Tuor - Economia ancora in piena crisi

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Economia ancora in piena crisi
Borse in forte calo, rischi di deflazione e recessione
21 mag 2010
di ALFONSO TUOR

La pesante flessione delle borse conferma che è finita la fase di sollievo causata dagli imponenti interventi monetari e fiscali varati per limitare le conseguenze della crisi finanziaria esplosa nell’autunno del 2008. La crisi della Grecia e quella dell’euro sono stati solo un fattore scatenante di squilibri che stavano continuando ad accumularsi.
In estrema sintesi si può sostenere che il ribasso delle borse, il calo del prezzo del petrolio e di altre materie prime, la crisi di credibilità dei titoli attraverso cui si finanziano gli Stati e i crescenti timori sulla tenuta del sistema bancario (che apparentemente avrebbe dovuto essere già risanato) costituiscono, da un canto, la presa d’atto dei limiti e dell’insostenibilità delle politiche economiche seguite per salvare il sistema bancario ed evitare che la crisi finanziaria sfociasse in una depressione economica e, dall’altro, la constatazione che i Governi non sono più in grado di sostenere l’economia ed anzi sono costretti a varare politiche fiscali restrittive. L’esplosione dei disavanzi e dei debiti pubblici, che non riguarda unicamente i Paesi «deboli» di Eurolandia, costringe i Governi di molti Paesi a varare misure di austerità che si articolano nei tagli degli stipendi degli impiegati statali e delle pensioni, nel rinvio di progetti di investimento e nell’aumento delle tasse. Questa svolta della politica fiscale sta già accadendo nei Paesi di Eurolandia ed accadrà presto anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, che hanno conti pubblici peggiori della maggior parte dei Paesi europei. Questo cambiamento di rotta sta avvenendo anche per motivi completamente diversi in alcuni Paesi emergenti, che negli ultimi mesi avevano continuato a crescere a ritmi sostenuti. Ad esempio in Cina, il Governo ha varato una serie di misure per frenare la corsa dei prezzi immobiliari e sta preparando il terreno per un rialzo del costo del denaro per evitare un aumento dell’inflazione determinata anche da un’economia che sta crescendo a tassi superiori al 10%. Un cambiamento analogo dell’indirizzo delle politiche economiche è in corso anche in altri Paesi emergenti. Insomma, le politiche statali da fattore di stimolo della crescita stanno rapidamente trasformandosi in un fattore di freno nei Paesi occidentali per l’insostenibilità dell’indebitamento pubblico, nei Paesi emergenti per evitare il formarsi di bolle speculative e combattere un’inflazione che ha dato segni di risveglio.
Il ribasso delle borse è da ascrivere quindi alla consapevolezza che sta finendo il periodo del denaro facile e che la svolta delle politiche fiscali attualmente in corso farà rimpiombare rapidamente in recessione l’economia occidentale. Infatti la crisi greca e le difficoltà dell’euro non sarebbero sufficienti a spiegare il forte calo dei prezzi di alcune materie prime che anticipano un rallentamento della crescita dei Paesi emergenti e il ritorno della recessione in molti Paesi occidentali. In buona sostanza, la crisi finanziaria che alcuni ritenevano fosse alle nostre spalle si ripresenta con tutta la sua forza distruttiva.
Quest’ultima è stata esaltata dalla crisi della Grecia e dell’euro che non hanno messo solo in evidenza l’insostenibilità del debito pubblico di alcuni Paesi europei, ma anche che le condizioni di salute del sistema bancario non sono affatto migliorate. Infatti tutti hanno compreso che la crisi del debito pubblico dei Paesi europei «deboli» era anche una nuova crisi del sistema bancario europeo, che detiene una buona parte dei titoli statali di questi Stati. Non sorprende dunque che si sia immediatamente ritornati ad una situazione analoga a quella che ha preceduto il fallimento della Lehman Brothers: l’accesso di alcune banche al mercato interbancario è diventato difficoltoso (segno della sfiducia tra le stesse banche), i tassi a breve termine hanno ricominciato a salire, le banche europee non riescono a rifinanziarsi in dollari per cui la Banca centrale europea ha dovuto farsi aprire una linea di credito dalla Federal Reserve per prestare agli istituti europei i dollari di cui hanno bisogno. E le cifre in gioco sono enormi: si stima che le necessità di rifinanziamento delle banche di Eurolandia ammontino a 500 miliardi di dollari.
Il secondo motivo del calo delle borse è dunque che la crisi del sistema bancario non è stata assolutamente risolta come molti avevano cercato di far credere. Come abbiamo sempre sottolineato, nelle pieghe dei bilanci delle banche continuano ad essere nascosti miliardi di titoli tossici che grazie al mutamento delle regole contabili attuato nel 2008 nel pieno della crisi sono contabilizzati al prezzo di acquisto e non al loro reale valore di mercato. Ed un altro salvagente per le banche europee è stata varato nei giorni scorsi: potranno contabilizzare al prezzo di acquisto le centinaia di miliardi di euro di obbligazioni statali che detengono. Non dovendo contabilizzare questi titoli al loro attuale prezzo di mercato le banche eviteranno di denunciare consistenti perdite. L’ovvia conseguenza è che i bilanci delle banche diventano ancor più non credibili.
Dunque il ribasso dei mercati non è solo dovuto alla crisi della Grecia e dell’Unione monetaria europea. Essa è stata il fattore scatenante che ha dimostrato l’insostenibilità delle politiche economiche finora seguite. I mercati stanno quindi prendendo atto che, oltre alla grande incertezza che circonda il futuro dell’euro e oltre ai timori sulla tenuta del sistema bancario, si prospetta un forte rallentamento della crescita dell’economia mondiale e il ritorno in recessione di molti Paesi occidentali. In pratica, siamo di nuovo ancora in piena crisi e cresce il pericolo che l’economia mondiale finisca in deflazione.
 

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