo l’investimento (area nella quale si diffondono soluzioni di robo-investing B2C, che quindi tagliano fuori i professionisti), ma soprattutto il financial planning con il robo-advisory olistico. Una nuova modalità operativa già in crescita negli USA che rende più efficiente ed efficace il lavoro dei consulenti finanziari, con allargamento notevole del loro mercato potenziale.
 

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