Sharnin 2
Forumer storico
Salvataggio europeo
Ma la crisi non è ancora finita
Alfonso Tuor
Il salvataggio del sistema bancario da parte degli Stati europei è solo la fine del primo atto della pièce drammatica rappresentata da questa crisi finanziaria. L’attuale pausa, contraddistinta dall’euforico rimbalzo delle Borse e dal profondo sospiro di sollievo di tutti, non deve trarre in inganno: la crisi, iniziata nel mese di agosto dell’anno scorso, non è affatto conclusa. Anzi, è destinata a continuare ancora a lungo, anche se un’azione più completa e più incisiva di quella varata dai governi europei è difficilmente immaginabile.
Infatti si sono presi di petto tutti i problemi che stavano conducendo al collasso del sistema bancario: solvibilità (con la ricapitalizzazione degli istituti e il cambiamento delle regole contabili), liquidità (con la garanzia statale sui prestiti interbancari e con le banche centrali incaricate di continuare a dare miliardi e miliardi alle banche oggi addirittura a tasso fisso) e di rifinanziamento (con la garanzia statale fino alla fine dell’anno prossimo sulle emissioni di titoli da parte delle banche).
Eppure queste centinaia di miliardi (per l’esattezza 1.873 miliardi di euro), che sono serviti ad evitare il collasso del sistema bancario, rappresentano solo un grande cerotto dai costi oggi difficilmente immaginabili, ma non risolvono i problemi economici creati da questa crisi provocata dalla nuova ingegneria finanziaria.
Innanzitutto questi provvedimenti evitano i fallimenti, ma non migliorano di una virgola la qualità dei bilanci delle banche. Il loro risanamento, che implica la riduzione dell’indebitamento bancario, richiederà ancora molto tempo.
In secondo luogo, queste misure non incidono sulla stretta creditizia che stanno attuando gli istituti bancari. Quindi l’accesso al credito di famiglie ed imprese resterà difficile. Addirittura tenderà a diventare ancora più difficile a causa del rapido peggioramento della situazione economica, che rende ogni credito più rischioso. D’altro canto, la caduta dei prezzi delle case e di molti attivi finanziari e la recessione, che sta già corrodendo l’economia di molti paesi, è destinata a far aumentare velocemente le perdite delle banche.
In terzo luogo queste garanzie statali (che se non venissero usate, potrebbero essere a costo zero) sono in realtà destinate a trasformarsi in spese colossali per gli Stati, che vedranno esplodere i propri disavanzi pubblici. I governi avranno quindi meno mezzi finanziari per attutire una recessione, che si prospetta molto dura, e soprattutto per rilanciare l’economia. Per essere più chiari abbiamo speso i soldi per salvare le grandi banche, ossia per salvare i principali responsabili della crisi, e avremo meno soldi per aiutare le vittime, ossia le imprese in difficoltà e le persone che perderanno il posto di lavoro.
In quarto luogo non è affatto scongiurato il pericolo di una depressione economica. Infatti il crollo del sistema bancario avrebbe reso inevitabile questa prospettiva, ma il loro salvataggio non cambia la situazione di fondo. L’economia mondiale è in rapida e forte contrazione, la diminuzione dei prezzi delle case si estende a un numero sempre maggiore di paesi, anche gli altri attivi finanziari hanno registrato perdite notevoli, determinando la distruzione di una parte consistente dei risparmi accumulati dalle famiglie e, infine, le banche devono continuare a smaltire le notevoli perdite che sono ancora nascoste nelle pieghe dei loro bilanci. Tutto ciò fa ritenere che, se i governi non vareranno al più presto grandi pacchetti di rilancio dell’economia, esista un forte pericolo di deflazione che potrebbe sfociare in una nuova Grande Depressione.
L’encomiabile sforzo europeo ha ridotto, ma non ha elimitato il rischio di un collasso del sistema bancario.
La principale incognita è rappresentata dalla necessità del sistema bancario internazionale di rifinanziare centinaia di miliardi di crediti che scadranno nei prossimi mesi. Vi è da chiedersi se vi è sufficiente tempo e se è stata ricreata la fiducia necessaria per condurre in porto con successo questa grande operazione di rifinanziamento. Inoltre, la garanzia statale vale per il momento solo per l’Europa, ma la «fame di capitali» delle banche è globale. Esiste il concreto pericolo che il sistema bancario di alcuni paesi, che non hanno la forza economica e la credibilità di Eurolandia, siano investiti pesantemente dalla crisi e possano ripetere le gesta dell’Islanda, anche se il Fondo Monetario ha dichiarato di essere pronto a correre immediatamente in aiuto.
Il problema del rifinanziamento del sistema bancario è particolarmente acuto soprattutto negli Stati Uniti, che sono il vero epicentro della crisi. Washington ha finora gestito questa crisi in modo confuso e pasticciato, come conferma il fatto che ora ha deciso di copiare gli europei e di usare parte dei 700 miliardi di dollari per ricapitalizzare il sistema bancario. Il maxipiano non basta: la fame di capitali delle banche è nettamente superiore a quella degli istituti europei, perché le famiglie americane sono più indebitate, la recessione sta già mordendo pesantemente l’economia e rendendo tossici miliardi e miliardi di dollari di titoli con cui sono stati finanziati il credito al consumo, il leasing, gli acquisti di auto e via dicendo. Una buona parte della carta straccia creata da Wall Street che sta incendiando il sistema finanziario internazionale è ancora nella pancia di banche, assicurazioni e casse pensioni americane. Infine la possibilità di indebitarsi dello Stato federale è limitata dal debito estero degli Stati Uniti. Quindi Washington non sembra avere alcun piano alternativo a quello di Henry Paulson, anche perché qualsiasi piano richiederebbe il sostegno finanziario dei paesi asiatici e di quelli arabi.
In conclusione, la crisi non è finita. Per evitare il pericolo di una pesante recessione e per non sperperare i soldi dei contribuenti per salvare i responsabili di questo disastro è necessario arrivare ad un’azione coordinata con tutti i paesi a livello internazionale sullo stile della conferenza di Bretton Woods, con l’obiettivo di limitare i danni di questa crisi e stabilire le nuove regole del sistema finanziario, monetario, commerciale ed economico, in modo da creare le condizioni per avere un periodo di crescita sana e duratura.
14/10/2008 18:07
Ma la crisi non è ancora finita
Alfonso Tuor
Il salvataggio del sistema bancario da parte degli Stati europei è solo la fine del primo atto della pièce drammatica rappresentata da questa crisi finanziaria. L’attuale pausa, contraddistinta dall’euforico rimbalzo delle Borse e dal profondo sospiro di sollievo di tutti, non deve trarre in inganno: la crisi, iniziata nel mese di agosto dell’anno scorso, non è affatto conclusa. Anzi, è destinata a continuare ancora a lungo, anche se un’azione più completa e più incisiva di quella varata dai governi europei è difficilmente immaginabile.
Infatti si sono presi di petto tutti i problemi che stavano conducendo al collasso del sistema bancario: solvibilità (con la ricapitalizzazione degli istituti e il cambiamento delle regole contabili), liquidità (con la garanzia statale sui prestiti interbancari e con le banche centrali incaricate di continuare a dare miliardi e miliardi alle banche oggi addirittura a tasso fisso) e di rifinanziamento (con la garanzia statale fino alla fine dell’anno prossimo sulle emissioni di titoli da parte delle banche).
Eppure queste centinaia di miliardi (per l’esattezza 1.873 miliardi di euro), che sono serviti ad evitare il collasso del sistema bancario, rappresentano solo un grande cerotto dai costi oggi difficilmente immaginabili, ma non risolvono i problemi economici creati da questa crisi provocata dalla nuova ingegneria finanziaria.
Innanzitutto questi provvedimenti evitano i fallimenti, ma non migliorano di una virgola la qualità dei bilanci delle banche. Il loro risanamento, che implica la riduzione dell’indebitamento bancario, richiederà ancora molto tempo.
In secondo luogo, queste misure non incidono sulla stretta creditizia che stanno attuando gli istituti bancari. Quindi l’accesso al credito di famiglie ed imprese resterà difficile. Addirittura tenderà a diventare ancora più difficile a causa del rapido peggioramento della situazione economica, che rende ogni credito più rischioso. D’altro canto, la caduta dei prezzi delle case e di molti attivi finanziari e la recessione, che sta già corrodendo l’economia di molti paesi, è destinata a far aumentare velocemente le perdite delle banche.
In terzo luogo queste garanzie statali (che se non venissero usate, potrebbero essere a costo zero) sono in realtà destinate a trasformarsi in spese colossali per gli Stati, che vedranno esplodere i propri disavanzi pubblici. I governi avranno quindi meno mezzi finanziari per attutire una recessione, che si prospetta molto dura, e soprattutto per rilanciare l’economia. Per essere più chiari abbiamo speso i soldi per salvare le grandi banche, ossia per salvare i principali responsabili della crisi, e avremo meno soldi per aiutare le vittime, ossia le imprese in difficoltà e le persone che perderanno il posto di lavoro.
In quarto luogo non è affatto scongiurato il pericolo di una depressione economica. Infatti il crollo del sistema bancario avrebbe reso inevitabile questa prospettiva, ma il loro salvataggio non cambia la situazione di fondo. L’economia mondiale è in rapida e forte contrazione, la diminuzione dei prezzi delle case si estende a un numero sempre maggiore di paesi, anche gli altri attivi finanziari hanno registrato perdite notevoli, determinando la distruzione di una parte consistente dei risparmi accumulati dalle famiglie e, infine, le banche devono continuare a smaltire le notevoli perdite che sono ancora nascoste nelle pieghe dei loro bilanci. Tutto ciò fa ritenere che, se i governi non vareranno al più presto grandi pacchetti di rilancio dell’economia, esista un forte pericolo di deflazione che potrebbe sfociare in una nuova Grande Depressione.
L’encomiabile sforzo europeo ha ridotto, ma non ha elimitato il rischio di un collasso del sistema bancario.
La principale incognita è rappresentata dalla necessità del sistema bancario internazionale di rifinanziare centinaia di miliardi di crediti che scadranno nei prossimi mesi. Vi è da chiedersi se vi è sufficiente tempo e se è stata ricreata la fiducia necessaria per condurre in porto con successo questa grande operazione di rifinanziamento. Inoltre, la garanzia statale vale per il momento solo per l’Europa, ma la «fame di capitali» delle banche è globale. Esiste il concreto pericolo che il sistema bancario di alcuni paesi, che non hanno la forza economica e la credibilità di Eurolandia, siano investiti pesantemente dalla crisi e possano ripetere le gesta dell’Islanda, anche se il Fondo Monetario ha dichiarato di essere pronto a correre immediatamente in aiuto.
Il problema del rifinanziamento del sistema bancario è particolarmente acuto soprattutto negli Stati Uniti, che sono il vero epicentro della crisi. Washington ha finora gestito questa crisi in modo confuso e pasticciato, come conferma il fatto che ora ha deciso di copiare gli europei e di usare parte dei 700 miliardi di dollari per ricapitalizzare il sistema bancario. Il maxipiano non basta: la fame di capitali delle banche è nettamente superiore a quella degli istituti europei, perché le famiglie americane sono più indebitate, la recessione sta già mordendo pesantemente l’economia e rendendo tossici miliardi e miliardi di dollari di titoli con cui sono stati finanziati il credito al consumo, il leasing, gli acquisti di auto e via dicendo. Una buona parte della carta straccia creata da Wall Street che sta incendiando il sistema finanziario internazionale è ancora nella pancia di banche, assicurazioni e casse pensioni americane. Infine la possibilità di indebitarsi dello Stato federale è limitata dal debito estero degli Stati Uniti. Quindi Washington non sembra avere alcun piano alternativo a quello di Henry Paulson, anche perché qualsiasi piano richiederebbe il sostegno finanziario dei paesi asiatici e di quelli arabi.
In conclusione, la crisi non è finita. Per evitare il pericolo di una pesante recessione e per non sperperare i soldi dei contribuenti per salvare i responsabili di questo disastro è necessario arrivare ad un’azione coordinata con tutti i paesi a livello internazionale sullo stile della conferenza di Bretton Woods, con l’obiettivo di limitare i danni di questa crisi e stabilire le nuove regole del sistema finanziario, monetario, commerciale ed economico, in modo da creare le condizioni per avere un periodo di crescita sana e duratura.
14/10/2008 18:07