Tuor - Il maxipiano è necessario, ma non basta

La via europea per uscire dal marasma

La via europea per uscire dal marasma
Alfonso Tuor

«Spes ultima dea», ossia la speranza è l’ultima àncora cui aggrapparsi. Questo detto latino è particolarmente appropriato alla situazione attuale dei mercati finanziari. Infatti, mentre procede a velocità spedita il tracollo del settore bancario dei paesi occidentali, molti sperano che il maxipiano americano che il Congresso dovrebbe nuovamente tentare di approvare si riveli la panacea in grado di curare tutti i mali.
Non sarà così, poiché ormai è troppo tardi. Il varo di questo enorme fondo da 700 miliardi di dollari chiamato ad acquistare la «spazzatura» (i cosiddetti titoli illiquidi) prodotti da Wall Street potrà al massimo dare un sospiro di sollievo temporaneo. E di ciò appaiono perfettamente consapevoli gli Stati europei, che, seppure in modo disordinato, hanno scelto la via, sicuramente più adeguata alla gravità della crisi, della nazionalizzione delle banche sull’orlo della bancarotta, come è stato già fatto nei casi della belgo-olandese Fortis, della franco-belga Dexia e in modo indiretto della tedesca Hypo Real Estate. E’ quanto del resto ha confermato ieri il governo francese, che per bocca del primo ministro François Fillon ha dichiarato che «lo Stato non farà fallire nemmeno una banca». In questa direzione va anche la mossa senza precedenti del governo irlandese, che ha deciso di dare una garanzia statale su tutti i depositi e su una parte dei debiti di sei grandi banche irlandesi. La copertura riguarda oltre 400 miliardi di euro di passività, più del doppio del Pil dell’isola. Questa decisione è stata accolta con grande preoccupazione dagli altri paesi (soprattutto dalla Gran Bretagna) che temono un grande deflusso di capitali dalle banche inglesi, la cui attività non è coperta da una garanzia statale, verso quelle irlandesi.
Ma cerchiamo di motivare con ordine la tesi che oramai i giochi sono fatti, che il maxipiano giunge troppo tardi e che ora l’obiettivo deve essere evitare il peggio. L’epicentro della crisi (e non bisogna stancarsi di ripeterlo) è la chiusura del mercato interbancario e di quello monetario, che in tempi normali forniscono la linfa che permette al sistema bancario di funzionare. La chiusura di questi mercati non è provocata solo dagli investitori, che non si fidano più di prestare soldi alle banche, ma dalle banche stesse, che non si prestano più soldi tra loro e che anzi custodiscono gelosamente il bene di questi tempi più prezioso, ossia la liquidità. A conferma di questa tesi basta citare il fatto che la Banca centrale europea è diventata il luogo dove le banche depositano la scarsa liquidità che ancora detengono. Solo lunedì scorso gli istituti di credito hanno depositato presso la Bce 44,4 miliardi di euro, nonostante Francoforte remuneri questi fondi al 3,25%, ossia ad un punto percentuale inferiore al tasso guida europeo e a tassi inferiori di alcuni punti percentuali a quelli che questi istituti potrebbero ottenere se prestassero questi capitali ad altre banche.
La chiusura del mercato interbancario e del mercato monetario non ha provocato ancora il tracollo dell’intero sistema, poiché le Banche Centrali si sono sostituite al mercato con continue iniezioni di capitali. Come è stato scritto, le Banche centrali da prestatori di ultima istanza sono diventati prestatori di prima istanza, irrorando i mercati di una mole di capitali tale da mettere a dura prova i loro stessi bilanci.
Dunque la crisi finanziaria si supera solo se si riaprono i mercati interbancario e monetario. In quest’ottica il maxipiano giunge fuori tempo massimo e appare inadeguato. A conforto di questa tesi basta un esempio. Considerata l’inaffidabilità dei bilanci delle banche e dei giudizi delle società di rating e tenuto conto del grado di sfiducia nei confronti del sistema bancario, non vi è alcuna ragione plausibile per cui un investitore razionale debba correre il rischio di prestare i suoi soldi ad un istituto solo perché il fondo spazzatura di Paulson ha comprato alcune decine di miliardi di titoli illiquidi che la banca deteneva. Lo stesso investitore potrebbe invece essere indotto a prestare i propri capitali ad una banca nazionalizzata o coperta da una garanzia statale (sull’esempio dell’Irlanda), poiché potrebbe ritenere che questo investimento non sia molto più rischioso della sottoscrizione di un’obbligazione emessa dallo Stato. Appare dunque più appropriata la via seguita in questi giorni dalle autorità francesi, belghe, olandesi, tedesche e britanniche per evitare la bancarotta di istituti di credito primari.
Intrigante è la proposta formulata dalla Commissione Europea di cambiare le regole contabili, permettendo alle banche di contabilizzare (non al prezzo di mercato) i titoli tossici che detengono. A prima vista questa proposta non farebbe che aumentare la sfiducia nei bilanci bancari, che già oggi non godono di alcuna credibilità. Ma ad un’analisi più approfondita quest’idea, se accompagnata dalla garanzia degli Stati europei di non permettere il fallimento di alcuna banca, darebbe agli istituti di credito del Vecchio Continente il tempo di ripulire i bilanci e di non essere immediatamente costretti a nuovi aumenti di capitale. Insomma, una «furbata» che potrebbe evitare il rapido precipitare della crisi.
Anche in questo caso non bisogna però cullarsi sulle illusioni. Bisogna agire in fretta, sperando che la garanzia statale permetta di ricreare quella fiducia degli investitori indispensabile per riaprire il mercato interbancario e quello monetario. Altrimenti, considerate l’ampiezza delle cifre in gioco, anche gli Stati potrebbero non farcela. Certamente non ce la farebbero gli Stati Uniti che dipendono dai capitali stranieri. Il vincolo estero, come ha sottolineato ieri l’economista giapponese Kenichi Ohmae, impedisce a Washington di ampliare a dismisura il proprio debito pubblico, se non contratterà con Cina, Giappone e paesi arabi una colossale linea di credito internazionale. Infatti, se è permessa una digressione, non si deve essere tratti in inganno dall’attuale forza relativa del dollaro nei confronti dell’euro. Essa non è un segno di fiducia nei confronti degli Stati Uniti, ma un ulteriore e forte campanello d’allarme. Il dollaro si sta rafforzando, poiché tutti stanno cercando di comprarlo per tappare i buchi provocati dai titoli denominati in dollari. Anche la Banca centrale europea e la nostra Banca Nazionale offrono alle banche liquidità in dollari (e non in euro o in franchi). La crisi sta determinando la distruzione di attivi denominati in dollari e quindi una contrazione dei dollari in circolazione. Il rafforzamento della valuta americana (simile a quello occorso allo yen giapponese negli anni Novanta) è figlio della crisi finanziaria e non della presunta forza dell’economia americana.
Questo enorme dispendio di risorse per salvare un sistema finanziario, che sta affondando a causa delle sue follie, è indispensabile per evitare che insieme alle banche crolli anche l’economia reale, che sta già rapidamente avvitandosi su se stessa. Il vero obiettivo è evitare una nuova Grande Depressione, ossia una calamità simile a quella che negli anni Trenta creò le premesse politiche della Seconda Guerra Mondiale.

01/10/2008 22:57
 
Per quanto riguarda gli asset illiquidi gli attuali prezzi sono frutto di un mercato per nulla funzionale, in cui l’estrema avversione al rischio ha tenuto lontano tutti i compratori. I prezzi non riflettono la realtà.

Il piano USA può alleviare una situazione anomala e difficilmente prevedibile in passato quando vennero create le condizioni della crisi attuale, alleviando la crisi del credito e permettendo una progressiva normalizzazione del mercato del credito. Gli asset acquistati dal Tesoro se tenuti fino a scadenza non dovrebbero tradursi in una perdita per lo Stato USA.
La strada delle nazionalizzazioni prospettata in Europa è invece la strada Socialista. La via del Socialismo è sempre stata la strada delle nazionalizzazioni, della socializzazione delle aziende, che in questo caso sarebbero banche.
Gli USA più coerentemente con una visione liberista, darebbero invece un sostegno temporaneo a società private che attraversano una crisi anomala (una crisi di sfiducia che ha drasticamente ridotto il mercato del credito), permettendo loro di restare private.
 
SI' DEL SENATO USA AL PIANO DI SALVATAGGIO
si tratta del piu' grande intervento mai deciso dal governo americano sui mercati dai tempi della Grande Depressione.
Per 74 si' e 25 no. L'OK era scontato, il test cruciale sara' il voto alla Camera venerdi'. Il progetto di legge e' diventato piu' voluminoso di un elenco telefonico: 451 pagine rispetto alle 106 del vecchio piano e alle 3 di Paulson.


La legge straordinaria di intervento per il salvataggio del settore bancario e finanziario e' stata votata da 40 Democratici e 33 Republicani piu' un senatore indipendente, compresi i due senatori candidati alla Casa Bianca, Barack Obama e John McCain, che sono ambedue tornati a Washington dalla campagna elettorale per il voto. Il momento veramente cruciale sara' pero' il voto alla Camera di venerdi'. Un'altra bocciatura avrebbe conseguenze deleterie sulla borsa e l'economia degli Stati Uniti, con un effetto-domino in tutto il mondo.
I senatori hanno ritoccato la prima versione del pacchetto, aggiungendo una riduzione fiscale e una maggiore protezione federale per i depositi bancari, il cui plafond passa a 250.000 da 100.000 dollari. Obiettivo del piano la stabilizzazione dei mercati del credito e del credito interbancario al fine di evitare che la crisi finanziaria faccia sprofondare l'economia Usa nella recessione. I presidente americano chiede che il provvedimento passi velocemente alla Camera.
"Dopo i miglioramenti apportati dal Senato, penso che i membri di entrambi i partiti nella Camera possano sostenere questa legge", ha detto George Bush in una dichiarazione scritta. "Il popolo americano si aspetta, e la nostra economia lo chiede, che la Camera approvi questa buona legge questa settimana per poi inviarmela" per la firma. "La legge votata al Senato è essenziale per la sicurezza finanziaria di ogni americano", ha concluso. L'investitore Warren Buffett si è dichiarato disponibile a partecipare all'1% delle perdite o degli utili del salvataggio dell'industria finanziaria che equivale a 7 miliardi di dollari. L'uomo d'affari ha sottolineato, intervistato dalla televisione Cnbc, che il piano rappresenta il salvataggio dell'intera economia americana e non soltanto di Wall Street e che i mercati stanno affrontando problemi "terribili, terribili, terribili" che necessitano dell'intervento governativo.
index.asp


http://www.wallstreetitalia.com/articolo.aspx?art_id=621395
 
BUFFETT: IL PIANO NON E' UNA PANACEA, MA ERA ASSOLUTAMENTE NECESSARIO
di WSI
Senza approvazione, sarebbe stato un disastro per tutti, dice il secondo uomo piu' ricco del mondo. Il mercato del credito e' congelato e peggiora di giorno in giorno.
...
03 Ottobre 2008 20:36 NEW YORK
Se la Camera non avesse approvato il piano di salvataggio, sarebbe stato un disastro per tutti, ha detto Warren Buffett, il secondo uomo piu' ricco del mondo, in un'intevista al Cnbc. "Non e' una panacea, ma ci da' qualche strumento in piu' per cercare di risolvere la situazione. Non e' ancora chiaro se il piano funzionera' oppure no, ma il mercato ne aveva assolutamente bisogno. Il mercato del credito e' congelato e peggiora di giorno in giorno. Ci vorra' certamente del tempo prima che la recessione finisca e che il bottom sia raggiunto".
index.asp


http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=622264
 
Una luce alla fine del tunnel
Alfonso Tuor

L’Europa non solo c’è, ma ha anche indicato una chiara prospettiva per uscire dall’attuale crisi finanziaria. Infatti nel vertice tenutosi sabato a Parigi, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna si sono assunti l’impegno di convocare, il più presto possibile, un vertice internazionale allargato ai principali paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Russia, Messico, Egitto e Sudafrica), avente lo scopo di varare una riforma completa del sistema finanziario. Il «Direttorio» europeo non ha solo evocato la necessità di una nuova Bretton Woods, ma anche indicato i contorni di questa grande riforma del sistema capitalistico. Come ha spiegato il presidente francese Nicolas Sarkozy, i punti salienti sono «privilegiare il capitalismo d’impresa e non quello della speculazione e dell’avventurismo; privilegiare l’economia reale, che produce, lavora e redistribuisce benessere, e non quella finanziaria che inquina quella produttiva con titoli tossici, che alla lunga producono una mastodontica crisi di sfiducia». Il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, è andato oltre sostenendo che «bisogna riportare l’etica nel mondo della finanza e che bisogna vietare in Italia ed in Europa i prodotti finanziari tossici (dagli Hedge Funds ai prodotti strutturati)».
Insomma, i 4 Grandi dell’Europa non sono solo consapevoli che l’uscita dal tunnel di questa crisi non è vicina, ma che per affrontare i prossimi anni, che si prospettano difficili, occorre riformare l’ordine mondiale e il sistema capitalistico e quindi bisogna indicare una prospettiva politica chiara. Sarkozy, Merkel, Berlusconi e Brown hanno perfettamente compreso che questa crisi non è solo il prodotto di eccessi e di regolamentazioni insufficienti, che non è la solita crisi finanziaria, ma che è una crisi che ha radici ben più profonde, che possono essere riassunte nella battuta: bisogna salvare il capitalismo e l’economia di mercato dagli artefici della nuova ingegneria finanziaria; bisogna dirottare nuovamente le risorse verso il sistema produttivo, poiché questa crisi, come dice Giulio Tremonti, è «la bocciatura del mito che si possono fare soldi con i soldi». Queste indicazioni molto probabilmente non resteranno lettera morta, poiché dall’altra parte dell’Atlantico, i principali consiglieri economici di Obama, che i sondaggi danno vincente alle prossime elezioni, propongono esattamente le medesime ricette. Dunque oggi una grande riforma dell’ordine mondiale appare possibile. Se questa previsione non si rivelerà infondata, è giusto riprendere ad avere fiducia nel futuro.
I 4 Grandi d’Europa non si sono solo limitati a prefigurare i contorni di un nuovo mondo, ma nella consapevolezza che l’uscita dal tunnel di questa crisi non è prossima, si sono anche preoccupati di tratteggiare le misure immediate necessarie per contenere l’incendio del sistema bancario europeo. Le proposte che verranno precisate oggi e domani dall’Ecofin e definitivamente approvate da un vertice che si terrà la settimana prossima sono sostanzialmente quelle che avevamo già indicato. Non vi sarà nessun maxipiano europeo simile a quello statunitense. Ogni Stato europeo interverrà per salvare le banche sull’orlo del fallimento, come è già stato fatto con le nazionalizzazioni di Fortis, Dexia e di altri istituti. In pratica, con questa implicita garanzia statale che non verrà permesso alcun fallimento di un grande istituto europeo, si spera di riaprire il mercato monetario ed interbancario e di risolvere il problema di liquidità.
I 4 Grandi d’Europa sono consapevoli che non vi è solo un problema di liquidità, ma anche un problema di solvibilità delle banche. A tale scopo si ricorrerà ad una «furbata»: si cambieranno le regole contabili, affinché i titoli illiquidi non vengano più contabilizzati all’attuale prezzo di mercato, ma al prezzo presumibile al momento della loro scadenza (in inglese, «held to maturity»). L’International Accounting Standard Board, un’entità privata che supervisiona le regole contabili europee, ha già ufficialmente dichiarato sabato scorso di essere pronta a cambiare immediatamente queste norme. Attraverso questa via le banche potranno denunciare svalutazioni di entità nettamente inferiore e quindi avere minori necessità di operare degli aumenti di capitale.
È incerto che questi provvedimenti bastino, come sembra dimostrare il caso di Fortis che il governo olandese è stato costretto a nazionalizzare completamente sabato scorso o quello della tedesca Hypo Re per la quale si sta disperatamente cercando di evitare il fallimento. Dunque la tensione resta altissima e l’incendio è lungi dall’essere spento. Ciò vale anche per gli Stati Uniti dove il varo del maxipiano è stato accolto venerdì scorso con un ribasso dalla borsa e dove persino per lo Stato della California l’accesso al mercato dei capitali è chiuso. Ciò ha costretto il governatore Arnold Schwarzenegger a chiedere al governo federale un prestito di 7 miliardi di dollari. È quindi molto probabile che anche questa sia una settimana ad altissima tensione. È pure probabile che le banche centrali (Fed, Bce e BoE) cerchino di abbassare la tensione attraverso un taglio concertato dei tassi di interesse. Insomma, l’incendio continua a divampare sempre più pericolosamente, ma oggi sappiamo che in campo non vi sono solo pompieri che cercano di contenere le fiamme, ma anche una prospettiva politica chiara indicata dall’Europa per costruire un sistema economico, monetario e finanziario diverso sulle macerie prodotte dalle follie della nuova ingegneria finanziaria.

05/10/2008 20:35
 
Il panico dei pompieri
Alfonso Tuor

Continua ad estendersi e a diventare sempre più pericoloso l’incendio che sta divampando nei mercati finanziari. Le borse cadono, i mercati dei capitali continuano ad essere di fatto chiusi e la crisi si fa di giorno in giorno più drammatica. In una parola è panico. A poco è servita l’approvazione del maxipiano americano da 700 miliardi di dollari; a poco sono servite le garanzie statali su tutti i depositi bancari dei risparmiatori decise questa fine settimana da Germania, Danimarca, Svezia e alcuni giorni orsono dall’Irlanda; a poco sono servite le decisioni di alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, di aumentare l’importo dei depositi bancari garantito dallo Stato; a poco è servita l’implicita garanzia europea che non verrà lasciata fallire alcuna banca; a poco sono serviti i salvataggi di Fortis, Dexia e della tedesca Hypo Real Estate.
Siamo chiaramente entrati nella fase di maggiore pericolo di questa crisi, ossia quella in cui - come ha scritto l’economista americano Stephen Roach - «l’implosione dei mercati comincia ad avere una vita propria e a rafforzarsi autonomamente». Una fase di panico finanziario, come aveva scritto il grande studioso della Grande Depressione, l’economista di origini svizzere Charles Kindleberger, può essere fermata solo se si verifica almeno una di queste tre possibili condizioni: che i prezzi dei titoli scendano a livelli nettamente inferiori a quelli ragionevoli oppure che i mercati vengano chiusi o ancora che vi sia un’azione decisa delle banche centrali e delle autorità politiche.
L’osservazione della realtà attuale non è confortante. Le banche centrali e le autorità politiche sono scese già da tempo in campo, ma i loro interventi non hanno riportato la fiducia nei mercati. Addirittura ieri la Federal Reserve ha annunciato di aver aumentato a ben 900 miliardi dollari la liquidità che metterà a disposizione delle banche commerciali, ma senza grandi risultati. Sempre ieri la banca centrale statunitense ha comunicato che remunererà la liquidità degli istituti bancari depositata presso la Fed. Quindi l’istituto di emissione non solo diventa il prestatore di prima istanza, che si sta sostituendo a mercati dei capitali di fatto chiusi, ma accetta come un fatto oramai ineluttabile che le banche non si prestino più soldi l’una con l’altra e quindi comincia a remunerare la loro liquidità depositata presso la Fed. Pure il maxipiano statunitense e i vari salvataggi non sono bastati a ricreare la fiducia. Anzi, tutti stanno capendo che i pompieri (banche centrali e governi) non sanno cosa fare e sono anch’essi in preda al panico. In queste condizioni anche un taglio simultaneo dei tassi da parte delle principali banche centrali non produrrebbe grandi risultati. Restano le altre due opzioni: un crollo del valore degli asset finanziari nettamente superiore al ragionevole, tale da spingere alcuni investitori all’acquisto, oppure la chiusura dei mercati per riportare la calma. L’analisi di Kindleberger si riferiva però soprattutto a un crollo dei mercati azionari. L’analisi dell’economista americano Hyman Minsky, anch’egli scomparso, calza meglio con la realtà attuale. Minsky ha letto la crisi degli anni Trenta come l’esplosione di una grande bolla creditizia ed è giunto alla conclusione che c’è poco da fare, se non limitare i danni e costruire il futuro. Ciò appare molto appropriato alla realtà attuale. Infatti le perdite miliardarie delle banche sono dovute in massima parte alla grande quantità di carta prodotta negli ultimi anni (i cosiddetti titoli tossici). Per essere più chiari, le banche europee finora non stanno accusando perdite per i prestiti concessi a famiglie ed imprese del Vecchio Continente, ma per svalutazioni del valore dei titoli prodotti su scala industriale da Wall Street e dagli altri attori della nuova ingegneria finanziaria. Gran parte di questa enorme quantità di «carta straccia» in circolazione non può che bruciare fino a quando il suo valore sarà nullo o ridotto ai minimi termini. Quindi l’incendio è destinato a durare ancora. Ciò non deve indurre al pessimismo, poiché nei paesi occidentali sta rapidamente facendosi strada un ampio consenso politico teso a porre le premesse per ricostruire il futuro sulle macerie prodotte dalla nuova ingegneria finanziaria. Esso consiste in un ruolo da protagonista degli Stati chiamati a rilanciare l’economia reale - che si sta nel frattempo avvitando rapidamente su se stessa - e nella creazione delle premesse politiche e normative per una crescita sana e duratura. Tra queste norme è indispensabile una nuova regolamentazione del settore finanziario che deve esserre chiamato a raccogliere i capitali dei risparmiatori e a remunerarli attraverso la concessione di crediti all’economia produttiva e non all’economia virtuale creata negli ultimi anni dalla finanza che credeva, come ha detto Giulio Tremonti, «di creare soldi con i soldi». Insomma, l’individuazione corretta delle cause di questa crisi (gli eccessi della finanza) e dell’obiettivo di rimuoverle (nuove regole per il settore finanziario) e la definizione dei mezzi per raggiungere questi scopi devono spingere all’ottimismo e essere lette come una luce di speranza: il tunnel è ancora lungo e percorrerlo tutto sarà molto doloroso.

06/10/2008 23:22
 

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