Ignatius
sfumature di grigio
La cosa clamorosa è che i conti dell'INPS sono in deficit.
L'INPS gestisce un sistema a ripartizione che spende ADESSO più di quello che incassa.
E ADESSO c'è, tra i lavoratori dipendenti sui quali l'INPS incassa i contributi, una massa di persone tra i 45 e i 60 anni che sono, verosimilmente, al top della loro carriera e quindi dei loro stipendi.
Cosa diavolo succederà quando questa massa di persone, nei prossimi 10-20 anni, smetterà di essere lautamente (relativamente e in media) pagata, e chiederà all'INPS una pensione rapportata ai (relativamente alti) contributi versati durante il periodo lavorativo?
Fonte: Popolazione per età, sesso e stato civile 2021 - Italia (tuttitalia.it)
In un sistema previdenziale già in crisi, questa massa di persone in pochi anni determinerà un forte calo delle entrate e un forte rialzo delle uscite. [Ovviamente il tutto avverrà prima e peggio con le varie Quota 100 / Quota 102, se non accompagnate da notevoli decurtazioni delle pensioni da erogare ai giovani neopensionati].
E, a pagare, rimarranno sempre meno persone, sempre meno pagate, e sempre più precarie. E non è che lo Stato abbia chissà quali margini di manovra per sovvenzionare il sistema previdenziale: le aliquote fiscali italiane sono già molto alte.
E' da osservare che questo sistema perverso fa sì che, finché il tutto non collasserà, rimarrà un sistema che privilegia chi è già andato in pensione. A scapito del resto.
Infatti, le pensioni vengono calcolate (al momento del pensionamento) non solo in base ai contributi versati, ma anche all'andamento del PIL negli ultimi anni.
Quindi potrebbe accadere che:
- nel 2030 (o anche prima, ovviamente) i conti pubblici scricchiolano notevolmente proprio (in gran parte) per colpa delle pensioni esistenti
- lo Stato ci mette una toppa aumentando ulteriormente le tasse (o riducendo i servizi pubblici)
- l'aumento delle tasse (o il doversi pagare servizi che prima erano pubblici) riduce il reddito disponibile per i consumi, e il calo dei consumi fa scendere il PIL
Quindi, con un PIL in riduzione a causa di un calo di consumi determinato da manovre finanziarie che servono per limitare i danni di un eccesso di spesa (di cui le pensioni ESISTENTI sono una componente pesantissima), verranno penalizzate le pensioni FUTURE.
E' vero che c'è stato un precedente in cui il Parlamento ha deciso di non tenère conto del calo del PIL per la determinazione delle pensioni, ma via via che passa il tempo il barile da raschiare rimarrà sempre più evidentemente vuoto, e queste decisioni (fatte per prendere qualche voto dai sessantenni) diverranno sempre più impraticabili.
Per me rimane un mistero questa sorta di Apartheid. C'era un bel film "Non è un paese per vecchi"; ecco: l'Italia è decisamente un Paese per i pensionati esistenti. I pensionati futuri pagheranno, insieme ai lavoratori, tutti i disastri che l'insostenibilità futura causerà.
Se non ho capìto male, per incomprensibili ragioni mistiche le pensioni non possono essere MAI ridotte (e anche su proposte di riduzione delle rivalutazioni, la Corte Costituzionale "protegge" i garantiti).
Non si ricalcolano le pensioni nemmeno se Tizio è andato in pensione a 50 anni, con l'80% del suo reddito, e poi le norme sono cambiate e a Caio tocca lavorare fino a 70, per poi ritirarsi con il 60% del reddito.
Sopravvivremo al collasso?
Come sopravvivremo?
Cosa fare (oltre a stimolare i nostri figli a emigrare, per evitare di avere un'aliquota contributiva del 300% sulla loro retribuzione)?
Per ora, io spero solo nella Troika.
- to be continued -
L'INPS gestisce un sistema a ripartizione che spende ADESSO più di quello che incassa.
E ADESSO c'è, tra i lavoratori dipendenti sui quali l'INPS incassa i contributi, una massa di persone tra i 45 e i 60 anni che sono, verosimilmente, al top della loro carriera e quindi dei loro stipendi.
Cosa diavolo succederà quando questa massa di persone, nei prossimi 10-20 anni, smetterà di essere lautamente (relativamente e in media) pagata, e chiederà all'INPS una pensione rapportata ai (relativamente alti) contributi versati durante il periodo lavorativo?
Fonte: Popolazione per età, sesso e stato civile 2021 - Italia (tuttitalia.it)
In un sistema previdenziale già in crisi, questa massa di persone in pochi anni determinerà un forte calo delle entrate e un forte rialzo delle uscite. [Ovviamente il tutto avverrà prima e peggio con le varie Quota 100 / Quota 102, se non accompagnate da notevoli decurtazioni delle pensioni da erogare ai giovani neopensionati].
E, a pagare, rimarranno sempre meno persone, sempre meno pagate, e sempre più precarie. E non è che lo Stato abbia chissà quali margini di manovra per sovvenzionare il sistema previdenziale: le aliquote fiscali italiane sono già molto alte.
E' da osservare che questo sistema perverso fa sì che, finché il tutto non collasserà, rimarrà un sistema che privilegia chi è già andato in pensione. A scapito del resto.
Infatti, le pensioni vengono calcolate (al momento del pensionamento) non solo in base ai contributi versati, ma anche all'andamento del PIL negli ultimi anni.
Quindi potrebbe accadere che:
- nel 2030 (o anche prima, ovviamente) i conti pubblici scricchiolano notevolmente proprio (in gran parte) per colpa delle pensioni esistenti
- lo Stato ci mette una toppa aumentando ulteriormente le tasse (o riducendo i servizi pubblici)
- l'aumento delle tasse (o il doversi pagare servizi che prima erano pubblici) riduce il reddito disponibile per i consumi, e il calo dei consumi fa scendere il PIL
Quindi, con un PIL in riduzione a causa di un calo di consumi determinato da manovre finanziarie che servono per limitare i danni di un eccesso di spesa (di cui le pensioni ESISTENTI sono una componente pesantissima), verranno penalizzate le pensioni FUTURE.
E' vero che c'è stato un precedente in cui il Parlamento ha deciso di non tenère conto del calo del PIL per la determinazione delle pensioni, ma via via che passa il tempo il barile da raschiare rimarrà sempre più evidentemente vuoto, e queste decisioni (fatte per prendere qualche voto dai sessantenni) diverranno sempre più impraticabili.
Per me rimane un mistero questa sorta di Apartheid. C'era un bel film "Non è un paese per vecchi"; ecco: l'Italia è decisamente un Paese per i pensionati esistenti. I pensionati futuri pagheranno, insieme ai lavoratori, tutti i disastri che l'insostenibilità futura causerà.
Se non ho capìto male, per incomprensibili ragioni mistiche le pensioni non possono essere MAI ridotte (e anche su proposte di riduzione delle rivalutazioni, la Corte Costituzionale "protegge" i garantiti).
Non si ricalcolano le pensioni nemmeno se Tizio è andato in pensione a 50 anni, con l'80% del suo reddito, e poi le norme sono cambiate e a Caio tocca lavorare fino a 70, per poi ritirarsi con il 60% del reddito.
Sopravvivremo al collasso?
Come sopravvivremo?
Cosa fare (oltre a stimolare i nostri figli a emigrare, per evitare di avere un'aliquota contributiva del 300% sulla loro retribuzione)?
Per ora, io spero solo nella Troika.
- to be continued -