Sharnin 2
Forumer storico
E' recessione anche in Svizzera
Alfonso Tuor
Anche la Svizzera è in recessione. La contrazione dell’economia elvetica, provocata dal calo delle esportazioni e dalla diminuzione degli investimenti, è comunque nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei. A spiegare questa differenza vi sono numerosi motivi, ma tra questi spicca soprattutto la stabilità dei consumi. La tenuta delle spese delle famiglie è dovuta alla solidità del mercato del lavoro, che solo negli ultimi mesi ha dato segni di cedimento, e al fatto che i consumatori hanno potuto beneficiare del ribasso del costo del denaro deciso tempestivamente dalla Banca Nazionale e soprattutto del forte abbassamento dei prezzi dei prodotti energetici che si sono tradotti in un aumento del potere d’acquisto delle famiglie. In pratica, si può dire che la crisi che sta scuotendo l’economia mondiale sta toccando la Svizzera in ritardo e con minore intensità.
L’Istituto di previsioni congiunturali del Politecnico di Zurigo (KOF) prevede infatti che l’impatto della crisi internazionale si farà sentire appieno nel nostro Paese a partire dalla prossima primavera. È dunque inevitabile che la disoccupazione, già in aumento negli ultimi mesi, continui a salire ed è prevedibile che le famiglie tendano ora ad essere molto più prudenti nelle loro spese. Il calo del 17% delle vendite di automobili in gennaio può essere letto come un segnale premonitore. È comunque probabile che anche in futuro gli effetti della crisi in Svizzera saranno meno pesanti di quelli negli altri Paesi europei, mentre è certo che la ripresa dell’economia elvetica potrà materializzarsi solo quando l’economia mondiale comincerà ad uscire dalla crisi, ridando fiato all’industria di esportazione che ha sempre funto da traino di ogni ripresa nel nostro Paese.
Le prospettive dell’economia mondiale appaiono tuttavia sempre più buie e non lasciano intravedere l’uscita dal tunnel della crisi. La situazione sta anzi peggiorando a vista d’occhio. Pochi credono che i piani di stimolo varati dagli Stati Uniti, dall’Europa e da molti altri Paesi siano in grado di rilanciare economie, che si stanno contraendo sempre più. Oggi si ritiene che questi piani possano al massimo attenuare la recessione. D’altro canto, gli scarsi risultati degli innumerevoli interventi miliardari tesi a salvare il sistema finanziario hanno ottenuto l’effetto di diffondere la convinzione che nessuno sa come affrontare il nodo gordiano della crisi delle grandi banche internazionali. Di tutto ciò prendono atto anche le borse che si stanno letteralmente afflosciando, con indici che perdono mediamente la metà del valore rispetto ai massimi.
Tutto induce a ritenere che siamo prossimi ad un nuovo punto di rottura di questa crisi, simile a quello dell’agosto 2007, che segnò lo scoppio della bolla dei mutui subprime, dell’aprile 2008, che coincise con il primo grande intervento statale per evitare il fallimento della Bear and Stearns, e del 15 settembre dell’anno scorso, segnato dal fallimento della Lehman Brothers. Si stanno infatti moltiplicando i segnali che hanno sempre anticipato le fasi di forte attività del vulcano dentro cui covava l’enorme bolla del credito e degli strumenti della nuova ingegneria finanziaria. I campanelli d’allarme sono diversi.
L’improvviso peggioramento del clima del mercato dei capitali, che nei primi mesi dell’anno era riuscito ad assorbire una notevole quantità di obbligazioni emesse dalle banche e dalle grandi industrie.
I massicci acquisti di titoli del debito pubblico delle banche soprattutto europee che confermano il rinnovato desiderio di accumulare liquidità per contrastare il peggioramento del quadro economico e, nel contempo, la scarsa propensione a riaprire i cordoni del credito.
La crisi persistente del colosso assicurativo American Insurance Group (AIG), che dopo essere stato già di fatto nazionalizzato richiede sempre nuove infusioni di capitale pubblico per coprire perdite che continuano a crescere (si tratta dell’esempio più chiaro dei pericoli per i contribuenti delle proposte di nazionalizzare gli istituti in crisi). La decisione del colosso bancario HSBC di varare un aumento di capitale e di ritirarsi dal mercato retail americano a causa del continuo incremento delle perdite soprattutto nel credito al consumo (le perdite di HSBC della primavera del 2007 avevano anticipato la successiva crisi dei mutui subprime): un segnale, questo, che fa ritenere imminente lo scoppio della crisi dei titoli legati al credito al consumo. La continua discesa delle valute dell’Est europeo a conferma della crescita dei timori di possibili crisi valutarie, non dissipati dal vertice di domenica a Bruxelles. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Insomma si ritorna al punto centrale di questa crisi. Il buco nero nascosto nelle pieghe dei bilanci delle grandi banche è di proporzioni tali da non permettere il risanamento del sistema finanziario. Si prosegue con la politica dei cerotti che serve solo a guadagnare tempo, ma peggiora in modo drammatico i conti pubblici e non permette di concentrare le risorse per far ripartire l’economia. Tutto induce a ritenere che questa situazione di stallo, che si protrae ormai da tempo, stia diventando insostenibile e sia prossima ad una nuova e forte eruzione.
04.03.09 07:51:01
Alfonso Tuor
Anche la Svizzera è in recessione. La contrazione dell’economia elvetica, provocata dal calo delle esportazioni e dalla diminuzione degli investimenti, è comunque nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei. A spiegare questa differenza vi sono numerosi motivi, ma tra questi spicca soprattutto la stabilità dei consumi. La tenuta delle spese delle famiglie è dovuta alla solidità del mercato del lavoro, che solo negli ultimi mesi ha dato segni di cedimento, e al fatto che i consumatori hanno potuto beneficiare del ribasso del costo del denaro deciso tempestivamente dalla Banca Nazionale e soprattutto del forte abbassamento dei prezzi dei prodotti energetici che si sono tradotti in un aumento del potere d’acquisto delle famiglie. In pratica, si può dire che la crisi che sta scuotendo l’economia mondiale sta toccando la Svizzera in ritardo e con minore intensità.
L’Istituto di previsioni congiunturali del Politecnico di Zurigo (KOF) prevede infatti che l’impatto della crisi internazionale si farà sentire appieno nel nostro Paese a partire dalla prossima primavera. È dunque inevitabile che la disoccupazione, già in aumento negli ultimi mesi, continui a salire ed è prevedibile che le famiglie tendano ora ad essere molto più prudenti nelle loro spese. Il calo del 17% delle vendite di automobili in gennaio può essere letto come un segnale premonitore. È comunque probabile che anche in futuro gli effetti della crisi in Svizzera saranno meno pesanti di quelli negli altri Paesi europei, mentre è certo che la ripresa dell’economia elvetica potrà materializzarsi solo quando l’economia mondiale comincerà ad uscire dalla crisi, ridando fiato all’industria di esportazione che ha sempre funto da traino di ogni ripresa nel nostro Paese.
Le prospettive dell’economia mondiale appaiono tuttavia sempre più buie e non lasciano intravedere l’uscita dal tunnel della crisi. La situazione sta anzi peggiorando a vista d’occhio. Pochi credono che i piani di stimolo varati dagli Stati Uniti, dall’Europa e da molti altri Paesi siano in grado di rilanciare economie, che si stanno contraendo sempre più. Oggi si ritiene che questi piani possano al massimo attenuare la recessione. D’altro canto, gli scarsi risultati degli innumerevoli interventi miliardari tesi a salvare il sistema finanziario hanno ottenuto l’effetto di diffondere la convinzione che nessuno sa come affrontare il nodo gordiano della crisi delle grandi banche internazionali. Di tutto ciò prendono atto anche le borse che si stanno letteralmente afflosciando, con indici che perdono mediamente la metà del valore rispetto ai massimi.
Tutto induce a ritenere che siamo prossimi ad un nuovo punto di rottura di questa crisi, simile a quello dell’agosto 2007, che segnò lo scoppio della bolla dei mutui subprime, dell’aprile 2008, che coincise con il primo grande intervento statale per evitare il fallimento della Bear and Stearns, e del 15 settembre dell’anno scorso, segnato dal fallimento della Lehman Brothers. Si stanno infatti moltiplicando i segnali che hanno sempre anticipato le fasi di forte attività del vulcano dentro cui covava l’enorme bolla del credito e degli strumenti della nuova ingegneria finanziaria. I campanelli d’allarme sono diversi.
L’improvviso peggioramento del clima del mercato dei capitali, che nei primi mesi dell’anno era riuscito ad assorbire una notevole quantità di obbligazioni emesse dalle banche e dalle grandi industrie.
I massicci acquisti di titoli del debito pubblico delle banche soprattutto europee che confermano il rinnovato desiderio di accumulare liquidità per contrastare il peggioramento del quadro economico e, nel contempo, la scarsa propensione a riaprire i cordoni del credito.
La crisi persistente del colosso assicurativo American Insurance Group (AIG), che dopo essere stato già di fatto nazionalizzato richiede sempre nuove infusioni di capitale pubblico per coprire perdite che continuano a crescere (si tratta dell’esempio più chiaro dei pericoli per i contribuenti delle proposte di nazionalizzare gli istituti in crisi). La decisione del colosso bancario HSBC di varare un aumento di capitale e di ritirarsi dal mercato retail americano a causa del continuo incremento delle perdite soprattutto nel credito al consumo (le perdite di HSBC della primavera del 2007 avevano anticipato la successiva crisi dei mutui subprime): un segnale, questo, che fa ritenere imminente lo scoppio della crisi dei titoli legati al credito al consumo. La continua discesa delle valute dell’Est europeo a conferma della crescita dei timori di possibili crisi valutarie, non dissipati dal vertice di domenica a Bruxelles. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Insomma si ritorna al punto centrale di questa crisi. Il buco nero nascosto nelle pieghe dei bilanci delle grandi banche è di proporzioni tali da non permettere il risanamento del sistema finanziario. Si prosegue con la politica dei cerotti che serve solo a guadagnare tempo, ma peggiora in modo drammatico i conti pubblici e non permette di concentrare le risorse per far ripartire l’economia. Tutto induce a ritenere che questa situazione di stallo, che si protrae ormai da tempo, stia diventando insostenibile e sia prossima ad una nuova e forte eruzione.
04.03.09 07:51:01