Accogliere per mantenere è una possibilità, che fra l'altro fa anche bene ai sensi di colpa degli occidentali (o di alcuni di essi).
Ma accogliere per integrare è un'opzione sensata?
Mi spiego: l'Africa è grande, ricca di risorse, con popolazione in crescita, eppure le aziende che delocalizzano lo fanno per trasferirsi in Turchia, in Cina, in Corea e così via: zone che hanno, rispetto all'Africa, "solo"
- una manodopera giudicata più operosa
- uno Stato giudicato meno corrotto.
Qualcuno/a ritiene che gli africani che vogliono emigrare in Europa sono non già i più ricchi (il viaggio costa molto, per i loro standard), bensì i più adatti ad integrarsi nella nostra società, in termini di ambizioni, aspettative, preparazione professionale, valori etici?
Magari non c'entra, ma recentemente ho visto un documentario su Rai Storia (canale 54, dalle mie parti), dove venivano fatte interviste a indigeni (torinesi) e immigrati (campani, sardi, calabresi) nell'Italia degli anni '50. Sembrava assodato che,
- visto che in famiglia si parlava meno bene l'italiano, i figli degli immigrati erano destinati ad avere un minor rendimento scolastico (e quindi minori prospettive future) dei sabaudi DOC
- visto che dalle loro parti si lavorava nei campi, e in Piemonte nell'industria ormai da decenni, era fisiologico che le nuove braccia non avessero capacità di concentrazione sufficientemente continua per lavorare come un torinese alla catena di montaggio
- i giovani maschi meridionali facessero apprezzamenti ad alta voce sulle qualità fisiche delle donne del nord, mentre i locali riuscivano a guardarle senza commentare.
Forse l'integrazione richiede 2 o 3 generazioni.
D'altro canto, è noto che i nipoti degli immigrati musulmani, in Francia, sono tutti radicalizzati.
In conclusione, costruiamo anche noi un muro in mezzo al Mediterraneo!