Sharnin 2
Forumer storico
L'ipertrofia della finanza
Vanno valutati rischi e utilità delle diverse attività
20 mar 2010
di ALFONSO TUOR
La montagna sta partorendo a fatica e con ritardo il classico topolino. Infatti a distanza di un anno e mezzo dall’apice della crisi finanziaria, che può essere identificato con il fallimento della Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre 2008, il presidente della Commissione bancaria del Senato statunitense, Chris Dodd, ha presentato un progetto di legge riguardante la regolamentazione del settore finanziario che risponde in realtà solo alle esigenze di Wall Street. L’obiettivo di creare un assetto normativo che riduca le probabilità di una ripetizione di una crisi sistemica è stato riposto in un cassetto, così come i propositi del presidente Obama di vietare alle banche di speculare con i mezzi propri. Nella versione del senatore Dodd questo divieto si trasforma in un invito alle autorità di sorveglianza di considerare il modo di impedire questo tipo di attività che sono estremamente rischiose. A tal proposito basti ricordare che le perdite miliardarie che hanno messo in ginocchio UBS, al punto da dover chiedere l’intervento della Confederazione per evitare il fallimento, sono state proprio originate dagli investimenti attuati con i mezzi propri negli strumenti in cui erano stati impacchettati i mutui ipotecari americani e in altre attività speculative.
Nulla si dice su quello che è stato definito il settore bancario ombra, ossia quella costellazione di Hedge Fund, di fondi Private Equity, di Veicoli speciali di investimento, di società finanziarie di imprese industriali (come quelle della General Electric e delle case automobilistiche) che sono state un fattore fondamentale che ha determinato la crisi dei cosiddetti subprime. Anzi, a dimostrazione che questo mondo gode dell’appoggio dell’amministrazione Obama, il Ministero del tesoro americano ha ufficialmente minacciato ritorsioni commerciali, se l’Unione europea varerà misure che obbligano questi fondi a registrarsi per poter operare nel Vecchio Continente. Insomma, nulla è cambiato: l’influenza del settore finanziario è ancora tale da impedire qualsiasi riforma seria.
Eppure le condizioni del sistema bancario rimangono molto fragili e il ripetersi di una nuova crisi sistemica appare molto probabile. Le banche hanno infatti ricominciato ad operare come prima. La maggior parte degli utili denunciati ultimamente dalle banche deriva infatti, da un canto, dal cambiamento delle regole contabili che permette di occultare le perdite e, dall’altro, dalle attività di trading, ossia dalla speculazione con il capitale proprio. Il tutto viene compiuto, come conferma un recente studio della Banca del Ceresio (ripreso anche dal quotidiano «The Financial Times») con una dotazione di capitale ridotta all’osso e un ricorso all’indebitamento (ossia al finanziamento da parte di terzi) superiore persino a quello degli Hedge Fund più aggressivi. Lo studio sottolinea che il lavoro di pulizia dei bilanci è solo all’inizio e che la dotazione di capitale delle banche continua ad essere pericolosamente insufficiente, a tal punto da ritenere indispensabili aumenti di capitali tali da raddoppiare o triplicare la loro dotazione attuale di capitale. Invece le grandi banche, per occultare questa carenza di capitale e per giustificare questi livelli di indebitamento, desiderano ritornare al più presto a distribuire dividendi e a varare piani di riacquisto delle azioni proprie. Queste operazioni renderebbero ancora più fragile il sistema. Ma paradossalmente è proprio la fragilità del sistema, ossia la carenza di mezzi propri, come mette giustamente in rilievo la Banca del Ceresio, che permette di ottenere quei livelli di redditività che costituiscono una delle ragioni attraverso la quale vengono legittimati i bonus stratosferici del sistema bancario. Lo studio citato ricorda inoltre che circa il 60% della somma di bilancio delle grandi banche è oggi utilizzata per sostenere le attività legate alla cartolarizzazione e a quelle nel campo degli strumenti derivati. Secondo la Banca del Ceresio, il trasferimento di queste attività a mercati regolamentati (come le borse) permetterebbe di liberare capitale che le banche potrebbero usare per concedere prestiti all’economia reale e quindi contribuire al rilancio dell’economia.
Lo studio della Banca del Ceresio tende a dimostrare che le banche sono ancora oggi soggetti economici ad alto rischio, addirittura più pericolosi per la stabilità del sistema degli stessi Hedge Fund. Una considerazione condivisibile per certi aspetti, ma che a nostro avviso non va comunque al nocciolo della qustione. È un po’ come dire che la scarlattina è più pericolosa del morbillo. Alla fine, però, il problema è di contrastare amdebue. Si può dunque concordare con la Banca del Ceresio quando sostiene che le grandi banche sono in realtà dei grandi Hedge Fund. Ma ciò non dimostra né l’utilità degli Hedge Fund né che non sono pericolosi per l’intero sistema. In altri termini, se questo approccio evidenzia un conflitto di interessi all’interno del settore finanziario, non aiuta a definire la via delle riforme necessarie.
Pe farlo siamo convinti che occorra adottare un altro metodo, che consiste nel valutare non solo il grado di rischio delle diverse attività finanziarie, ma anche e soprattutto la loro utilità per una crescita sana e duratura dell’economia reale. Partendo da questi presupposti si arriva facilmente alla conclusione che l’ipertrofia del settore finanziario e il suo modo di ragionare solo a breve termine costituiscono la vera e più grave patologia delle nostre odierne economie.
Vanno valutati rischi e utilità delle diverse attività
20 mar 2010
di ALFONSO TUOR
La montagna sta partorendo a fatica e con ritardo il classico topolino. Infatti a distanza di un anno e mezzo dall’apice della crisi finanziaria, che può essere identificato con il fallimento della Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre 2008, il presidente della Commissione bancaria del Senato statunitense, Chris Dodd, ha presentato un progetto di legge riguardante la regolamentazione del settore finanziario che risponde in realtà solo alle esigenze di Wall Street. L’obiettivo di creare un assetto normativo che riduca le probabilità di una ripetizione di una crisi sistemica è stato riposto in un cassetto, così come i propositi del presidente Obama di vietare alle banche di speculare con i mezzi propri. Nella versione del senatore Dodd questo divieto si trasforma in un invito alle autorità di sorveglianza di considerare il modo di impedire questo tipo di attività che sono estremamente rischiose. A tal proposito basti ricordare che le perdite miliardarie che hanno messo in ginocchio UBS, al punto da dover chiedere l’intervento della Confederazione per evitare il fallimento, sono state proprio originate dagli investimenti attuati con i mezzi propri negli strumenti in cui erano stati impacchettati i mutui ipotecari americani e in altre attività speculative.
Nulla si dice su quello che è stato definito il settore bancario ombra, ossia quella costellazione di Hedge Fund, di fondi Private Equity, di Veicoli speciali di investimento, di società finanziarie di imprese industriali (come quelle della General Electric e delle case automobilistiche) che sono state un fattore fondamentale che ha determinato la crisi dei cosiddetti subprime. Anzi, a dimostrazione che questo mondo gode dell’appoggio dell’amministrazione Obama, il Ministero del tesoro americano ha ufficialmente minacciato ritorsioni commerciali, se l’Unione europea varerà misure che obbligano questi fondi a registrarsi per poter operare nel Vecchio Continente. Insomma, nulla è cambiato: l’influenza del settore finanziario è ancora tale da impedire qualsiasi riforma seria.
Eppure le condizioni del sistema bancario rimangono molto fragili e il ripetersi di una nuova crisi sistemica appare molto probabile. Le banche hanno infatti ricominciato ad operare come prima. La maggior parte degli utili denunciati ultimamente dalle banche deriva infatti, da un canto, dal cambiamento delle regole contabili che permette di occultare le perdite e, dall’altro, dalle attività di trading, ossia dalla speculazione con il capitale proprio. Il tutto viene compiuto, come conferma un recente studio della Banca del Ceresio (ripreso anche dal quotidiano «The Financial Times») con una dotazione di capitale ridotta all’osso e un ricorso all’indebitamento (ossia al finanziamento da parte di terzi) superiore persino a quello degli Hedge Fund più aggressivi. Lo studio sottolinea che il lavoro di pulizia dei bilanci è solo all’inizio e che la dotazione di capitale delle banche continua ad essere pericolosamente insufficiente, a tal punto da ritenere indispensabili aumenti di capitali tali da raddoppiare o triplicare la loro dotazione attuale di capitale. Invece le grandi banche, per occultare questa carenza di capitale e per giustificare questi livelli di indebitamento, desiderano ritornare al più presto a distribuire dividendi e a varare piani di riacquisto delle azioni proprie. Queste operazioni renderebbero ancora più fragile il sistema. Ma paradossalmente è proprio la fragilità del sistema, ossia la carenza di mezzi propri, come mette giustamente in rilievo la Banca del Ceresio, che permette di ottenere quei livelli di redditività che costituiscono una delle ragioni attraverso la quale vengono legittimati i bonus stratosferici del sistema bancario. Lo studio citato ricorda inoltre che circa il 60% della somma di bilancio delle grandi banche è oggi utilizzata per sostenere le attività legate alla cartolarizzazione e a quelle nel campo degli strumenti derivati. Secondo la Banca del Ceresio, il trasferimento di queste attività a mercati regolamentati (come le borse) permetterebbe di liberare capitale che le banche potrebbero usare per concedere prestiti all’economia reale e quindi contribuire al rilancio dell’economia.
Lo studio della Banca del Ceresio tende a dimostrare che le banche sono ancora oggi soggetti economici ad alto rischio, addirittura più pericolosi per la stabilità del sistema degli stessi Hedge Fund. Una considerazione condivisibile per certi aspetti, ma che a nostro avviso non va comunque al nocciolo della qustione. È un po’ come dire che la scarlattina è più pericolosa del morbillo. Alla fine, però, il problema è di contrastare amdebue. Si può dunque concordare con la Banca del Ceresio quando sostiene che le grandi banche sono in realtà dei grandi Hedge Fund. Ma ciò non dimostra né l’utilità degli Hedge Fund né che non sono pericolosi per l’intero sistema. In altri termini, se questo approccio evidenzia un conflitto di interessi all’interno del settore finanziario, non aiuta a definire la via delle riforme necessarie.
Pe farlo siamo convinti che occorra adottare un altro metodo, che consiste nel valutare non solo il grado di rischio delle diverse attività finanziarie, ma anche e soprattutto la loro utilità per una crescita sana e duratura dell’economia reale. Partendo da questi presupposti si arriva facilmente alla conclusione che l’ipertrofia del settore finanziario e il suo modo di ragionare solo a breve termine costituiscono la vera e più grave patologia delle nostre odierne economie.